NEL RICORSO PRESENTATO, infatti, Moramarco osserva che «risulta pacifica la sussistenza dei profili colposi a Terrone, in ordine all’omessa valutazione dei rischi connessi all’attività di acinellatura... con particolare riferimento all’omessa informazione e formazione sui rischi specifici per la salute e sicurezza dei luoghi di lavoro per i lavoratori somministrati dalla Infor Group; e anche sull’omessa adozione di provvedimenti di pronto soccorso e assistenza medica di urgenza». 

Paola Clemente il 13 luglio 2015 sale su un autobus gran turismo alle 3 della notte dal comune di San Giorgio Jonico, in provincia di Taranto. Insieme ad altri 200 lavoratori sono diretti in contrada Zagaria, ad Andria, a circa 130 km di distanza. Già durante il tragitto, Paola accusa diversi sintomi: una abnorme sudorazione, debolezza e pallore. Ma nessuno dei colleghi di lavoro avverte l’autista del bus al fine di far deviare la propria corsa verso il più vicino pronto soccorso. Forse perché sanno, come lo sa anche Paola, che il lavoro non si può fermare e bisogna giungere in tempo ad Andria.

...il contratto di lavoro a tempo determinato tra l’azienda e Paola prevedeva un impegno dal lunedì al sabato dalle ore 7 alle 13,30 in virtù di accordi presi tra la Ortofrutta Meridionale Srl e l’agenzia interinale Infor Group Spa per la somministrazione di braccianti agricoli. Ma quella mattina del 13 luglio, Paola Clemente e gli altri braccianti sono sui campi già dalle 5,30, un’ora e mezza prima. «Paola interrompeva il suo lavoro continuamente perché le dava fastidio il sudore che a suo dire era dovuto sempre alla cervicale. Però ogni volta ci diceva che non era niente e continuava a lavorare»

IN CONTRADA ZAGARIA, ad Andria, non c’era nessuna sorveglianza sanitaria, e quando l’ambulanza è arrivata, alle 8,30, i medici non possono far altro che constatarne il decesso. Per cause naturali. Come le morti nelle campagne che accadevano agli inizi del secolo. In Puglia quell’anno, il 2015, furono più di una. Così che il parlamento fu costretto a prendere provvedimenti, approvando la legge 199 del 2016, così detta contro il caporalato. Una disposizione normativa importante che ha introdotto la possibilità anche di confiscare le aziende. «Ma che tuttavia non sempre viene applicata da parte dei giudici», dice al manifesto Claudio Petrone, avvocato che per la Flai Cgil di Taranto segue diversi procedimenti di questo tipo. «Proprio la mancata applicazione della norma che prevede la confisca delle aziende rende più difficile le denunce» – sottolinea Petrone: «perché i lavoratori, soprattutto quelli italiani, si sentono più ricattati dalla possibile perdita del lavoro, mentre con la confisca delle aziende e con la conseguente nomina di un amministratore straordinario, invece, non rischierebbero il posto»...

IL SISTEMA FUNZIONAVA COSÌ: Ciro Grassi, insieme alla moglie, il «caporale» e la «fattora», reclutavano i braccianti nel territorio orientale della provincia di Taranto, in particolare tra le donne a basso reddito che vivevano nei comuni di Lizzano, Monteparano, Roccaforzata, San Giorgio Jonico. Successivamente, acquisivano i documenti di identità necessari all’assunzione e li consegnavano ai funzionari dell’agenzia interinale Infor Group. Tutti insieme, poi, frodavano i braccianti, a cui riuscivano, «omettendo il versamento delle giornate», quasi dimezzare la paga prevista dal contratto nazionale (da 44 euro a 27). È la filiera dello sfruttamento. In questo giudizio sono 118 i lavoratori e le lavoratrici parti lese. Insieme a loro c’è Stefano Arcuri, marito di Paola Clemente, morta di fatica e di sfruttamento nelle campagne pugliesi...