venerdì 1 settembre 2023

Acciaierie d'Italia alle Ditte: invece che pagare i suoi debiti, impone un ricatto - Una lettera "riservata"...

Da Il Manifesto

Acciaierie d’Italia, quella strana «offerta» inviata ai fornitori 

Un imprenditore denuncia il meccanismo con cui l’ex Ilva propone la restituzione di somme di denaro, anche per saldare debiti pregressi
Gaetano De Monte, TARANTO

C’è una lettera inviata da Acciaierie d’Italia Spa ai propri fornitori, e che il manifesto ha ottenuto in esclusiva, che racconta molto delle dinamiche di potere all’interno della fabbrica siderurgica, ex Ilva, di Taranto. Un imprenditore che l’ha ricevuta e che per ovvie ragioni preferisce mantenere l’anonimato – «Non lavorerei più e dovrei licenziare i miei dipendenti», dice – racconta che nel maggio scorso l’azienda ha inviato una missiva di quattro pagine (di cui siamo attualmente in possesso) che ha per oggetto «offerta di incentivazione – scadenza 31/12/2023». Ma andiamo con ordine.

LA PRIMA STRANEZZA di questa storia è che la lettera riporta nell’intestazione: «Su carta intestata del fornitore», cioè, come se la richiesta provenisse dall’azienda fornitrice e non il contrario. L’offerta in questione prevede la restituzione di una somma a favore della stessa Acciaierie d’Italia, a seconda del fatturato del fornitore. Detta in altri termini, come spiega peraltro nel dettaglio una tabella allegata alla lettera: se il fornitore fatturerà un milione di euro dovrà restituire una percentuale di un punto; se il suo fatturato sarà di 1 milione 750000 euro, per esempio, la cifra da erogare sarà pari al 2 per cento. E così via. All’aumentare del fatturato, aumenterà anche la percentuale da restituire. Il fornitore considerato di quarta fascia, per esempio, cioè con un fatturato di oltre 2 milioni e mezzo di euro, dovrà restituire alla “grande madre siderurgica” composta da Acciaierie d’Italia Spa, Adi Energia Srl, Adi Servizi Marittimi Srl, a seconda dei servizi offerti, il 3 e mezzo per cento.
«SI TRATTA DI UN VERO e proprio ricatto da parte di una azienda che ora è per la metà dello Stato», si sfoga l’imprenditore-fornitore: «Quello della restituzione delle somme è un modus operandi che la gestione Arcelor Mittal ha usato spesso per saldare debiti, anche milionari, che aveva maturato con fornitori e prestatori d’opera. Infatti, è già accaduto che le aziende abbiano dovuto accettare uno sconto extra nell’acquisizione degli ordini con la promessa che i crediti più vecchi potessero essere saldati».

Ma ora c’è di più. Ed è quello che racconta il contenuto di una lettera in cui si fa riferimento «ai colloqui intercorsi e alle intese con Voi raggiunte con riferimento al rafforzamento del rapporto commerciale attraverso una condivisione dei benefici di efficientamento dei costi di commessa all’aumentare dei volumi». Tradotto: se aumentano i profitti per i fornitori, una parte dei guadagni dovranno essere restituiti all’ex Ilva. «Una proposta che non è possibile rifiutare», dice ancora l’imprenditore-fornitore della fabbrica siderurgica, dalle cui commesse dipende la maggior parte del suo fatturato annuo. «In tutti i casi, non è vero che abbiamo avuto dei colloqui preliminari, né che ci sono state intese in tal senso. Si tratta a tutti gli effetti di un ricatto», conclude.
Sia come sia, è un fatto che la lettera inviata via mail al fornitore contenga indicazioni precise. In particolare, che entro il 7 dicembre di ciascun anno di vigenza dell’offerta, «Adi, per sé, e per conto di Adie e di Adism», si legge, «estrapolerà dal gestionale cliente i dati necessari per quantificare il fatturato annuo e dunque i rebate ( dall’inglese, sconto, riduzione, ndr) ripartiti tra Adi, Adie, Adism in applicazione dell’offerta, e comunicherà tali risultati al fornitore che potrà accettarli o contestarli entro cinque giorni di calendario dal relativo ricevimento». Non solo.
All’articolo cinque della proposta di offerta, al capoverso che viene denominato nella lettera: «Utilizzo e spendibilità del Rebate», Acciaierie riconosce che «i rebate saranno utilizzabili in compensazione di ogni credito scaduto e/o in scadenza del fornitore nei successivi 60 giorni; e che qualora il totale dei crediti verso Adi risultasse incapiente, le relative porzioni di rebate eccedenti saranno corrisposte in denaro». E infine si stabilisce che «qualora il fornitore, per qualsiasi ragione o causa, non fosse più in grado di fornire beni e servizi ad Adi, Adie, Adism, ovvero queste ultime selezionassero un nuovo fornitore, le stesse saranno abilitate ad esigere i rebate in denaro».

LA MAIL CHE il manifesto ha potuto visionare, e a cui era allegata la lettera di offerta, è stata inviata ai fornitori nella scorsa primavera, ma ad Acciaierie non risulta: l’azienda, che per la metà è dello Stato, dopo una interlocuzione durata alcuni giorni con il suo ufficio stampa, ha scelto di non confermarne l’esistenza, e di non rispondere così, dunque, alle nostre domande. E pure dalla sede tarantina di Confindustria di via Dario Lupo il direttore Mario Mantovani fa sapere al manifesto che «non abbiamo contezza della ricezione di questa lettera da parte dei fornitori, e che nessuna segnalazione ci è arrivata al momento».
Nessuna conferma ufficiale, quindi, dall’organizzazione che rappresenta gli interessi delle aziende locali che lavorano con gli appalti e le commesse provenienti dalla maggiore industria esistente a Taranto.
 ANCHE SE, IN VERITÀ, e questa è una faccenda unica in Italia, nella città dei due mari è come se operasse una “Confindustria parallela”. Si chiama «Comitato Indotto AdI-Acciaierie d’Italia e Grandi Industrie», e vi hanno aderito a partire dal gennaio di quest’anno cinquantadue aziende dell’indotto che si sono dimesse in massa da Confindustria Taranto, «dopo aver constatato che occorre aprire una fase nuova. Una fase di pari dignità, di collaborazione costruttiva e di complementarità con le grandi imprese. Perché attaccare questa fabbrica è una follia. È invece saggio difenderla aiutando a migliorarla», così si leggeva nella nota stampa che annunciava la nascita del Comitato.

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