giovedì 7 novembre 2024

La HIAB di Statte chiuderà - Nessuna buona notizia da Roma per i 102 lavoratori coinvolti nella vertenza

Esprimiamo la nostra solidarietà ai lavoratori della HIAB - ex Effer - e la porteremo direttamente nei prossimi giorni come Slai cobas per il sindacato di classe
Abbiamo purtroppo vissuto una situazione come questa alla Tessitura Albini Mottola dove alla fine la fabbrica è stata chiusa, i lavoratori licenziati, le prospettiva di rioccupazione quasi azzerate ed è rimasto in piedi solo un ricorso legale.
Padroni, governo, regione istituzioni locali, l'on Mario Turco c'erano anche là e purtroppo vi è stata anche la linea del sindacalismo confederale maggioritario tra i lavoratori. Tutto questo ha portato al risultato che abbiamo descritto. 

Abbiamo cercato con gli operai da noi organizzati nella lotta della Tessitura di scongiurare questo esito, non ci siamo riusciti, ma ne abbiamo tratto una esperienza.
Ora alla Hiab la situazione è ancora aperta e i lavoratori sono in lotta e serve un'altra strada per difendere il lavoro e il salario
Slai cobas per il sindacato di classe - Taranto

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Da Corriere di Taranto - Gianmario Leone    
pubblicato il 06 Novembre 2024, 07:04

Adesso non ci sono più dubbi: lo stabilimento HIAB di Statte chiuderà. E’ questo il responso, amaro, del tavolo ministeriale che si è svolto a Roma presso la sede del ministero del MIMiT, a cui hanno preso parte i rappresentanti dell’azienda, del ministero e dei sindacati dei metalmeccanici (a cui hanno partecipato da remoto anche la Regione Puglia, oltre che il Comune e la Provincia di Taranto). E che apre l’ennesima, drammatica vertenza del lavoro sul territorio tarantino che colpisce 102 lavoratori e le rispettive famiglie.

Le avvisaglie di un simile epilogo però, c’erano tutte. Visto che l’ultimo incontro dello scorso 30 ottobre tra società e ministero si era concluso con un nulla di fatto, nonostante la proposta messa sul tavolo dal governo di una serie di incentivi per garantire la continuità produttiva. Una settimana prima, il 23 ottobre, al tavolo allargato alle organizzazioni sindacali i rappresentanti della HIAB avevano continuato a sostenere che la decisione di trasferire a Minerbio (Bo) le attività manifatturiere per la produzione delle gru attualmente prodotte nello stabilimento di Statte, con conseguente apertura di una procedura di proroga della cassa integrazione per tutto il personale in forza a zero ore, pari a 102 unità, è legata alla crisi di mercato ed calo degli ordinativi. Tesi rispedita al mittente dai sindacati che hanno evidenziato come il rapporto intermedio del 2024 dica esattamente il contrario, ovvero che gli ordini per HIAB sono in aumento (come avvenuto anche per tutto il 2022, con un fisiologico calo nel 2023). Con la delegazione ministeriale che avrebbe assunto durante la riunione una posizione importante, dicendosi anche pronta a sanzionare l’eventuale condotta fraudolenta dell’azienda.

Che la società non avesse alcuna intenzione di recedere dalle sue posizioni, si era purtroppo capito già da tempo. Quando dopo l’ultimo incontro in Regione Puglia, non aveva mostrato alcun segnale di apertura nemmeno verso la proposta avanzata dai tecnici regionali per sbloccare la crisi, attraverso l’offerta di una somma di sostegno agli investimenti e alla riconversione (dai 5 agli 8 milioni di euro), da proporzionare rispetto agli impegni dell’azienda. Dopo che a luglio aveva comunicato una riduzione dell’organico poco inferiore al 40% (soglia massima consentita dai decreti anti-delocalizzazione per non restituire i contributi percepiti negli ultimi 10 anni), avendo prima ancora lasciato a casa altri 100 lavoratori interinali.

Del resto parliamo di un’azienda, la HIAB, svedese che fa parte di un conglomerato finlandese, la Cargotec, nata nel 2005 da uno scorporo della Kone, che portò alla quotazione in borsa dei due rami aziendali. E che acquistò la Effer Spa nel 2019, iniziando a creare malumori tra i lavoratori già nell’autunno del 2020 quando annunciò la cessazione dei primi contratti di lavoratori interinali presenti in quel sito da ben 11 anni. Adesso la Cargotec vuole scorporare i suoi tre rami, la MacGregor, la Kalmar e la stessa Hiab. A luglio, Kalmar è stata scorporata e quotata alla borsa di Helsinki, la MacGregor sarà presto venduta, con la Hiab che resterà una società autonoma ed appetibile, attraverso la chiusura di uno o più stabilimenti e il licenziamento dei lavoratori. Per questo nelle scorse settimane i lavoratori di Statte hanno occupato lo stabilimento bloccandone la produzione attraverso un’assemblea permanente, con la possibilità di utilizzare il reparto mensa e alcuni uffici, organizzandosi in turni per non lasciare incustodito il sito. Ottenendo la solidarietà dei lavoratori del sito bolognese, che temono tra qualche tempo di fare la stessa fine dei loro colleghi tarantini, visto che i sindacati sono convinti che la prossima delocalizzazione sarà direttamente all’estero, magari nel sito di Saragozza in Spagna di proprietà del gruppo.

Alla fine della fiera sul tavolo è quindi rimasta l’unica proposta della HIAB: prepensionamenti per non più di 5-6 unità (per coloro che hanno maturato i requisiti anagrafici), trasferimenti nel sito bolognese di Minerbio (all’incirca 25 unità) e cassa integrazione per tutti gli altri (con un’età media che si aggira sui 50 anni). Nel prossimo incontro del 12 novembre al ministero a Roma, l’azienda dovrà quindi esplicitare le motivazioni per la chiusura dello stabilimento per ottenere la procedura di cassa integrazione, che prevede per i prossimi 12 mesi l’impegno a reperire nuovi investitori e acquirenti interessati a rilevare le attività del sito produttivo di Statte (sulla vicenda il senatore del Movimento 5 Stelle Mario Turco ha presentato un’interrogazione parlamentare). Che per anni è stato uno stabilimento d’eccellenza, con decine di operai specializzati impegnati nella produzione di gru di piccola e media portata ad alto livello e componenti per le gru di grossa portata a Minerbio (Bologna). Di fatto quindi, il cuore del processo produttivo dell’azienda.

A conferma del fatto, se mai ce ne fosse bisogno, che la decisione di chiudere è legata ancora una volta a logiche e scelte di mercato tese alla massimizzazione del profitto attraverso la riduzione dei costi. Una strategia imprenditoriale che oramai da anni sta smantellando processi produttivi di interi comparti, cancellando storie industriali decennali e desertificando le economie dei territori. Oltre a distruggere l’esistenza di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie. Con la politica locale e nazionale che da tanti anni ha messo di avere un’idea di sviluppo industriale degna di questo nome. E così mentre da queste parti si continua a favoleggiare di decarbonizzazione, di economica green, di transizione giusta, di centinaia di milioni di euro da investire in progetti di dubbia utilità per rioccupare le migliaia di lavoratori che saranno espulsi dai processi produttivi della grande industria, le aziende del territorio tarantino continuano a chiudere una dopo l’altra, abortendo sul nascere qualsiasi speranza per un presente (non per un futuro) migliore.

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