Con un'azione autoritaria il governo Monti avoca a
sé la gestione della zona dell'Ilva. Ma la scia a Riva la libertà di
produrre, fare profitti, avvelenare gli operai e le famiglie.
Stamattina il governo approva il decreto sull'Ilva preparato dall'ineffabile ministro contro l'ambiente, Corrado Clini, ex direttore generale dello stesso ministero che – nell'ordinanza d'arresto dei vertici aziendali e alcuni complici corrotti – viene descritto come “cosa privata” di Riva.
Nel frattempo è stato recuperato in mare il corpo senza vita dell'operaio gruista investito dalla tromba d'aria dell'altroieri mattina. Un altro morto sul lavoro in conto all'Ilva. I lavoratori, tra l'altro, spiegano che quella mattina – quando sono crollate praticamente tutte le gru installate sui moli 3 e 4 - solo grazie al provvedimento di sequestro non erano al lavoro circa 200 operai, altrimenti ci sarebbe stata una strage. Nessuno, infatti, aveva lanciato alcun allarme su quello che stava per succedere, anche se la tromba d'aria era visibile da diversi minuti prima dell'impatto sullo stabilimento tarantino.
In ogni caso, la tromba d'aria ha provocato un disastro ambientale supplementare, che ha aggravato la situazione locale, perché ha trascinato in alto e poi fatto ricadere sullo stabilimento stesso e i quartieri circostanti grandi quantità di quei materiali velenosi depositati all'aperto e che erano stati considerati tra le principali cause di inquinamento e mortalità per tumore.
Il decreto che deve essere approvato oggi è, tanto per cambiare, un golpe istituzionale. E questa è ormai la cifra “istituzionale” del governo in carica.
Perché diciamo questo?
Basta leggere il testo.
In nessun punto viene minimamente accennato a una possibile correlazione tra attività iindustriale (alle condizioni produttive attuali) e aumento esponenziale dei tumori all'interno della fabbrica e nella città. Il generico riferimento alla "salute" sembra così più un auspicio o una "prece", che non una preoccupazione dello Stato.
Il punto istituzionalmente decisivo è l'ultimo, l'art. 4: “I provvedimenti di sequestro adottati dall'autorità giudiziaria che risultino in contrasto con quanto stabilito dal presente decreto legge perdono efficiacia”. La preoccupazione fondamentale è infatti azzerare la possibilità stessa che la magistratura possa esercitare il controllo di legalità (che riguarda una serie di circostanze ben più vasta di quelle contenute nel decreto) sull'Ilva.
La “continuità del funzionamento produttivo dello stabilimento siderurgico Ilva s.p.a. costituisce una priorità strategica di interesse nazionale”, anche in presenza di “criticità” per l'ambiente e la salute. Anzi, soltanto la “continuità produttiva” permetterebbe – contro ogni evidenza – la bonifica del sito.
La base legale (art. 1), che dovrebbe – mai condizionale fu più obbligato – vincolare l'azienda a risanare il sito, è l'Autorizzazione integrata ambientale dello scorso 26 ottobre (emanata dallo stesso ministero), che viene considerata “parte integrante del presente decreto”. E quindi “è in ogni caso autorizzata la prosecuzione dell'attività produttiva”. Non mancano le finte minacce per l'azienda, là dove si accenna alla possibile “revoca dell'Autorizzazione” ove fosse “riscontrata l'inosservanza anche ad una sola delle prescrizioni” lì impartite.
Per essere chiari, la “strategicità” dell'impianto per l'”interesse nazionale” non implica affatto una gestione o un controllo statale di quanto viene fatto a Taranto. I “titolari dell'Autorizzazione” (la famiglia Riva tramite il presidente, l'ex prefetto Bruno Ferrante) sono infatti “ammessi alla detenzione dei beni dell'impresa”, senza alcun impedimento. Tranne quelli, come già detto, dovuti dall'osservanza delle disposizioni dell'Aia.
Ma chi dovrebbe controllare che i Riva non continuino a far porcate ammazzando operai e popolazione?
Non più i “custodi” nominati dalla procura di Taranto, ma un “garante” che potrà avvalersi “dell'apporto dell'Ispra” (prestigioso istituto nazionale di monitoraggio ambientale, che da alcuni anni però viene messo sistematicamente in condizioni di non poter funzionare “grazie” al taglio dei finanziamenti, al blocco del turnover e alla incerta continuità prestazionale dei precari che popolano in gran numero i suoi laboratori).
Di quali mezzi disporrà per conto proprio questo “garante”? Nessuno. La sua attività, infatti, non potrà – secondo l'art. 3 del decreto – comportare “nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. Insomma: non faccia nulla. Ci pernserà poi lo stesso ministro a “riferire annualmente alle Camere circa l'ottemperanza delle prescrizioni dell'Aia”.
Il governo (potere esecutivo) si fa insomma garante dei profitti privati della famiglia Riva, esautorando le facoltà di controllo della magistratura (potere giudiziario) grazie a un decreto legge che supera – probabilmente con un voto di fiducia – i poteri del Parlamento (potere legislativo).
Se non è un golpe questo...
Stamattina il governo approva il decreto sull'Ilva preparato dall'ineffabile ministro contro l'ambiente, Corrado Clini, ex direttore generale dello stesso ministero che – nell'ordinanza d'arresto dei vertici aziendali e alcuni complici corrotti – viene descritto come “cosa privata” di Riva.
Nel frattempo è stato recuperato in mare il corpo senza vita dell'operaio gruista investito dalla tromba d'aria dell'altroieri mattina. Un altro morto sul lavoro in conto all'Ilva. I lavoratori, tra l'altro, spiegano che quella mattina – quando sono crollate praticamente tutte le gru installate sui moli 3 e 4 - solo grazie al provvedimento di sequestro non erano al lavoro circa 200 operai, altrimenti ci sarebbe stata una strage. Nessuno, infatti, aveva lanciato alcun allarme su quello che stava per succedere, anche se la tromba d'aria era visibile da diversi minuti prima dell'impatto sullo stabilimento tarantino.
In ogni caso, la tromba d'aria ha provocato un disastro ambientale supplementare, che ha aggravato la situazione locale, perché ha trascinato in alto e poi fatto ricadere sullo stabilimento stesso e i quartieri circostanti grandi quantità di quei materiali velenosi depositati all'aperto e che erano stati considerati tra le principali cause di inquinamento e mortalità per tumore.
Il decreto che deve essere approvato oggi è, tanto per cambiare, un golpe istituzionale. E questa è ormai la cifra “istituzionale” del governo in carica.
Perché diciamo questo?
Basta leggere il testo.
In nessun punto viene minimamente accennato a una possibile correlazione tra attività iindustriale (alle condizioni produttive attuali) e aumento esponenziale dei tumori all'interno della fabbrica e nella città. Il generico riferimento alla "salute" sembra così più un auspicio o una "prece", che non una preoccupazione dello Stato.
Il punto istituzionalmente decisivo è l'ultimo, l'art. 4: “I provvedimenti di sequestro adottati dall'autorità giudiziaria che risultino in contrasto con quanto stabilito dal presente decreto legge perdono efficiacia”. La preoccupazione fondamentale è infatti azzerare la possibilità stessa che la magistratura possa esercitare il controllo di legalità (che riguarda una serie di circostanze ben più vasta di quelle contenute nel decreto) sull'Ilva.
La “continuità del funzionamento produttivo dello stabilimento siderurgico Ilva s.p.a. costituisce una priorità strategica di interesse nazionale”, anche in presenza di “criticità” per l'ambiente e la salute. Anzi, soltanto la “continuità produttiva” permetterebbe – contro ogni evidenza – la bonifica del sito.
La base legale (art. 1), che dovrebbe – mai condizionale fu più obbligato – vincolare l'azienda a risanare il sito, è l'Autorizzazione integrata ambientale dello scorso 26 ottobre (emanata dallo stesso ministero), che viene considerata “parte integrante del presente decreto”. E quindi “è in ogni caso autorizzata la prosecuzione dell'attività produttiva”. Non mancano le finte minacce per l'azienda, là dove si accenna alla possibile “revoca dell'Autorizzazione” ove fosse “riscontrata l'inosservanza anche ad una sola delle prescrizioni” lì impartite.
Per essere chiari, la “strategicità” dell'impianto per l'”interesse nazionale” non implica affatto una gestione o un controllo statale di quanto viene fatto a Taranto. I “titolari dell'Autorizzazione” (la famiglia Riva tramite il presidente, l'ex prefetto Bruno Ferrante) sono infatti “ammessi alla detenzione dei beni dell'impresa”, senza alcun impedimento. Tranne quelli, come già detto, dovuti dall'osservanza delle disposizioni dell'Aia.
Ma chi dovrebbe controllare che i Riva non continuino a far porcate ammazzando operai e popolazione?
Non più i “custodi” nominati dalla procura di Taranto, ma un “garante” che potrà avvalersi “dell'apporto dell'Ispra” (prestigioso istituto nazionale di monitoraggio ambientale, che da alcuni anni però viene messo sistematicamente in condizioni di non poter funzionare “grazie” al taglio dei finanziamenti, al blocco del turnover e alla incerta continuità prestazionale dei precari che popolano in gran numero i suoi laboratori).
Di quali mezzi disporrà per conto proprio questo “garante”? Nessuno. La sua attività, infatti, non potrà – secondo l'art. 3 del decreto – comportare “nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. Insomma: non faccia nulla. Ci pernserà poi lo stesso ministro a “riferire annualmente alle Camere circa l'ottemperanza delle prescrizioni dell'Aia”.
Il governo (potere esecutivo) si fa insomma garante dei profitti privati della famiglia Riva, esautorando le facoltà di controllo della magistratura (potere giudiziario) grazie a un decreto legge che supera – probabilmente con un voto di fiducia – i poteri del Parlamento (potere legislativo).
Se non è un golpe questo...
dante barontini
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