L'incontro
dell'8 gennaio di Bondi al Mise, presenti il Min. Zanonato e i
dirigenti delle tre banche verso cui l'Ilva è ancora esposta
finanziariamente, mostra tutta la NON volontà di azienda e governo
di fare la messa a norma; le cifre dette da Bondi sono aumentate di
poco rispetto a quelle da lui stesso dichiarate mesi fa come
sufficienti per il risanamento impianti, ma siamo ancora a "come
trovarli", siamo al "mercato delle ipotesi: aumento di
capitali da parte di Riva (ma non si capisce perchè Riva, se non
costretto, dovrebbe farlo); finanziamento da parte delle Banche (che
però hanno il coltello dalla parte del manico e vogliono garanzie);
eventuali terzi azionisti da trovare sul mercato (con una operazione
svendita da "regalo" dell'Ilva come fu nel 1995 con Riva);
o, molto più probabile, soldi del Fondo strategico italiano Spa,
istituito dalla Cassa Depositi e Prestiti che in cambio otterrebbe
quote azionarie (quindi con soldi dello Stato e dei cittadini che si
troverebbero a pagare due volte, con buona pace dei fautori della
nazionalizzazione).
In
tutto questo "mercato delle vacche" si danno la mano padron
Riva che non mette soldi e se li tiene ben nascosti nei suoi paradisi
fiscali, il governo che sforna decreti inutili e impotenti ad attuare
il principio "chi inquina paga", e, ultima, la Cassazione
che restituisce i soldi sequestrati ai Riva.
Così
non si va da nessuna parte. Il risanamento degli impianti non si fa e
intanto nei fatti (anche se non prodotto ancora ufficialmente) va
avanti il piano Bondi di ristrutturazione/ridimensionamento che come
minimo a marzo porterà a nuovi accordi su contratto di solidarietà
o cassintegrazione.
Tra
l'altro, e se non fosse tragico per le conseguenze per il lavoro e il
salario degli operai, sarebbe ridicolo, per questo piano industriale
- come scrive il 9 gennaio G. Leone su TarantoOggi - Bondi si è
affidato alla "McKinsey & Company, nota
multinazionale di consulenza di direzione, che negli anni ha
inanellato una serie di insuccessi, tanto da prendersi le critiche
del Financial Tome e del The Economist, oltre ad avere l'onore di
libri dedicati ad "una serie di errori grossolani e disastri che
si imputano ad errori di consulenti della McKinsey".
Gli operai e gli abitanti dei quartieri inquinati di Taranto, in questa condizione, sono l'ultimo e ora ininfluente anello di una catena. La loro condizione, sia in termini di salute e sicurezza, sia in termini di lavoro e salario, SEMPLICEMENTE NON E' IN AGENDA...
Perchè
non sia così, non possono nè stare ad aspettare, nè farsi
impotenti partigiani di una o dell'altra "soluzione". Ne
bastano o ci si può illudere di chiedere qualche "emendamento",
per avere una piccola parte/beneficio in questo gioco.
Perchè
non sia così, gli operai in primis, perchè hanno un diritto/dovere
diretto, perchè sono già una realtà collettiva, e gli abitanti dei
quartieri di Taranto, devono entrare in scena con forza, con le loro
rivendicazioni e le loro armi di lotta.
Quando
lo faranno e non si fermeranno, allora i "giochi" potranno
essere altri.
(da
la Gazzetta del Mezzogiorno) - "Tre miliardi di
euro. Tanto serve all’Ilva del commissario Enrico Bondi per attuare
gli interventi di risanamento ambientale prescritti dall’Aia e
rilanciare lo stabilimento siderurgico di Taranto con investimenti
che ne accrescano l’efficienza e la competitività. Questo
fabbisogno è stato prospettato ieri (8 gennaio) alle banche dallo
stesso Bondi, che ha incontrato i vertici delle banche più esposte
con l’Ilva al ministero dello Sviluppo economico, presenti il
ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, e il sub
commissario della stessa Ilva, Edo Ronchi. Per le banche, invece,
c’erano l’amministratore delegato di Unicredit, Federico
Ghizzoni, il direttore generale di Intesa San Paolo, Gaetano
Miccichè, e l’amministratore delegato del Banco Popolare, Pier
Francesco Saviotti.
Tre
miliardi quindi, ma come e dove trovarli? La soluzione che si sta
facendo strada negli ultimi giorni è quella di proporre ai Riva un
aumento di capitale dell’Ilva. Di questo Bondi aveva già parlato
lo scorso 27 dicembre, quando sul nuovo decreto legge (il 136, varato
dal Governo il 3 dicembre e pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale»
del 10 dicembre) è stato ascoltato dalla commissione Ambiente della
Camera. E ora quest’ipotesi si è strutturata sotto forma di
emendamento allo stesso decreto. A presentarlo, in accordo pare col
Governo, il relatore del provvedimento, il deputato del Pd,
Alessandro Bratti. L’emendamento sarà probabilmente votato lunedì.
Sarà
proprio Bondi a fare un passaggio con i Riva sull’aumento di
capitale. E si parte dal fatto che ora i beni e i conti del gruppo
Riva sono stati dissequestrati dalla Corte di Cassazione che ha
annullato l’ordinanza del gip di Taranto, Patrizia Todisco, per 8,1
miliardi. L’aumento di capitale che sarà chiesto ai Riva è scisso
dalla possibilità, pure prevista dal nuovo decreto legge, che il
commissario chieda all’autorità giudiziaria lo svincolo delle
somme sequestrate dalla Procura di Milano agli stessi Riva per reati
fiscali e valutari. Una possibilità che rimane ma che, a quanto
pare, richiederebbe tempi più lunghi rispetto alla necessità
dell’Ilva di partire a tempi brevi con i lavori dell’Aia. Lo
scorso 27 dicembre, infatti, Bondi ha detto ai parlamentari della
commissione Ambiente che senza risorse sono a rischio gli
investimenti ambientali messi in programma per quest’anno e pari a
circa 6-700 milioni di euro.
I
banchieri ieri hanno ascoltato l’esposizione di Bondi e si sono
riservati una valutazione più approfondita. E’ chiaro che
aspettano di vedere quale sarà la risposta dei Riva e la conversione
del decreto in legge che darà più forza all’aumento di capitale.
Di quanto dovrà essere l’aumento di capitale, ragioneranno, nel
prosieguo del confronto, Ilva e banche. Alle quali toccherà
stabilire quanto sarà la parte di credito e quanto di aumento di
capitale vero e proprio. In quest’ultimo caso si parla di 1,3-1,4
miliardi ma è solo un dato indicativo. Almeno per ora..."
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