sabato 29 novembre 2025

Ex Ilva: il 28 nov. incontro inutile e fallimentare - Ciò che abbiamo detto ieri in ORE 12 Controinformazione rossoperaia

Aggiornamento: 
L’incontro di Roma è stato inutile e fallimentare - non bisognava andarci e dare continuità alla lotta dopo la giornata di sciopero e blocchi. I sindacati genovesi invece avevano insistito e dato un assist al governo, puntando a una soluzione spezzatino per sè, ma non hanno ottenuto nulla, e ora tornano a urlare.
I sindacati a Taranto non dovevano partecipare, ma i servi della Fim Cisl e l’Usb hanno diviso sindacati e i lavoratori andandoci e contribuendo a dare una mano al governo per legittimare l’incontro. Giustamente Uilm e Fiom Taranto non ci sono andati.
Ora non c’ è altra strada che lotta ad oltranza per cambiare le cose - come da sempre insistiamo noi anche ieri mattina nel volantinaggio allo stabilimento e all'appalto.
Vediamo ora che succede e se si è coerenti con quello che si dice ai lavoratori. 
Slai cobas
Ieri nella Controinformazione rossoperaia ORE 12
abbiamo descritto chiaramente la situazione ex Ilva e ciò che ruota intorno ad essa.
La riportiamo:

Il 28 novembre, nuovo incontro a Roma, al Mimit, di tutte le parti sulla situazione in corso e soprattutto sul prossimo futuro dell'ex Ilva.

La Uilm che la Fiom di Taranto non parteciperanno perché Urso non ha ritirato il piano presentato l'11 novembre, nonostante ci siano stati scioperi, blocchi, iniziative di lotta anche a Taranto e quindi, di fatto, è un incontro farsa che conferma pienamente che si vuole bloccare la produzione e i 6.000 operai da gennaio che dovrebbero andare in casa integrazione. Invece, sicuramente, sono presenti la Fim e l'Usb. Per la FIM non ci possiamo meravigliare, è sempre il braccio accomodante del governo. L'Usb di Taranto con Urso fin dall'inizio c'è stato sempre una sorta di legame e partecipa per far pesare il proprio ruolo. Noi siamo d'accordo, chiaramente, con i sindacati che rifiutano questo incontro farsa che non potrà portare a nulla di diverso, a nulla di positivo; invece è molto negativo che Fim e Usb diano credito a questo incontro, diano credito a Urso e al governo.

Non ci sono, in realtà, nuove condizioni che possano portare a cambiamenti del piano del governo, se non qualche modifica o promessa di facciata che non mutano la sostanza nettamente negativa.

Il governo, che si proclama sovranista, sull'ex Ilva è ancora alla ricerca disperata all'estero di un possibile compratore a cui svendere la “patata bollente inquinata”, ma nel senso inquinata da loro, dell'Ilva, benché sia il governo che i padroni definiscano questa dell'Ilva una produzione strategica per un paese capitalista, per il suo peso nell'economia mondiale, e che l'Italia non può fare a meno dell'acciaio, ecc. Però nonostante questo si va a chiedere quasi in maniera elemosinante, offrendo soldi invece di averli dai possibili acquirenti, che ci siano compratori esteri che vogliano prendersi l'Ilva

Questo ha sollevato qualche denuncia, rimbrotto al governo da parte dei padroni italiani. Alcune associazioni imprenditoriali dicono che “solo una cordata industriale italiana potrebbe salvare la siderurgia nazionale, poiché interessi e strategie estere considererebbero Taranto più come un concorrente da indebolire che come un asset da potenziare”. Da un comunicato della Confartigianato. Ma anche altre aziende, altri grossi padroni, per esempio ultimamente l'Italimpianti, dicono che servirebbe “un nuovo soggetto imprenditoriale con la partecipazione dello Stato che coinvolga tutti i soggetti nazionali interessati”. Ma anche questi, nella logica del capitalismo, sarebbero comunque pienamente interni ad un piano che preveda profitti maledetti e subito e costi scaricati sullo Stato, e prima di tutto quelli della forza-lavoro.; e quindi la previsione è comunque di 5.000 esuberi anche nell'ipotesi di compratori italiani, come anche nel caso di una nazionalizzazione dell'ex Ilva. Lo scarico dei costi sullo Stato riguarda anche quelli della sicurezza, bonifiche, ambientalizzazione.

Però in realtà neanche loro, i padroni, si fidano.

Altri sottolineano che un soggetto imprenditoriale straniero non avrebbe alcun interesse “a risolvere i problemi di produzione dell'acciaio in Italia in quanto strategica per il sistema Paese-Italia”, in una situazione di forte concorrenza sul mercato mondiale, in una logica di ‘mors tua vita mea’ l'interesse può essere solo quello di acquisire una postazione in un'area interessante dal punto di vista geoeconomico che potrebbe avvantaggiare i propri interessi e gli interessi imperialisti economico-politici dei loro Stati nella situazione di in corso, di contesa a livello mondiale (pensiamo agli azzeri, i quali in realtà avevano molto interesse soprattutto per il gas, per avere una postazione vicina nel Mediterraneo, e quindi nell'offerta per l'Ilva pensavano più ad uno sviluppo che permettesse questa postazione per quanto riguardava il gas.

Così ora ci sarebbero due fondi americani che avrebbero interesse ad acquisire l'Ilva. Ma, guarda caso, questi fondi americani sono molto legati all'amministrazione Trump e questo viene devidenziato anche da giornali locali.

Ma altri scenari potrebbero prospettarsi.

Il Sole 24 ore li descrive in questa maniera: Nella situazione in cui viene “confermato un rafforzamento strutturale della spesa per la Difesa in Italia”, si parla di un'evoluzione del MIMIT, cioè del Ministero di Urso in un vero strumento di politica industriale strategica per il settore”; “si tratta  aggiunge – di un segnale positivo per l’intera filiera nazionale della Difesa”. Quindi si prospetta che ci possa essere un interesse per l'acciaio prodotto dall'Ilva da parte di aziende come la Leonardo, la Fincantieri.

Tant'è che la legge di bilancio in discussione punta a destinare per la Difesa per il 2025-2026 più di 10 miliardi di euro.

In questo tipo di scenario Urso potrebbe mettere sul piatto un futuro dell'acciaio per la guerra.

Ora c'è da dire che su una prospettiva di questo genere non è affatto detto che non ci potrebbe essere un accordo anche da parte dei sindacati confederali. Per esempio, mentre la Fiom della Leonardo di Grottaglie, in provincia di Taranto ha fatto settimane fa un appello contro una riconversione bellica della fabbrica di Grottaglie, dicendo giustamente “non in nostro nome, non col nostro lavoro”, la Fiom di Genova invece parlando anch'essa di “sovranità economica dell'Italia”, dice: “a Genova ci sono Leonardo, Fincantieri, Ansaldo, tutte realtà dove lo Stato è presente in modo importante. E soprattutto – aggiunge - garantirebbero stabilità, investimenti e una visione di medio-lungo periodo che invece un fondo privato da solo non garantisce. E Sottolinea “in palio c'è la sovranità economica dell'Italia e quindi su questo è necessario aprire un confronto con Federmeccanica e governo per garantire l’occupazione”.

Chiaramente la Leonardo sappiamo bene cos'è, sappiamo che in maniera veramente rapida sta aumentando il suo potenziale produttivo, con armamenti di vario genere. La Fincantieri produce per le piattaforme navali tra cui nuove fregate, unità logistiche e sottomarini. Quindi, questi potenzialmente sarebbero i principali consumatori nazionali di acciaio. E – si continua – avere una produzione interna, controllata e programmabile, è un vantaggio industriale enorme. Ma per farlo è necessario produrre acciaio, non chiudere gli impianti, come prospetta il governo”.

Ecco questi sarebbero gli scenari che tutti non risolvono i problemi del lavoro, del niente esuberi, dell'ambientalizzazione, delle bonifiche e così via.

Al momento, quindi, c'è un piano fallimentare anche dal punto di vista del governo e dei potenziali padroni; in prospettiva ci potrebbe essere un piano che guarda anche al legame con la produzione bellica e quindi la guerra.

Su "ambientalismo solidale con gli operai e ambientalismo antioperaio", leggi altro post a seguire 


L'ambientalismo solidale e l'ambientalismo antioperaio

 Un altro aspettoè necessario sottolineare, e riguarda il legame lavoro-occupazione e salute-bonifiche-ambientalizzazione

Questo che è un problema serio viene in questi giorni modo affrontato in maniera nettamente differente, quasi contrastante. Da un lato la posizione della rappresentante, riconosciuta della mobilitazione a Genova, in particolare dalle donne, della battaglia ambientale, e dall’altro la vergognosa posizione anti-operaia assunta a Taranto, soprattutto da un'associazione Genitori Tarantini, ma che è condivisa anche da altre associazioni ambietaliste.

Brevemente. Mentre la rappresentante di Genova, Patrizia Avagnini, dice: “solidarietà senza se e senza ma ai lavoratori. L'importante che ci sia un futuro come formazione, come occupazione, occupazione pulita”; e aggiunge: "Oggi vedo che è stata abbandonata quella comunione di intenti tra territorio e fabbrica (che c'era un tempo ndr), quasi a renderci contrapposti, credo che abbia indebolito noi ma ha indebolito fortemente i lavoratori della fabbrica. Oggi viviamo in un mondo dove noi, loro e la gente comune non conta più nulla. È cambiato tutto e conta solo la logica del profitto a tutti costi, l'umanità è zero". Nei giorni dello sciopero e del presidio ci sono state diverse testimonianze di vicinanza da parte dei cittadini del quartiere ai lavoratori che rischiano il posto. E Avagnini ha detto; sono triste perché vedo che si sta andando verso la chiusura della fabbrica, questo è un colpo al cuore”.

Quindi una posizione giusta, una posizione che non vede un contrasto tra le masse cittadine, le masse popolari e la lotta dei lavoratori, una posizione che così dovrebbe essere dappertutto. Invece a Taranto abbiamo una espressione fortemente anti-operaia quasi inferocita contro gli operai da parte di alcune associazioni ambientaliste.

I “Genitori tarantini” hanno criticato duramente i blocchi operai dell'ex Ilva definendole un “volgare tentativo di affermare la forza dei lavoratori”. Cioè, quando i lavoratori, gli operai dell'Ilva finalmente scioperano in maniera massiccia, fanno i blocchi stradali, esprimono la loro protesta in termini non di marcia usuale ma in termini di peso della forza dei lavoratori, ecco che gli ambientalisti piccoli e medio borghesi li chiamano “volgari” , e affermano che “il blocco stradale è una scelta sbagliata e penalizzante per i cittadini. Non si manifesta bloccando le strade”; e aggiungendo che l'associazione è stata presente ma “non a fianco ma di fronte agli operai” per ribadire la responsabilità di questi blocchi e dei disagi per la città. Poi accusano gli operai di “non essersi mai liberati dai paraocchi”, chiedendo agli operai “un rigurgito di dignità... che cosa ci sarebbe di nobilitante in un lavoro che fa malare voi e chi non c'entra nulla con quella produzione” – Quindi anche gli operai sarebbero responsabili/colpevoli di quanto accade in città, nei quartieri inquinati.

E finendo col dire, non che i cittadini, come invece dice la rappresentante di Genova, devono sostenere gli operai in lotta, devono essere dalla parte degli operai; ma l'inverso, che sono gli operai che devono schierarsi dalla parte di chi si è tolto i paraocchi e quindi sono gli operai che devono decidere da che parte stare.

Questo cosiddetto “ambientalismo” borghese, antioperaio, va nettamente combattuto!

E chiediamo agli ambientalisti sinceri di rompere con esso.

E’ necessario ancora di più, sempre di più, togliere alcuni veli, alcune confusioni che sulla questione Ilva continuano ad esserci, su che cosa significa il cosiddetto “contrasto” tra lavoro e salute. In realtà, come noi diciamo, “nocivo il capitale, non la fabbrica”, il contrasto è da un lato lavoro, salute, sicurezza, ambiente pulito, dall'altro profitti dei padroni e azione a favore solo dei padroni da parte del governo. Questo è il contrasto.

venerdì 28 novembre 2025

ORE 12 Controinformazione rossoperaia - Incontro/scenari per l'Ex Ilva - L'ambientalismo solidale e l'ambientalismo antioperaio

 

Marx entra in fabbrica... il 5 dicembre

Contro la Finanziaria antioperaia e antipopolare e per l'economia di guerra - Scioperi oggi dei sindacati di base - L'intervento dello Slai cobas all'Ilva

“Siamo dalla parte lavoratori ex Ilva” - Era ora...

Greenpeace, Legambiente e WWF Italia esprimono solidarietà a lavoratori di AdI e indotto e chiedono immediate garanzie al Governo
Corriere di Taranto

Greenpeace Italia, Legambiente e WWF Italia esprimono solidarietà e vicinanza a tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori del gruppo Acciaierie d’Italia, ai loro familiari e all’indotto che vive un momento di profonda incertezza. “Siamo dalla loro parte – si legge nella nota congiunta – la tutela dell’occupazione e il rispetto della dignità delle persone devono essere elementi vincolanti in qualunque processo decisionale che riguardi il futuro degli stabilimenti, alla pari della salvaguardia della salute e della necessità di abbattere le emissioni inquinanti e climalteranti”.

Per le associazioni va scongiurato il rischio ambientale e sanitario che una gestione emergenziale o una chiusura non programmata del ciclo produttivo comportano, specie se attuate in assenza di un piano strutturato di bonifica e di riconversione: ci sarebbero gravi rischi di danno ambientale duraturo per il territorio e per la salute delle comunità locali.

Le associazioni ambientaliste avevano chiesto solo dieci giorni fa al governo un piano di transizione degli stabilimenti del gruppo basato su governance chiara, tempi e finanziamenti certi e obiettivi misurabili per la decarbonizzazione e per la messa in sicurezza delle aree.

Oggi, considerato il piano presentato dal Governo ai sindacati in cui l’unica certezza sono le migliaia di lavoratori che saranno messi in cassa integrazione, senza alcuna garanzia sulle prospettive industriali di decarbonizzazione, le associazioni rilanciano con cinque richieste immediate: l’istituzione di un Tavolo nazionale vincolante Governo-Regioni-Sindacati-Comuni-Imprese-Società civile per definire un meccanismo di governance multi-stakeholder dei processi che preveda un coinvolgimento attivo delle comunità locali nelle decisioni che riguardano il futuro del territorio e le garanzie occupazionali (piani di reindustrializzazione e politiche attive del lavoro).

In secondo luogo, la creazione di un nuovo soggetto imprenditoriale controllato dallo Stato, come unico soggetto capace di garantire una effettiva decarbonizzazione, la diversificazione produttiva, le bonifiche e la tutela occupazionale.

Terzo punto, la definizione di un Piano di decarbonizzazione credibile e con finanziamenti certi che preveda la realizzazione entro il 2030 di nuovi forni elettrici per la produzione di acciaio, con la contemporanea progressiva dismissione di altoforni e cokerie, e di un impianto per la produzione di ferro preridotto (DRI), escludendo qualsiasi ricorso a impianti di rigassificazione.

La quarta richiesta consiste nell’accelerare gli investimenti sulle filiere industriali delle fonti rinnovabili e dell’idrogeno verde per ridurre al minimo gli impatti su clima, ambiente e, soprattutto, sulla salute dei lavoratori e delle lavoratrici, dei cittadini e delle cittadine che vivono vicino agli stabilimenti oltre a creare posti di lavoro aggiuntivi per far fronte alla minore intensità di manodopera dei processi elettrificati.

Infine, l’utilizzo immediato dei fondi nazionali e comunitari di scopo e coinvolgimento delle istituzioni europee e delle banche di sviluppo per mettere insieme una piattaforma mista di finanziamento (sovvenzioni, prestiti agevolati, garanzie) che consenta una transizione industriale sostenibile, senza ricadute sociali drammatiche e in linea con gli obiettivi del Piano Nazionale Integrato Energia Clima (PNIEC).

“Respingiamo il ricatto tra “salvare i posti di lavoro” e “salvare l’ambiente e la salute” – conclude la nota congiunta – la sola via praticabile è una transizione pianificata e partecipata che combini tutela sociale e sanitaria e trasformazione tecnologica. Senza un piano credibile di decarbonizzazione e senza investimenti strutturali si rischia sia la perdita di posti di lavoro sia un aggravarsi dell’impatto ambientale e sanitario sul territorio. Dopo anni di sacrifici enormi sopportati dalla popolazione delle città coinvolte, al danno si aggiungerebbe la beffa del deserto occupazionale e della fuga dalle responsabilità imprenditoriali. E ciò non è accettabile”.

mercoledì 26 novembre 2025

Il Mimit non mette soldi per il lavoro, per le bonifiche nell'ex Ilva, ma mette più di 10 miliardi per le armi - Urso sta diventando il Ministro delle industrie per la guerra


Venerdì 28 novembre interverremo alla Leonardo di Grottaglie
 Per chi non vuole andare alla fabbrica di sabato a parlarsi addosso, ma per incontrare e parlare con gli operai, appuntamento il 28 alle 12,15 presso la sede Slai cobas via Livio Andronico, 47 
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Occhi puntati su Leonardo, alla difesa destinato il 41% dei fondi industriali del Mimit
Pari a circa 10,3 miliardi di euro per il triennio 2026-2028. Salgono anche gli altri titoli europei del comparto sulle rinnovate tensioni in Ucraina con il piano di pace che difficilmente troverà attuazione nel breve termine

Il titolo della società guidata da Roberto Cingolani torna a salire dopo aver perso più dell’8% negli ultimi dieci giorni. Da inizio anno il titolo ha comunque messo a segno un guadagno di oltre il 76%.

La Legge di Bilancio in discussione nel triennio 2026-2028 per la difesa assorbirà il 40,9% del budget, pari a circa 10,3 miliardi di euro sui 25,1 miliardi totali. Le risorse finanzieranno programmi strategici nazionali e multinazionali, inclusi fregate, sottomarini, elicotteri, sistemi missilistici e veicoli blindati, oltre a progetti di ricerca e sviluppo aeronautico e dual-use. Una misura che si rivela coerente con l’impegno dell’Italia a rafforzare le proprie capacità nel quadro Nato ed europeo, in modo tale da raggiungere l’obiettivo del 5% del Pil entro il 2035.
Si «conferma il rafforzamento strutturale della spesa per la difesa in Italia e l’evoluzione del Mimit in vero strumento di politica industriale strategica per il settore». Si tratta, dunque, «di un segnale positivo per l’intera filiera nazionale della difesa», con Leonardo in prima fila tra i beneficiari diretti grazie ai programmi aerospaziali, missilistici e di elicotteri. Secondo gli esperti, anche Fincantieri -1,12% dovrebbe beneficiare della notizia, grazie alle sue piattaforme navali, tra cui nuove fregate, unità logistiche e sottomarini...

Ieri, 25 novembre, un corteo ha attraversato il centro città - Noi c'eravamo

A Taranto, vi è stata un corteo lungo il centro città, con alcune fermate in piazze. Il corteo era stato indetto dall'ass. Alzaia e dal Cetro antiviolenza "sostegno donna", a cui, si dice, avevano aderito circa un centinaio di associazioni, realtà di sinistra parlamentare, sindacati confederali, associazionismo cattolico, arci, alcuni rappresentanti delle istituzioni locali, e altre varie sigle anche della provincia. Rispetto a questa vasta adesione in realtà vi è stata una presenza ridotta rispetto allo scorso anno, alcune centinaia di persone. Per fortuna hanno partecipato alla manifestazione ragazze, studentesse, compagne della Fgc, della Casa del popolo, alcuni collettivi e attiviste delle iniziative per la Palestina, ecc.

Ma, ripetiamo, al lungo elenco di adesione non corrispondeva una presenza significativa. Certo, a Taranto, anche cortei di poche centinaia di persone sono importanti e soprattutto per la giornata del 25 novembre. Ma questo sistema di tante sigle che poi non partecipano e anche nei giorni successivi spariscono, non va bene. Tra l'altro il corteo era con il patrocinio del Comune che si sta comportando malissimo su temi sociali, e silenzio sulla Palestina, ecc.

Per questo noi, del Movimento femminista proletario rivoluzionario, non avevamo dato la adesione, ma abbiamo deciso di partecipare al corteo con nostre chiare e discriminanti parole d'ordine, cartelli, che erano un pò in contrasto con i contenuti, parole d'ordine molto moderate che c'erano: nessuna denuncia del sistema, del governo, dello stato che fomenta un clima, con le sue campagne ideologiche conservatrici, fasciste, con i mancati provvedimenti o provvedimenti inutili buoni solo per propaganda elettorale, un clima favorevole ad alimentare l'oppressione, le discriminazioni nella vita e sul lavoro e le conseguenze più terribili, femminicidi e stupri. E la scuola da tanti invocata come strumento di educazione sessuo-affettiva, in realtà non fa che riprodurre questa situazione, e non può essere certo oggi fattore di educazione/trasformazione.

Il nostro intervento è risultato utile e costruttivo attraverso slogan, cartelli (vedi la foto), brevi comizi volanti lungo il percorso, portando con chiarezza, soprattutto alle ragazze che per porre fine alla violenza sessuale non si tratta di chiedere a questo sistema, governo di "cambiare"; si tratta invece di "rovesciarlo", attraverso la ribellione, la lotta delle donne che deve essere di tutti i giorni e a 360° perchè "tutta la nostra vita deve cambiare".

Abbiamo portato solo noi con forza la denuncia della più immane delle violenze reazionarie oggi in atto contro le donne, quella del genocidio in Palestina, dove sono massacrate decine di migliaia di donne e bambini da parte di Netanyahu, con l'aiuto di Trump e la complicità del nostro gioverno Meloni; e nello stesso tempo chiamato alla solidarietà alla resistenza delle donne palestinesi - trovando appoggio.

I nostri cartelli - con Netnyahu-Meloni-Trump a testa in giù con la scritta: "tremate, tremate le streghe son tornate", e un altro "siamo tutte palestinesi", con slogan conseguenti, hanno trovato condivisione e sostegno, per tutto il corteo sono stati portati /innalzati da altre donne/compagne.

Riportiamo alcuni degli slogan più ripresi:

Assassini/assassini tremate tremate - le streghe son tornate 
Per ogni donna, uccisa, stuprata e offesa - siamo tutte parte lesa
Meloni fascista per te non c’è domani sono nate le nuove partigiane
Contro femminicidi, stupri oppressione - scateniamo la nostra ribellione
Lo stupratore non è malato ma figlio sano di questo Stato (cambiato) 
La furia delle donne vogliamo scatenare - questo sistema vogliamo rovesciare
Siamo tutte Palestinesi
Ci dicono di fare più bambini, e poi li ammazzano come in Palestina 
Ma quale Patria, ma quale Dio, del mio corpo decido io
Violenza sul lavoro, violenza familiare - questo sistema vogliamo rovesciare
Per ogni donna uccisa non basta il lutto - pagherete caro pagherete tutto!  
La lotta delle donne non si può fermare - tutta la vita deve cambiare

Settimanale ORE 12 - Speciale Ilva

PDF APRIBILE 

28 novembre - Presidio all'Acciaierie d'Italia/Appalto - info slaicobasta@gmail. com

Per lo sciopero generale del 28 novembre - a Taranto presidi dello Slai cobas per il sindacato di classe ad Acciaierie d'Italia/Appalto e Leonardo Grottaglie - info slaicobasta@gmail.com

Per il 28 sciopero generale contro la finanziaria del governo Meloni - denuncia punto per punto

Sullo sfondo l'economia di guerra. Spese militari di 23 miliardi nei prossimi tre anni e quasi 140 nei prossimi 15

Manovra di austerità per 18,7 miliardi. Niente per il Mezzogiorno, i giovani e il carovita

Briciole ai lavoratori e ai pensionati. Cancellate quota 103 e opzione donna. 4 miliardi ai capitalisti. Insufficienti i fondi per la sanità. Non toccati gli extraprofitti delle banche

Occorrono una patrimoniale, il ripristino della scala mobile, il taglio delle tasse fino a 28.000 euro, l'aumento dei salari e delle pensioni minime e più basse

 “Il governo ha approvato una legge di bilancio molto seria, equilibrata. Più leggera delle precedenti, ma in continuità e nel solco delle quali va letta”, ha detto Giorgia Meloni il 17 ottobre in conferenza stampa presentando la manovra di bilancio 2026 da 18,7 miliardi appena varata dal Consiglio dei ministri. La più piccola degli ultimi 10 anni e che a detta dello stesso ministro leghista dell'Economia e finanze, Giorgetti, non produrrà nessun impatto sull'economia reale.

Questo perché per rispettare le regole fissate dal nuovo patto di stabilità europeo e rientrare dalla procedura di infrazione, e poter accedere ai finanziamenti agevolati per il grande piano di riarmo da 140 miliardi in 15 anni (di cui 23 miliardi nei prossimi 3 anni), nella manovra non c'è un euro per gli investimenti pubblici. Anzi se ne tagliano più di cinque miliardi (su un totale di 7 spalmati su tutti i ministeri, come tributo annuo al patto di stabilità) dai programmi di investimento per la lotta all'evasione, il trasporto pubblico, locale e nazionale, l'edilizia e la sicurezza scolastica, la transizione ecologica, la difesa dell'ambiente, la prevenzione dalle calamità naturali, il Sud, i beni culturali, e così via. Non a caso questa è stata chiamata una “manovra di guerra”.

,,,questa manovra è in continuità con le precedenti tre del suo mandato, perché come quelle destina tutte le risorse disponibili, ai poteri economici e alle classi sociali su cui si fonda il consenso del suo governo . Come le imprese, che anche quest'anno ricevono un'altra decina di miliardi tra sgravi e agevolazioni fiscali, comprese quelle degli armamenti, che invece di restituire una parte degli enormi extraprofitti che stanno facendo avranno anche una cospicua parte del miliardo in più stanziato per portare la spesa della Difesa nel 2026 alla cifra record di quasi 35 miliardi.

E come le Banche, i cui extraprofitti da centinaia di miliardi non sono stati praticamente toccati, se non per qualche miliardo da imposte differite e altri magheggi contabili di Giorgetti per poter rendere “più presentabile” la manovra a chi ne deve fare le spese: cioè lavoratori dipendenti, pensionati, giovani (del tutto ignorati), il Mezzogiorno (per il quale non c'è nulla se non la riproposizione della decontribuzione fiscale per le aziende operanti nelle Zes), le famiglie povere e le masse popolari in generale: il cui tenore di vita è falcidiato dall'inflazione, ben al di sopra del 2%, che pesa sui consumi alimentari e servizi di prima necessità, come bollette, affitti, scuola, asili nido, trasporti, ticket sanitari, ricorso alla sanità privata a causa delle liste d'attesa infinite, ecc.

 La truffa sulla sanità e sui salari

A beneficiare della manovra saranno anche gli autonomi e professionisti, i commercianti e artigiani, i multi-proprietari di immobili e gli evasori fiscali, che costituiscono gran parte del bacino elettorale di questo governo, con l'ennesima rottamazione delle cartelle che costerà 790 milioni a chi paga le tasse fino all'ultimo centesimo, in massima parte lavoratori dipendenti e pensionati, e col ridicolo aumento della cedolare secca sugli affitti brevi, già destinato a decadere in parlamento.

La premier si è vantata che questa legge di Bilancio è basata su “quattro priorità: misure per la famiglia e la natalità, tutela dei salari, sostegno alle imprese e più fondi per la sanità”. Per le imprese certamente, per la famiglia forse, ma nel senso che intende lei, la famiglia della triade dio/patriaaa7famiglia, dal momento che le poche risorse stanziate per la rimodulazione dell'Isee, l'assegno unico (+ 10 euro al mese), i bonus nido e per i nuovi nati, sono indirizzate solo alle famiglie con figli.

Quanto alla sanità e ai salari siamo invece alla truffa bella e buona, perché i 2 miliardi in più sul Fondo sanitario non scalfiscono neanche il definanziamento accumulato in tre anni (al netto dell'inflazione), calcolato in 13 miliardi dalla Fondazione Gimbe, ed inoltre sono indirizzati per metà ad ingrassare la sanità privata, senza contropartita in termini di maggiori prestazioni, e non ci sono le 30 mila assunzioni di infermieri promesse.

La riduzione del 2% della seconda aliquota dell'Irpef e la detassazione degli aumenti da rinnovi contrattuali e da notturni e festivi, che già non recuperano l'inflazione accumulata dal 2022-23, sono taglieggiati in buona parte dal drenaggio fiscale, e non viene restituito quello già perso con le precedenti manovre, che secondo la Cgil ammonta a 25 miliardi. Per un salario da 30 mila euro l'anno lo sgravio Irpef sarà di appena 3 euro al mese, mentre negli ultimi 3 anni lo stesso reddito ha pagato 2 mila euro in più di fiscal-drag. Senza contare che si continua con la politica neocorporativa di sgravare le aziende capitaliste dagli aumenti contrattuali per scaricarli sulla fiscalità generale, cioè in definitiva sugli stessi lavoratori

Quanto ai pensionati, si continua a trattarli come un bancomat da cui succhiare risorse e vita, cancellando Quota 103 e Opzione donna, allungando l'età pensionabile di tre mesi oltre i 67 anni, cosa che porterà ad un sempre maggior numero di morti sul lavoro, come dimostra anche l'operaio 66enne, gli mancava un anno alla pensione, ucciso dal crollo della torre dei Conti a Roma, e con un misero aumento di 12 euro sulle pensioni minime per gli ultrasettantenni. Occorre tornare alla pensione a 60 anni per i lavoratori e a 55 per le lavoratrici. E ci deve essere un aumento consistente delle pensioni minime e delle pensioni più basse.

Occorre anche il rinnovo di tutti i contratti scaduti del settore pubblico e privato, con un aumento consistente di tutti i salari, quantomeno da recuperare tutta l'inflazione e il fiscal-drag pregressi. E per proteggere i lavoratori dal caro vita deve essere ripristinata la scala mobile e i salari devono essere esentati dall'Irpef fino alla prima aliquota di 28 mila euro.

Per un fisco veramente equo bisogna abolire tutti i regimi fiscali sostitutivi, come flat-tax, cedolare secca e altre forme di tassazione separata su immobili e capitali, e ricomprendere tutti i redditi nell'imponibile Irpef, aumentando il numero delle aliquote e ripristinando una vera progressività delle imposte. Va poi rivendicata subito un'imposta patrimoniale sui patrimoni grandi e medi, nonché un cospicuo aumento delle tasse di successione per gli stessi, che in Italia sono praticamente irrisorie.

Su questi temi rivendicativi il 28 novembre ci sarà lo sciopero generale dei sindacati di base.

Ecco più in dettaglio le principali misure della legge di Bilancio 2026.

Spese militari

In attesa del rientro dalla procedura di infrazione europea, per poter stanziare 12 miliardi presi a prestito agevolato dal fondo Safe previsto dal programma Rearm Europe, la manovra aggiunge intanto un altro miliardo alle spese militari per il 2026 (+3,5% sul 2025), portandole a sfiorare il tetto record di 35 miliardi l'anno. La cifra comprende ben 13,1 miliardi di investimenti per nuovi armamenti (+1,42% sul 2025), composta da circa 9,9 miliardi del ministero della Difesa e oltre 3 miliardi provenienti dai fondi del ministero delle Imprese e del Made in Italy: e cioè il Programma 1.9 per “Interventi in materia di difesa nazionale”, a cui vanno aggiunti 215 milioni per “Interventi nei settori industriali ad alta tecnologia”.

E questo a prescindere dai 23 miliardi già stanziati per il prossimo triennio dal Documento di programmazione finanziaria pluriennale varato dal governo a inizio ottobre, nel quadro del programma di riarmo che prevede la spesa complessiva di 140 miliardi nei prossimo 15 anni.

Tagli alla spesa

Per quanto definita “leggera” dal governo, questa manovra contiene ben 7,2 miliardi di tagli alla spesa di tutti i ministeri nel triennio 2026-2028 (quasi il 40% dell'intero ammontare), e che – attenzione - vanno ad aggiungersi ai 7 miliardi di tagli lineari dell'anno scorso. Il taglio è lineare per 1,8 miliardi e per altri 5,4 da investimenti “differiti” al prossimo triennio. I più penalizzati sono lo stesso ministero dell'Economia e finanze, che nel 2026 perde 456 milioni, quello delle Infrastrutture e trasporti (-525 milioni), dell'Ambiente e sicurezza energetica (-376 milioni), dell'Istruzione e merito (-141 milioni) e delle Imprese e made in Italy (-120 milioni).

Tradotto in termini di programmi di spesa, i danni maggiori ricadranno, tra tagli lineari e agli investimenti, su: gestione dei beni dello Stato, lotta all'evasione, fondi per i Caf, interventi per pubbliche calamità (Mef); Edilizia statale, trasporto marittimo, ferrovie e mobilità e sicurezza locale, in particolare metropolitane di Roma, Napoli e Milano (Mit); tutela e gestione delle risorse idriche e miglioramento qualità dell'aria (Mase); edilizia scolastica e sicurezza nelle scuole (Mim); aiuti alle piccole e medie imprese e interventi per le crisi industriali, tra cui il taglio di 300 milioni del fondo per i forni elettrici previsti dal piano di riconversione del polo siderurgico di Taranto (Mimit).

Particolarmente odiosa è poi la cancellazione di 267 milioni per il 2026 dal “Fondo povertà”, con un taglio del 65% delle risorse per interventi e servizi sociali in favore dei beneficiari dell'Assegno di inclusione (Adi), quello che ha sostituito in peggio il Reddito di cittadinanza. Ma tagli consistenti subiranno anche i fondi del ministero dell'Interno per il soccorso civile e l'immigrazione e l'accoglienza, quelli del ministero della Salute per la prevenzione, quelli del ministero dell'agricoltura per la competitività e la qualità delle produzioni, quelli del ministero della Cultura relativi alla tutela dei beni e del paesaggio e per gli aiuti al cinema, e così via.

Sanità

Secondo la premier neofascista la sanità è una delle quattro priorità della manovra, avendo destinato 2,1 miliardi al Fondo sanitario nazionale per il 2026, che si aggiungono ai circa 4,2 derivati da stanziamenti precedenti. Ma questi ultimi sono destinati essenzialmente ai rinnovi contrattuali, e gli stanziamenti si azzerano nel biennio 2027-2028, tanto che la quota della spesa sanitaria in rapporto al Pil, già nettamente inferiore alla media europea e dei paesi dell'Ocse, è prevista crollare al 5,9% nel 2028 rispetto al 6,3% del 2024. In realtà, come rilevato dalla Fondazione Gimbe, anche a prescindere dal fatto che è inferiore all'inflazione, l'aumento è solo “l'ennesima illusione contabile”, visto che la differenza tra spesa prevista e risorse assegnate sarà di 6,8 miliardi nel 2026, e crescerà fino a 10,7 nel 2028.

Se poi si va a vedere a cosa sono destinati questi fondi, si scopre che circa la metà andranno alla sanità privata, alla quale vanno già 42,6 miliardi di denaro pubblico l'anno, pari a circa il 25% del totale della spesa sanitaria nazionale, in costante aumento negli ultimi anni. Negli 1,1 miliardi che andranno alla sanità privata sono compresi infatti 246 milioni per l'acquisto di un maggior numero di prestazioni private in convenzione; che però quest'anno costeranno di più allo Stato, per cui la maggior spesa non si tradurrà in un abbattimento delle liste d'attesa. Anche il bonus psicologo da 90 milioni finirà in gran parte ai privati. C'è poi un aumento di 50 milioni alla sanità privata vaticana, portando da 20 a 70 milioni il contributo annuo fisso all'ospedale romano “Bambin Gesù”. Altri 350 milioni andranno ad innalzare il tetto di spesa per farmaci e dispositivi medici (che aumenta solo il rimborso a favore delle imprese farmaceutiche, senza contropartita in aumento di farmaci), e 66 milioni di sussidi andranno alle farmacie per svolgere servizi medici sostitutivi, fortemente voluti dal sottosegretario alla salute Gemmato, guarda caso farmacista pure lui.

Quanto ai soldi destinati al personale sanitario, 450 milioni serviranno ad assumere mille medici e seimila infermieri, e altri 280 ad aumentarne gli stipendi. “Si tratta solo di briciole”, denuncia Gimbe, (40 euro netti al mese per gli infermieri), che “non saranno sufficienti ad arrestare l'emorragia” di personale”. La carenza di infermieri supera infatti le 180 mila unità rispetto alla media europea, ma la manovra prevede solo 6 mila assunzioni in tutto, dopo che il ministro Schillaci ne aveva promesse almeno 10 mila nel 2026, per arrivare a 30 mila entro il 2028.

Pensioni

Secondo le promesse elettorali la coalizione di governo avrebbe dovuto abolire la legge Fornero, e invece con questa manovra aumenta l'età pensionabile per tutti i lavoratori ed abolisce anche Quota 103 e Opzione donna, due delle tre possibilità di andare in pensione prima di aver maturato i requisiti. Resta in piedi infatti solo l'Ape sociale riguardante i lavori particolarmente gravosi e usuranti. Inoltre aumenta di un mese dal 2027 il minimo di versamenti contributivi per andare in pensione anticipata indipendentemente dall'età (ex pensione di anzianità), attualmente fissato a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 e 10 mesi per le donne. Dal 2028 l'aumento sarà di tre mesi per tutti.

Anche l'età pensionabile per la pensione di vecchiaia, attualmente a 67 anni con un minimo di 20 anni di contributi, salirà di un mese dal 2027 e di tre mesi dal 2028.

Si ripete poi anche quest'anno la beffa dell'“aumento” delle pensioni minime, che per 1,1 milioni di pensionati sopra i 70 anni e altri in condizioni disagiate ammonta a 12 euro mensili lordi, che si vanno a sommare agli 8 euro della manovra precedente, consentendo al governo di rivendicare un aumento di “ben” 20 euro dal 2026.

Irpef e salari

Con questa manovra la neofascista Meloni sbandiera che sono stati “tutelati i salari”: “Il potere d'acquisto dei salari italiani prima del 2022 diminuiva, oggi cresce”, ha detto infatti in conferenza stampa, riferendosi ai 2,9 miliardi stanziati per ridurre l'Irpef dal 35% al 33% ai redditi del secondo scaglione, quelli tra 28.000 e 50.000 euro (con beneficio che si estende fino a 200 mila euro), e ai 2,1 miliardi per il taglio dal 5 all'1% delle tasse sui premi di produttività (fino a 5.000 euro), per la tassa piatta al 15% per il lavoro notturno e festivo e per la tassa piatta al 5% sugli aumenti contrattuali sottoscritti nel 2025-2026. Quest'ultima vale per i redditi sotto i 28.000 euro e solo dei lavoratori dipendenti del settore privato.

Ma c'è poco da vantarsi, perché anche con ciò i salari stanno ancora ben sotto il livello dell'inflazione patita nel 2022 (+8,1%) e nel 2023 (+5,7%), tanto che il loro potere d'acquisto resta più basso rispetto a quello prima del Covid. Per quanto riguarda il taglio dell'Irpef, quasi la metà delle risorse (1,3 miliardi) saranno assorbite dai redditi medio-alti, sopra 50 mila euro e fino a 200 mila euro, limite a cui lo sconto cessa. Per questa fascia il vantaggio arriva fino a 440 euro l'anno (36,7 euro mensili).

Per i redditi medio-bassi, invece, si tratta di pochi spiccioli, qualche euro al mese. Ma quel che è peggio è che questo sconto del 2%, la detassazione degli aumenti contrattuali e gli altri bonus fiscali, innescano il fenomeno del drenaggio fiscale, causato da un non corrispondente adeguamento delle aliquote fiscali all'inflazione. Per cui va a finire che gli aumenti salariali vengono rimangiati in tutto o in parte, o addirittura producono una perdita secca di salario. Secondo uno studio della Cgil, per esempio, un aumento salariale del 2%, al passo con l'inflazione, produrrebbe un drenaggio fiscale di ben 1.566 euro su un reddito di 35 mila, a fronte di 413 euro di aumento in busta paga; sarebbe di 513 euro su un reddito di 20 mila, a fronte di 345 euro in busta, e di 130 euro su un reddito di 15 mila euro, a fronte di 259 euro in busta.

Accise

Altro che cancellazione delle accise sui carburanti, come chiedeva la Meloni quando era all'“opposizione”: con la scusa del “riallineamento” delle tasse su benzina e gasolio, dal 1° gennaio la benzina scenderà di 4,05 centesimi al litro e il gasolio salirà di altrettanto, per arrivare alla stessa accisa di 67,2 centesimi. Solo che il consumo di gasolio è tre volte quello della benzina, per cui il trucchetto frutterà all'erario 450 milioni l'anno di media nel triennio. Aumentano anche le accise sulle sigarette, da 29,5 euro a 32 euro ogni mille sigarette nel 2026, per arrivare a 35,5 euro nel 2027 e 38,5 euro nel 2028.

Banche

Il contributo “volontario” di 11 miliardi in tre anni chiesto a banche e assicurazioni (poi ridotti a 10 dopo l'acceso scontro nel governo da parte soprattutto di Tajani, rappresentante degli interessi degli eredi Berlusconi in Mediolanum, mentre Salvini faceva invece il gradasso chiedendo di aumentare la quota), è una delle due misure di facciata, insieme all'aumento della cedolare secca sugli affitti brevi, che il governo ha infilato nella manovra per darle un'immagine “equanime” di austerità estesa anche a chi in questi anni si è arricchito a dismisura, e per far digerire meglio a lavoratori e pensionati i tagli alla spesa e il riarmo.

Si tratta di un mix di misure che dovrebbero portare in cassa 4,3 miliardi nel 2026, altri 4,4 nel 2027 e 1,6 nel 2028. In realtà l'unico “contributo” vero imposto alle banche è l'aumento del 2% dell'Irap, che vale circa 4 miliardi nel triennio. Poi c'è una sorta di contributo volontario per sbloccare le riserve accantonate nel 2023, con uno sconto dal 40 al 27,5% di imposta nel caso di adesione (con un gettito calcolato di 1,6 miliardi). Il resto sono artifici contabili di vario tipo (crediti differiti, riduzione della deducibilità delle perdite ecc.), che in sostanza aumentano il gettito per il triennio 2026-2028 per restituirlo alle banche nel triennio successivo, e che vale all'incirca altri 4,5 miliardi.

“Non vogliamo tassare la ricchezza prodotta dalle aziende, perché daremmo un segnale sbagliato”, ha assicurato Meloni all'ad di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, in una conversazione riportata nel nuovo libro di Vespa. “Se su 44 miliardi di profitti nel 2025 ce ne mettono a disposizione circa 5 per aiutare le fasce più deboli della società – ha aggiunto in tono conciliante la premier neofascista - credo che possiamo essere soddisfatti noi e che in fin dei conti possano esserlo anche loro”.

Da parte sua Giorgetti ha ribadito che “non c’è tassazione sugli extraprofitti, perché la tassazione sugli extraprofitti è discrezionale. Mi aspetto che questa situazione non venga drammatizzata”.

Affitti brevi

In Cdm era stato approvato un aumento dell'imposta sostitutiva per tutti gli affitti brevi, quelli inferiori a 30 giorni offerti da privati ai turisti, generalmente attraverso intermediari online come Airbnb e Booking, affitti che dopo il Covid hanno avuto un boom enorme, triplicando il loro valore fino a ben 9 miliardi. Ciò ha provocato di conseguenza una forte distorsione del mercato, con la netta riduzione dell'offerta di immobili in affitto lungo per famiglie, giovani coppie, studenti ecc.

Attualmente l'imposta è del 26%, ma per il primo immobile affittato il proprietario può chiedere la riduzione al 21%. La bozza di manovra cancellava questa opzione, unificando l'imposta al 26% per tutti gli immobili. Solo che anche questa pur risibile misura di facciata (vale appena 100 milioni) ha prodotto accesi scontri nella maggioranza, stavolta con Tajani e Salvini alleati nel volerla affossare per non irritare i multi proprietari di case, che rappresentano una cospicua percentuale dei loro elettori. Alla fine Giorgetti ha accettato di cancellare il 21% solo ai proprietari che non si servono di intermediari e affittano direttamente il primo immobile, ma siccome questi soggetti sono pochissimi, Tajani e Salvini hanno già promesso che aboliranno la norma in parlamento.

Imprese

Di solito si lamentano di aver avuto troppo poco, ma stavolta si dichiarano abbastanza soddisfatte di questa manovra, che nonostante la ristrettezza delle risorse non ha lesinato i sussidi agli industriali, con 4 miliardi nel triennio per il super e l'iper-ammortamento sui beni strumentali, che può arrivare fino al 200% dei soldi investiti, gli sgravi fiscali per 4,3 miliardi nel periodo 2027-2029 per la Zona economica speciale del Mezzogiorno, 650 milioni in due anni per gli investimenti delle Pmi (nuova Sabatini) e altri 400 milioni nel triennio per le imprese del turismo.

A ciò andrebbe aggiunta anche la detassazione degli aumenti contrattuali e del lavoro notturno e festivo, i cui costi vengono scaricati sulle casse dello Stato invece di gravare sulle imprese. Una misura concordata anche con Cisl e Uil, isolando sempre più la Cgil, secondo la decisa logica neocorporativa impressa dal governo neofascista alle relazioni industriali. Soddisfatto della manovra e di questa nuova versione neocorporativa di “concertazione” il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, che ha dichiarato: “La premier ha parlato di 8 miliardi per le imprese, 2,3 per le Zes e, insieme ai sindacati, abbiamo chiesto la decontribuzione dei contratti. Quindi su queste cose abbiamo dialogato. Risultato: un buon primo passo. Lavoriamo per un piano triennale”.

Da parte sua, con un'intervista confezionata ad hoc con la compiacente Maria Latella per il confindustriale “Sole-24 Ore”, la Meloni ha detto compiaciuta: “Con Confindustria c’è sempre stato un dialogo franco e nel merito, e devo ringraziare di questo il Presidente Orsini, che è un combattente ma anche una persona pragmatica. Non sempre è stato possibile accogliere le proposte che arrivavano, ma sono convinta che ci sia nel mondo produttivo italiano la piena consapevolezza di poter contare su un governo che è al loro fianco”.

5 novembre 2025

lunedì 24 novembre 2025

NO alla repressione di manifestazioni per la Palestina - Contro la multa del Comune di Taranto allo Slai cobas

Il Comune di Taranto non ha mai preso pubblica posizione contro il genocidio in Palestina;
Il Comune di Taranto, nonostante pressanti richieste da solidali per la Palestina, non ha fatto nulla neanche quando è arrivata a Taranto la nave per caricare gas dall'Eni per Israele;
 
MA IL COMUNE DI TARANTO, mandando la sua polizia locale, SI E' INVECE SUBITO ATTIVATO PRIMA PER IMPEDIRE UNA MANIFESTAZIONE PER LA PALESTINA, INDETTA DALLO SLAI COBAS - COMITATO IOSTOCONLAPALESTINA, POI ATTUANDO L'AZIONE REPRESSIVA applicando una multa.
 
Lo Slai cobas, respingendo questa manovra, ha fatto ricorso (vedi stralci di seguito del testo del ricorso), ma soprattutto denuncia questo Comune, il sindaco Bitetti che non solo sta colpendo lo Slai cobas ma si pone vergognosamente dalla parte di chi, in prima fila il governo italiano Meloni, è complice di fatto di quanto ancora succede in Palestina.
   
STRALCI DEL RICORSO 
 

domenica 23 novembre 2025

Alcune note sulla questione inquinamento ambientale dell'Ilva e "soluzioni" - prendendo spunto da un convegno del 15 novembre

 

Partiamo da alcuni fatti, che sono certezze:

Primo - Il Circolo Ilva di Bagnoli dice: “Nella nostra esperienza - e non solo - alla chiusura di importanti centri di produzione industriale, non ha corrisposto una magnifica e progressiva sorte per i territori e le popolazioni che li abitano nella transizione ecologica dell'economia. Proprio l'eredità della fabbrica, la cultura del lavoro e della solidarietà sociale, è il bene più prezioso da salvaguardare. Dopo lo smantellamento dell'ILVA di Bagnoli, ultimato all'inizio di questo secolo, sono trascorsi 25 anni e ancora si attende la rigenerazione sociale, economica e ambientale che è stata promessa”. Lo smantellamento e la Bonifica di Bagnoli ha una superficie di 1.200.000 mq costerà 1.750ML; Per l’ILVA di Taranto che ha una superficie di 15.450.000 mq (quasi 13 volte in più) anche il costo dello smantellamento e della bonifica deve essere aumentato per 13 volte, col risultato - dice qualcuno – che si spenderebbe meno ad investire per rendere eco-compatibile lo Stabilimento.

Chi, e anche noi su questo, si preoccupa dei tempi indicati dal governo per la decarbonizzazione - 12 anni, poi, non sappiamo se per tenere buoni i sindacati, ha parlato di 8 anni – ed esperti parlano di circa 10 anni tra spegnimento degli attuali altoforni e costruzione di nuovi impianti; chi parla di “chiusura della fabbrica subito”, e che così tutti i problemi di ambientalizzazione si risolveranno, fa bassa demagogia. Invece di battersi perché le bonifiche inizino subito in fabbrica, in area industriale, nei quartieri – bonifiche che sarebbero anche una risposta seria alla tenuta occupazionale degli operai dell’Ilva che si vuole invece buttare fuori insieme ai 1600 già fuori e in cig dal 2018.

A Bagnoli dalla chiusura dello stabilimento ad oggi sono passati più di 30 anni, e, nonostante siano in tutti questi anni passati governi di ogni tipo: da centrosinistra, a centrodestra, a destra, non esiste ancora una “rigenerazione sociale, economica, ambientale”. E a Taranto, invece, con una realtà 13 volte più grande di Bagnoli, tutto sarebbe risolto in pochi anni?

Anche a Bagnoli gli operai, messi fuori dalla fabbrica chiusa, i cittadini, associazioni in tutti questi anni si sono battuti perché ci fosse la bonifica, e anche alternative di lavoro, ma hanno dovuto sbattere la testa contro un muro. Ma qui a Taranto ci si compiace di fare del populismo illusorio, di risolvere problemi seri con slogan.

Secondo - Come hanno detto alcuni esperti in un recente convegno il 15 novembre alla Biblioteca Acclavio, "Oltre il bluff della decarbonizzazione": non esiste inquinamento zero - "Emissioni zero non esistono" ha detto per esempio il Prof. Mauro Solari, ingegnere chimico, esperto in valutazioni ambientali, "i limiti di legge tecnologici non portano a salubrità dell’aria" - ma una significativa riduzione del grave inquinamento attuale è possibile, con eliminazione degli impianti più inquinanti: cockerie, impianti di agglomerazione che emettono gli uni benzoapirene e gli altri diossina, eliminazione altoforni, e sostituzione con forni elettrici con uso però di idrogeno green.

Ma chiaramente ci vuole volontà politica del governo e molti finanziamenti. Anche altri esperti hanno detto che “servono investimenti statali, non privati”; così come la delocalizzazione dei nuovi impianti lontano della città è un passaggio serio, necessario.

Quindi, due questioni:

da un lato, coloro che auspicano in questo sistema capitalista “inquinamento zero” dicono che non si deve mai più produrre acciaio – cosa impossibile e fuori dalla realtà (per tantissime cose, anche per le pentole in cui cuciniamo, serve l’acciaio); o peggio, come affermano anche alcuni ambientalisti a Taranto, “da noi NO… che venga prodotto da altri paesi…”, con una logica razzista (come hanno detto a proposito della nave rigassificatrice: a Taranto no, se volete mettetela a Gioia Tauro…);

dall’altro, nel sistema del capitale che produce solo per il profitto, tutte le produzioni sono nocive, perché i padroni, lo stato, il governo puntano a tagliare costi su salute e sicurezza che per loro sono inutili – tant’è che le morti operaie avvengono in tutti i settori (anche nella famosa “agricoltura”, auspicata come una delle alternative produttive all’acciaio a Taranto); così come l’inquinamento ambientale c’è eccome anche in zone in cui non ci sono impianti siderurgici (vedi le battaglie nel napoletano - terra dei fuochi..., vedi la mobilitazione degli abitanti di Casale Monferrato); anche l’economia turistica è certamente inquinante dei mari, dei territori, ecc.

Ma nessuno di coloro, ambientalisti o alcuni esperti professori, che denunciano la situazione ambientale a Taranto, mette in discussione questo sistema capitalista, i governi al suo servizio.

In un altro sistema sociale, che si chiama socialismo, in cui i proletari, le masse popolari hanno il potere politico ed economico nelle loro mani, è possibilissimo che anche una produzione di acciaio non sia inquinante, perché pone al centro la sicurezza degli operai, delle masse, perché indirizza lo sviluppo delle forze produttive, la scienza, i progressi tecnologici, la sanità a risolvere i problemi vecchi e nuovi delle popolazioni, perché fa della principale forza produttiva – la forza-lavoro operaia liberata dalle catene di sfruttamento del capitale - la forza motrice del cambiamento, del rapporto positivo natura/umanità.

Nocivo è il capitale non le fabbriche. Ma una cosa così evidente, semplice, ci si ostina a non volerla capire.

Alcune associazioni ambientaliste, dai “Lavoratori e cittadini liberi e pensanti”, a “Giustizia per Taranto”, hanno fatto un “gran lavoro” producendo un elenco infinito di attività lavorative alternative, che potrebbero occupare addirittura ben più dei 15 mila operai dell’Ilva e dell’appalto/indotto; si sono semplicemente “dimenticati” di dire che anche questa “economia alternativa” alternativa non è, perché sarebbe sempre e comunque gestita da padroni o da un governo dei padroni che ha sempre come scopo il profitto. Si tratta di spargere illusioni, meglio dire “stupidaggini”, perché, a parte tutto, se a Taranto chiude l’Ilva, si chiudono tanti altri settori lavorativi, e i nuovi non vengono, perché sempre è l’industria grande che attira intorno quelle medie/piccole.

Ci rivolgiamo anche a coloro che parlano – l’hanno fatto anche nel convegno del 15, per es. il prof. Giua – della necessità da parte delle Istituzioni del “coinvolgimento della città, dei cittadini”. Sembra una cosa che dovrebbe essere normale, ma anche qui chi auspica questo sembra non comprendere minimamente la realtà.

Perchè mai questo governo, queste Istituzioni che attaccano i diritti democratici dei lavoratori, delle masse popolari, che lavorano per una “dittatura quasi personale” (Meloni, insegna), che marcia verso un moderno fascismo, dovrebbero volere che i cittadini contino nelle decisioni, nei piani?

Ancora, anche qui, dire queste cose senza dire che la reale partecipazione dei lavoratori, delle masse popolari è nella lotta per rovesciare questa situazione, per rovesciare il governo (tutti i governi dei padroni) che non vogliono dare soluzioni né ai lavoratori, né ai cittadini di Taranto; che non vuole mettere soldi per questo, che se le persone si incazzano seriamente risponde con la polizia; di fatto, che lo si voglia o no, si fa demagogia, o si spargono illusioni impotenti. 

Guardate che oggi come oggi è molto più concreta e può portare a risultati questa battaglia, che non l'elenco di economie alternative.

Noi pensiamo che gli “esperti”, i professori dovrebbero mettere il loro sapere, le loro ricerche al servizio di una reale comprensione della realtà e del ‘che fare’, non per “accompagnare il morto” delle denunce e lamenti.