da campagne in lotta
Borgo Mezzanone: linciaggio e morti di razzismo nel silenzio generale
Negli ultimi giorni attorno a Borgo Mezzanone si sono verificati due, gravi, fatti di sangue. Due omicidi con feriti, di cui o non si parla, o che vengono attribuiti a storie di degrado, perchè riguardano persone immigrate che abitavano o frequentavano la baraccopoli.
Il 29 settembre Aboubakar, un uomo di origine maliana che
frequentava il ghetto di Borgo Mezzanone, è stato ucciso a colpi di
fucile nelle campagne del foggiano. Il suo corpo, poi abbandonato, è
stato ritrovato lungo la strada che collega il ghetto di Borgo Mezzanone
con Carapelle. A sparargli sarebbe stato un vigilante italiano, che
avrebbe sorpreso l’uomo a rubare in un campo di pannelli solari. Motivo
sufficiente per ucciderlo in quanto nero e poi abbandonarne il
corpo. Pare, inoltre, che Aboubakar fosse una persona afflitta da
dipendenza e problemi di salute mentale. Sofferenze che, se sono un
frutto purtroppo usuale della segregazione a cui sono costrette le
persone immigrate, garantiscono, soprattutto alla stampa, alla politica e
ai sindacati, di potersi evitare scrupoli e ignorare la vicenda o
trattarla con superficialità. D’altronde se la vittima è immigrata, e in
più malata e tossicodipendente, e magari stava pure rubando, non
interessa certo indagare e approfondire più di tanto: dopo qualche
scarna riga uscita a ridosso del fatto è calato il silenzio. In fondo
“se l’è cercata”.
La notte del 3 ottobre poi, all’interno di un dei bar più
frequentati della pista, è scoppiato un violento alterco, durante il
quale un uomo di nome Khadim è stato accoltellato a morte.
L’accoltellatore è stato poi attaccato dai compagni dell’uomo ucciso ed è
morto ieri in ospedale.Due morti che, a uno sguardo superficiale,
possono apparire diverse. Se, però, Aboubakar è l’ennesima vittima di un
razzismo espresso nel modo più violento possibile, che si aggiunge a
un’infinita lista – si pensi a Sekine Traorè e Soumaila Sacko, uccisi
nella tendopoli di San Ferdinando in Calabria, o a Daniel Nyarko, ucciso
a colpi di pistola nei pressi di Trinatapoli per aver cercato di
sventare un furto (e questi, purtroppo, sono solo alcuni, eclatanti,
esempi) – nel caso di Khadim il razzismo fa soltanto un giro appena più
largo. Un giro che passa dalla segregazione e dalla marginalità a cui il
sistema di sfruttamento dell’agroindustria e le politiche migratorie
costringono le persone immigrate. Un razzismo che crea tensione,
rabbia e disagio che purtroppo, in alcuni casi, possono sfociare in
eventi come questo.
Quando fu ucciso Soumaila Sacko, la notizia assunse rilevanza
nazionale, e i sindacati, in particolare l’USB, e le associazioni si
precipitarono a speculare sulla notizia per acquisire visibilità,
gettando acqua sul fuoco della rabbia di chi viveva nella tendopoli.
Oggi invece tutto tace. CGIL e PD il giorno dopo la morte di Aboubakar
si sono recati a Borgo Mezzanone, millantando interventi sui mille
problemi del luogo, dall’acqua, all’elettricità, alle case e ai
documenti, senza dire una parola sull’omicidio della sera precedente. Il
loro obiettivo, d’altronde, è solo controllare che la giusta rabbia
degli abitanti non esploda, e, nel caso fare da pompieri. Dall’altra
parte, proprio nel pomeriggio dell’omicidio la polizia scatenava
un’ondata di controlli a Foggia città. E l’1 ottobre a Foggia l’USB ha
inscenato l’ennesimo teatrino, con un corteo in cui, di nuovo, nemmeno
una parola è stata spesa per l’omicidio di Aboubakar. Insieme alla CGIL
poi hanno partecipato ad un incontro in Prefettura per chiedere che i
200 milioni stanziati con i fondi del PNRR per il “superamento dei
ghetti” venissero sbloccati. La CGIL ha poi dichiarato che a Borgo
Mezzanone verranno installati, con quei fondi, altre decine di
container, per un totale di 324 posti. Come previsto, una misura
emergenziale che non risolve i problemi di chi vive nel ghetto, a
cominciare dai documenti, costringendoli a condizioni di vita se
possibile peggiori di quelle che già sopportano. Almeno nelle case
autocostruite ci si crea forme di autonomia.
Silenzio razzista, segregazione, controllo e repressione, dunque,
sono tutto quello che, come sempre, stampa, sindacati e istituzioni
hanno da offrire. Le persone immigrate però continuano a soffrire e a
morire, che sia per un colpo di fucile, per una rissa, per il caldo nei
campi o per il fuoco di una baracca. I motivi di queste morti e
sofferenze potrebbero essere eliminati facilmente, ma sappiamo bene che
governi, istituzioni e sindacati non ci regaleranno mai niente: non
documenti, non case, non un lavoro libero da sfruttamento.
Queste cose possiamo solo prendercele, e continueremo a lottare per farlo, anche in memoria di Aboubakar e Khadim.
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