sabato 12 novembre 2022

Sulla manifestazione del 5 novembre di Napoli

La manifestazione del 5 novembre a Napoli con oltre 10mila persone - è sbagliato parlare di 20mila, non serve gonfiare i numeri, autoincensarsi, è un malcostume del sindacalismo di base che oggi è illusorio e controproducente – ha avuto la capacità di chiamare a raccolta i settori proletari e i pezzi di movimento in lotta, con una grossa partecipazione del movimento dei disoccupati e precari di Napoli, i lavoratori del Si.Cobas della logistica e parte delle realtà attive in altre città del sud; 
le delegazioni rappresentative della Gkn, del movimento di lotta per la salute, del movimento per la casa, spezzone del movimento degli studenti e di Friday for future, infine rappresentanze ristrette del sindacalismo di base e di classe. Una manifestazione combattiva, sentita e che si è fatta sentire, un passo avanti verso un movimento generale di lotta contro padroni e governo.

All’interno di essa centrali la questione del carovita e della guerra, la questione del lavoro, del salario, la denuncia generale della politica dei governi e oggi di questo governo, sono stati una forte base di unità. In questo senso è giusto parlare di una tappa del percorso per un’opposizione politica e sociale che vuole allargarsi e crescere, in una dinamica della costruzione di un fronte proletario e di massa. 

E’ sbagliato scrivere, però, come fa la Fgc, in maniera superficiale: “la classe operaia ha alzato la testa”. Le cose non stanno così, e in particolare non sono state così nella manifestazione. 
A parte l’importante delegazione della Gkn e l’azione svolta dalla Gkn per la realizzazione di questa manifestazione, vista in continuità con l’altra, e anche più partecipata, manifestazione di Bologna, ciò che è mancato in questa manifestazione e nel movimento attualmente in lotta è proprio la classe operaia. Senza che questo problema venga affrontato seriamente e portato avanti come piano di lavoro e di organizzazione non si può parlare di fronte di classe, né tantomeno di ‘autunno caldo’.
Certo, ci auguriamo che lo sciopero generale indetto dalla maggior parte dei sindacati di base per il 2 dicembre veda la partecipazione di alcune realtà delle fabbriche del nostro paese. Ma, sicuramente, anche in questo caso non si può ancora parlare che la classe operaia ha alzato la testa. 

Il lavoro che stiamo facendo alle fabbriche in queste settimane, da Taranto a Torino, da Bergamo a Palermo, alla Stellantis di Melfi, ecc. ci indica che la ripresa della lotta operaia cova nelle fila dei lavoratori, perchè si aggravano tutti i problemi, prima di tutto quelli del salario e del lavoro, dell’intensificazione dello sfruttamento, della salute e sicurezza; così come è generale la critica ai sindacati confederali. Ma prevale comunque un clima di attesa e sfiducia, ed è assolutamente necessario fare un lavoro e iniziative alle fabbriche, accendere lì iprimi fuochi della guerra di classe, da estendere e generalizzare poi. 

Il bilancio che si fa della manifestazione di Napoli incoraggia la continuità della lotta, ma prevale in alcune parti del movimento l’esaltazione della lotta così com’è, e non la sua trasformazione in obiettivi e forme di organizzazione e livelli di unità per adeguarla alla guerra di classe necessaria. 

E’ necessaria una piattaforma di fase che si concentri innanzitutto su due/tre rivendicazioni e che si sviluppi come lotta prolungata sui posti di lavoro, nei quartieri, nei territori, non riconducibile alle “manifestazioni del sabato”. Certamente all’interno della logistica, così come a Napoli nel movimento dei disoccupati questa guerra quotidiana è in corso e ad essa va data il massimo di sostegno e la massima generalizzazione. 

La manifestazione di Napoli ha espresso chiarezza nel rapporto tra guerra e la sua attuale parziale ricaduta sulle masse, concentrata fondamentalmente sul carovita e centrata sulla denuncia di un governo che spende e stanzia miliardi per le spese militari mentre nulla stanzia, anzi taglia sulle spese sociali. Ma questo è solo un lato del problema della guerra, importante per una prima mobilitazione dei proletari, utile a minare il consenso al nazionalismo e alla guerra stessa che questo nuovo governo incarna ancor più di quelli di prima.
La guerra imperialista e la partecipazione dell’Italia è molto ma molto più che la ricaduta dei suoi costi economici. E’ la manifestazione dell’imperialismo come fase suprema del modo di produzione capitalista, è la manifestazione del rapporto tra imperialismo e reazione che nel nostro paese non può che avere una caratteristica moderno fascista; benchè anche gli organizzatori della manifestazione di Napoli si ostinano a chiamare la cosa in altra maniera, col risultato di confondere e oscurare la natura del governo e del processo e non cogliere la portata del tipo di lotta necessaria oggi e ancora più nel medio e lungo periodo.
Il tipo di lotta necessaria richiede l’approfondimento della crisi, come crisi della borghesia, del governo, dello Stato; e nello stesso tempo l’armamento ideologico, politico e organizzativo del proletariato e delle masse in lotta.
Questo è il senso della denuncia e dell’indicazione netta e chiara espressa dagli striscioni e dal foglio diffuso dai nostri compagni alla manifestazione di Napoli, che è carne e sangue dell’attività nei luoghi in cui lavoriamo.  
L’unità necessaria non può esprimersi solo con le manifestazioni; noi dobbiamo costruire un fronte unico di classe lungo la linea dell’assemblea proletaria anticapitalista, che abbiamo cominciato a fare.  

 Slai cobas per il sindacato di classe

proletari comunisti

12.11.2022

 

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