Noi l'avevamo detto anche il 20 ottobre alla manifestazione di Roma. Lo sciopero generale era stato necessario perché era necessario che gli operai facessero sentire forte e chiara la loro voce con il blocco della produzione e con la manifestazione nazionale a Roma. Ma - aggiungevamo - questa mobilitazione era utile non tanto per le risposte che poteva dare il governo ma quanto per unire gli operai dei diversi stabilimenti e portare la loro forza al centro dell'attenzione per dare peso e rilevanza alle loro rivendicazioni.
Niente allora era venuto dall'incontro romano,
e niente, o peggio, negli incontri successivi, fatti tra l'altro solo
con capi di gabinetto dei Ministeri.
Non si può continuare a
dare credito al governo, alle promesse di Urso, mentre altri ministri,
Fitto, Mantovani fanno gli accordi segreti con Mittal. E' in corso una
trattativa, ormai non più segreta, in cui ArcelorMittal prenderebbe
l'intera quota di Acciaierie d'Italia.
Se questo non avviene la nuova governance sarebbe garantita da altri industriali dell'acciaio che stanno lavorando perché la situazione vada sempre peggio, proprio per poterla rilevare con facilità, trovarsela consegnata su un piatto d'argento. Le dichiarazioni avventurose del presidente della Federacciai, Gozzi, significa che al tavolo romano si stanno prendendo decisioni al di fuori dei canali normali di relazioni tra padroni, governo, organizzazioni sindacali.
Il governo sta accettando per ora tutte le condizioni di ArcelorMittal, le sue esose richieste, come e quando deve produrre, le azioni assolutamente illegali verso gli operai, l'uso arbitrario della cassaintegrazione, il peggioramento giorno per giorno della sicurezza, il menefreghismo verso lo stato degli impianti, il non pagamento degli straordinari, senza contare la gravissima situazione nell'appalto a rischio licenziamenti, ecc; Parlare, quindi, ancora di passaggio al 60% della parte pubblica, quando il governo si muove come un servo su quello che vuole Mittal, sui suoi tempi, è tirare avanti, anche quando si dichiara un nuovo sciopero come le prossime 8 ore, una mobilitazione impotente; anche la richiesta di nazionalizzazione non sta ora come ora coi piedi per terra.
Quanto poi al famoso "piano B", di cui si è parlato anche nell'incontro a Roma del 20 - e il Presidente della Federacciai, Gozzi, dice apertamente che la siderurgia italiana può fare a meno di ArcelorMittal - si tratta di una lotta tra padroni che comunque porterebbe a tagliare posti di lavoro.
Peraltro,
chiunque prende l'ex Ilva in questo momento deve fare i
conti con la crisi di sovrapproduzione dell'acciaio che esiste da tempo,
sovrapproduzione per il profitto chiaramente, accentuata
dagli effetti della guerra imperialista, della guerra commerciale e della
ripartizione dei mercati. E per una sua effettiva ripresa si parla
addirittura che essa può essere legata alla produzione del nucleare
(altro che acciaio green)
In tutto questo la funzione dello Stato è di privatizzare i profitti e socializzare le perdite.
In
questa questione che dura da anni, i sindacati dell'ex Ilva non hanno
portato dall'inizio nello scontro con azienda e governo le
rivendicazioni necessarie per tutelare realmente lavoro, salario,
sicurezza, quindi, i
sindacati non possono fare gli innocenti, e oggi meravigliarsi
dell'atteggiamento anche del governo, che li tratta come l'ultima ruota
del carro, solo per buttare negli incontri qualche informazione che già
si legge sui
giornali, non per farli oggetto di trattativa.
Le rivendicazioni giuste e necessarie purtroppo solo noi le abbiamo poste.
Cos'hanno, allora, i lavoratori nelle mani? È possibile ancora cambiare lo stato delle cose?
Sì, ma serve l'autonomia operaia. Serve la riorganizzazione delle file dei lavoratori.
Non è solo un problema di una sigla sindacale, ma di una unità
sindacale dal basso che possa togliere potere alle organizzazioni
sindacali collaborazioniste per restituire questo potere di
rappresentanza ai lavoratori.
Senza costruire questa
autonomia, non si può fronteggiare un'emergenza che viene considerata ai
limiti della catastrofe sociale, industriale.
Serve una lotta
autonoma, prolungata e generale sulla propria piattaforma operaia che
sia da trincea della lotta dei lavoratori.
Lo Slai cobas chiama gli operai alla necessità che le avanguardie operaie trasformino il dissenso, la rabbia, lo sconforto in organizzazione seria, classista e combattiva,
che possa anche esercitare una pressione verso i sindacati confederali.
Questo in altri paesi ha pagato, pensiamo a quello che è avvenuto in
Francia con i recenti scioperi.
La questione ex Ilva, inoltre, è
ben dentro la situazione mondiale, la guerra, l'economia di guerra. Con
l'acciaio si fanno le armi; quindi esiste un nesso tra la produzione dell'acciaio e la guerra.
Da un lato la guerra è un'opportunità per l'acciaio, dall'altro la crisi generale che la guerra comporta, compreso
l'aggravamento della questione energetica, è una mina interna alla crisi
generale dell'industria dell'acciaio. Dall'altro soprattutto nella guerra degli
imperialisti: le morti, le distruzioni, l'attacco ai diritti vitali sono
nostri e i profitti sono sempre loro!
In questo terreno la lotta operaia conta tantissimo, ma gli operai non hanno ancora sufficiente consapevolezza
di avere anch'essi un'arma nelle loro mani, l'arma del loro numero,
della loro lotta; è questa che può incidere non solo all'interno della
vicenda industriale dell'ex Ilva, ma può incidere nella dinamica
generale delle grandi vicende.
SLAI COBAS TARANTO - WA 3519575628
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