Nessuna modifica da parte del governo né sul numero di operai che vengono posti in cassintegrazione né sui futuri esuberi – che ci saranno al di là della soluzione vendita o intervento dello Stato; né sui soldi, né sul piano industriale e ambientale.
Ora sono i Fondi che chiedono l’intervento finanziario del 40% da parte del governo, mentre loro vogliono mettere 1 euro per prendersi l’ex Ilva. Un intervento pubblico che ripeterebbe, in peggio, la situazione avvenuta con ArcelorMittal – in peggio perché ArcelorMittal aveva messo dei propri soldi.
Quindi, non è il governo che avrebbe ceduto alle richieste sindacali di intervento pubblico o nazionalizzazione.
I sindacati confederali e l’Usb hanno fatto “furia francese e ritirata spagnola”.
Genova da un lato ha ottenuto un passo indietro di Urso sul discorso di fermare la produzione a marzo, dall’altro una riduzione dei numeri di operai in cassintegrazione. Quindi hanno posto fine alla lotta che aveva avuto momenti duri e importanti. Ma la posizione: che venga salvato il loro stabilimento e se ne fregano di Taranto è una posizione sbagliata, corporativa. Si tratta tra l’altro di una visione corta – prendere dall’estero i coils costa di più e senza l’acciaio di Taranto, Genova non va da nessuna parte; sarebbe solo una boccata di ossigeno momentanea.
Taranto ha subito mollato la lotta, dopo 2 giorni di blocco positivo; ma per Taranto proprio nulla è cambiato; non ci sono stati neanche quei minimi “passi indietro” di Urso sui numeri di cassintegrati fatti per gli stabilimenti del nord.
Nello stesso tempo a Taranto i sindacati confederali fanno alleanza con il Comune sui progetti di attività lavorative alternativi all’Ilva; progetti che sono “aria fritta”. Nuove ditte investono se c’è la grande azienda che produce direttamente o indirettamente lavoro per altre. Ma nell’ipotesi di nuove attività, queste dovrebbero andare ai disoccupati, ai precari (Taranto nelle classifiche nazionali è tra le ultime soprattutto in tema di occupazione), non agli operai dell’ex Ilva. Questa linea, quindi, è di fatto accettazione degli esuberi/licenziamenti in Ilva.
Tutto questo dimostra che non basta una lotta dura, che non sia al servizio di obiettivi di classe.
Ma mai una piattaforma degli operai è stata portata durante le decine di incontri romani, né durante i giorni del blocco. Senza la piattaforma operaia la lotta diventa al servizio delle soluzioni per governo e padroni
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