Che succede quando il proletariato si impadronisce del potere statale?
"Il proletariato si impadronisce del potere dello Stato e anzitutto trasforma i mezzi di produzione innanzitutto in proprietà dello Stato. Ma così sopprime se stesso come proletariato, sopprime ogni differenza di classe e ogni antagonismo di classe e sopprime anche lo Stato in quanto Stato. La società esistita sinora, muoventesi sul piano degli antagonismi di classe, aveva necessità dello Stato, cioè di una organizzazione della classe sfruttatrice, per conservare le condizioni esterne della sua produzione e quindi specialmente per tener con la forza la classe sfruttata nelle condizioni di oppressione date dal modo vigente di produzione (schiavitù, servaggio, lavoro salariato). Lo Stato era il rappresentante ufficiale di tutta la società, la sua sintesi in un corpo visibile, ma lo era solo in quanto era lo Stato di quella classe che al suo tempo rappresentava da sola tutta quanta la società: nell'antichità era lo Stato dei cittadini padroni di schiavi, nel medioevo lo Stato della nobiltà feudale, nel nostro tempo lo Stato della borghesia. Ma, diventando alla fine effettivamente il rappresentante di tutta la società, si rende, esso stesso, superfluo. Quando non vi sarà più nessuna classe sociale da tenere sottomessa, quando insieme col dominio di classe, la lotta per l'esistenza individuale fondata sull'anarchia della produzione sinora esistente, saranno eliminati anche i conflitti e le violenze che ne derivano, allora non ci sarà da reprimere più niente; sparirà quindi la necessità dello Stato come forza repressiva particolare. Il primo atto con cui lo Stato si presenta come il vero rappresentante di tutta la società, cioè la presa di possesso di tutti i mezzi di produzione in nome della società, sarà ad un tempo l'ultimo suo atto indipendente in quanto Stato. L'intervento di una forza statale nei rapporti sociali diventa superfluo a poco a poco in ogni campo e verrà meno da se stesso. Al posto del governo sulle persone appare l'amministrazione delle cose e la direzione dei processi produttivi. Lo Stato non viene " abolito": lo Stato si estingue. Sotto questo aspetto conviene giudicare la frase "Stato popolare libero", la quale è tanto temporaneamente giustificata dal punto di vista dell'agitazione, quanto è, in ultima analisi, scientificamente insufficiente. E sotto questo aspetto conviene giudicare anche la rivendicazione dei cosiddetti anarchici, che vogliono che lo Stato sia abolito dall'oggi al domani" ( Antidühring. [La scienza sovvertita dal signor Eugenio Dühring], pp. 302-303, terza ed. tedesca, 1894).
Primo. Proprio al principio del suo ragionamento Engels dice che il proletariato, impadronendosi del potere sopprime con ciò "Lo Stato in quanto Stato". Riflettere sul significato di questa frase è cosa che "non entra nelle abitudini". Per lo più o si trascura completamente questo pensiero o vi si vede una specie di "debolezza hegeliana" di Engels. In realtà, in queste parole è espressa in forma incisiva l'esperienza di una delle più grandi rivoluzioni proletarie, l'esperienza della Comune di Parigi del 1871, di cui parleremo a lungo più avanti. In realtà, Engels parla qui di "soppressione" dello Stato della borghesia per opera della rivoluzione proletaria, mentre ciò ch'egli dice sull'estinzione dello Stato riguarda i resti dello Stato proletario che sussisteranno dopo la rivoluzione socialista. Lo Stato borghese, secondo Engels, non "si estingue"; esso viene "soppresso" dal proletariato nel corso della rivoluzione. Ciò che si estingue dopo questa rivoluzione, è lo Stato proletario o semi-Stato.
Secondo. Lo Stato è una "forza repressiva particolare". Questa definizione di Engels, meravigliosa e in sommo grado profonda, è qui enunciata con perfetta chiarezza. E ne deriva che questa "forza repressiva particolare" del proletariato da parte della borghesia, di milioni di lavoratori da parte di un pugno di ricchi, deve essere sostituita da una "forza repressiva particolare" della borghesia da parte del proletariato (dittatura del proletariato). In ciò appunto consiste "la soppressione dello Stato in quanto Stato". In ciò consiste 1'"atto" della presa di possesso dei mezzi di produzione in nome della società. E' ovvio che questa sostituzione di una "forza particolare" (quella della borghesia) con un'altra "forza particolare" (quella del proletariato), non può avvenire nella forma di "estinzione".
Come dire: più chiaro di così si muore... Dopo la rivoluzione proletaria e la soppressione dello Stato borghese, le classi non finiscono da un giorno all'altro, la borghesia non scompare improvvisamente (anzi, come l'esperienza delle rivoluzioni ci insegna, la borghesia tenta disperatamente e con tutti i mezzi di riprendere il potere); quindi è necessario nel socialismo - periodo di transizione verso il comunismo - che il proletariato costruisca "temporaneamente" un proprio Stato, che sostituisca alla dittatura della borghesia - dittatura di una minoranza sfruttatrice sulla maggioranza delle masse - la "dittatura del proletariato" che è la massima democrazia per la maggioranza e dittatura per la minoranza che vuole restaurare il potere di sfruttamento e oppressione. E come la presa del potere da parte del proletariato non può avvenire senza una rivoluzione, questa rivoluzione (come soprattutto la Cina di Mao Tse tung ha insegnato) deve continuare per rendere forte e stabile il potere del proletariato e tutti i suoi atti conseguenti.
Quindi, l’abbattimento dello Stato riguarda necessariamente lo Stato borghese, che non si può estinguere, "non se ne può andare con le sue gambe"; ’abbattimento dello Stato borghese comporta per il proletariato rivoluzionario e il suo partito comunista l’altrettanta necessità di costruire lo Stato di dittatura del proletariato per difendere i risultati della rivoluzione, impedire con la forza dello Stato proletario che la borghesia riprenda il potere. Chi parla di “rivoluzione” e non, insieme, di “dittatura de proletariato” vuole seminare illusioni, e portare il proletariato alla sconfitta.
L’estinzione dello Stato riguarda invece lo Stato proletario, che, via via che le classi e la divisione in classi antagoniste scompare e le masse si autogovernano, non solo nel proprio paese, ma in tutti i paesi, non ha più ragione di esistere.
Gli opportunisti da un lato lottando tenacemente contro l’abbattimento dello Stato borghese, e gli anarchici dall’altro parlando oggi di estinzione dello Stato, negano entrambi la lotta rivoluzionaria del proletariato e la dittatura proletaria.
Continua Lenin:
Terzo. Questa "estinzione", o, per parlare con più risalto e più colore, questo "assopimento", Engels lo riferisce in modo chiaro ed evidente al periodo che segue "la presa di possesso di tutti i mezzi di produzione in nome della società", cioè al periodo che segue la rivoluzione socialista...
Lo "Stato popolare libero" era una rivendicazione programmatica, una parola d'ordine corrente dei socialdemocratici tedeschi degli anni 1870-1880. In questa parola d'ordine non v'è alcun contenuto politico salvo una pomposa enunciazione piccolo-borghese della nozione di democrazia... Ma questa parola d'ordine era opportunista, non soltanto perchè imbelliva la democrazia borghese, ma anche perchè esprimeva l'incomprensione della critica socialista di ogni Stato in generale. Noi siamo per la repubblica democratica, in quanto essa è, in regime capitalista, la forma migliore di Stato per il proletariato, ma non abbiamo il diritto di dimenticare che la sorte riservata al popolo, anche nella più democratica delle repubbliche borghesi, è la schiavitù salariata. Proseguiamo. Ogni Stato è una "forza repressiva particolare" della classe oppressa. Quindi uno Stato, qualunque esso sia, non è libero e non è popolare...
Questa funzione di "forza repressiva particolare" della classe oppressa c’è sia quando lo Stato è democratico sia quando è fascista. "La Repubblica democratica in regime capitalista - dice Lenin - è la forma migliore di Stato del proletariato", perchè il proletariato ha una certa maggiore libertà di organizzare le sue forze per la lotta, per la rivoluzione, ma non perchè cessi o attutisca la dittatura della borghesia (e questo lo abbiamo sperimentato molto bene con i governi di centrosinistra, di "sinistra" che non hanno certo abolito lo sfruttamento delle masse, che non hanno certo garantito i diritti fondamentali, ecc.). Anche la borghesia in generale, da parte sua, preferisce il metodo democratico, perchè così può fare tranquillamente i suoi affari, ma in determinate fasi è costretta ad assumere la forma della dittatura aperta, ma non per negare i conflitti ma sempre allo scopo di attenuarli. Quando l’attenuazione non riesce, occorre soffocarli. Benchè con lo Stato fascista la borghesia deve dichiarare in maniera nuda e cruda la sua vera natura di oppressione e repressione, la democrazia e il fascismo non sono due forme opposte ma l’una serve l’altra. La necessità per il proletariato della rivoluzione non nasce quindi dalla forma fascista dello Stato ma dalla sua permanente natura di classe.
Lenin proseguendo e riprendendo sempre Engels chiarisce come il proletariato può prendere il potere: con la rivoluzione violenta.
"Quinto. La stessa opera di Engels, in cui si trova il ragionamento sull'estinzione dello Stato che tutti ricordano, contiene anche una considerazione sul significato della rivoluzione violenta. La valutazione storica della sua funzione si trasforma in Engels in un vero panegirico della rivoluzione violenta. Nessuno "se ne ricorda"...
Ecco questa considerazione di Engels: "...che la violenza abbia nella società ancora un'altra funzione [oltre al male che essa produce] nella storia, una funzione rivoluzionaria, che essa, secondo le parole di Marx, sia la levatrice di ogni vecchia società gravida di una nuova, che la violenza sia lo strumento con l'aiuto del quale il movimento sociale si fa strada e spezza le forme politiche irrigidite e morte..." (p. 193, terza ed. tedesca, fine del 4° capitolo, II parte).
Come unire nella stessa dottrina questo panegirico della rivoluzione violenta, tenacemente presentato da Engels ai socialdemocratici tedeschi dal 1878 al 1894, cioè fino alla sua morte, e la teoria dell' "estinzione" dello Stato?...
Abbiamo già detto prima, e lo dimostreremo in modo più particolareggiato nel seguito della nostra argomentazione, che la dottrina di Marx e di Engels sulla necessità della rivoluzione violenta si riferisce allo Stato borghese. Questo non può essere sostituito dallo Stato proletario (dittatura del proletariato) per via di "estinzione"; può esserlo unicamente, come regola generale, per mezzo della rivoluzione violenta. Il panegirico con cui Engels esalta la rivoluzione violenta concorda pienamente con le numerose dichiarazioni di Marx (ricordiamo la conclusione della Miseria della filosofia e del Manifesto del Partito comunista che proclama fieramente e categoricamente l'ineluttabilità della rivoluzione violenta; ricordiamo la critica del programma di Gotha nel 1875, circa trent'anni più tardi, dove Marx flagella implacabilmente l'opportunismo di questo programma)...
La sostituzione dello Stato proletario allo Stato borghese non è possibile senza rivoluzione violenta. La soppressione dello Stato proletario, cioè la soppressione di ogni Stato, non è possibile che per via di "estinzione".
Marx ed Engels svilupparono queste concezioni in modo particolareggiato e concreto, studiando ogni situazione rivoluzionaria particolare, analizzando gli insegnamenti forniti dall'esperienza di ogni rivoluzione...
Dall’analisi dello Stato borghese, dalla sua genesi, così come tracciata da Marx, Engels e ripresa da Lenin, scaturisce l’inevitabilità e indispensabilità della rivoluzione violenta, base di principio indispensabile della teoria rivoluzionaria del proletariato.
Questo carattere dello Stato si rafforza nell’imperialismo così come si rafforza nella misura in cui si sviluppano gli antagonismi di classe e i contrasti tra Stati. Si tratta di un processo non certo dipendente da questo o quell’evento, ma legato al processo di progressivo estraniamento dello Stato dalla società e dal potenziale degli antagonismi di classe che lo sviluppo della società imperialista produce sia al suo interno sia all’esterno nelle contese tra Stati, nella fase dell'imperialismo.
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