una parte degli operai, a volte non minoritaria, fa proprie ed esprime posizioni sbagliate, nefaste o quantomeno confuse, che penetrano, sia pur a "pezzi", anche tra la massa degli operai e minano, contrastano, fanno da ostacolo ad una posizione, coscienza di classe, alla necessaria autonomia degli operai da padroni e governo:
"E' il padrone che mi fa mangiare ed è giusto che io, quando lui è in crisi, lo debba aiutare, perchè se lui non lavora non lavoro neanche io..."; questa concezione ha portato per esempio all'ex Ilva di Taranto a ritenere giusto o inevitabile che la lotta si sia fatta insieme, padroni e padroncini dell'appalto e lavoratori, contro ArcelorMittal e governo, o, peggio, che gli operai siano stati usati, volente o non volente, per fare da massa per le richieste dei padroni, senza portare proprie rivendicazioni operaie.
Che in questo sistema capitalista è il capitalista che dà il lavoro, è vero, ma non è una "beneficenza", quel padrone si è fatto i suoi profitti sul lavoro degli operai; sono, per dire, gli operai che fanno "lavorare" cioè ricavare altri profitti al padrone. Gli operai, invece, rovesciano questo assunto.
Si attua un rovesciamento anche nella testa degli operai: è il padrone che mi fa mangiare... mentre sei tu operaio che fai "più che mangiare" il tuo padrone.
Qual'è il rapporto capitalista/operaio lo hanno spigato chiaramente Engels e Marx.
Engels (nell'introduzione al testo di Marx 'Lavoro salariato e capitale') dice: Che cosa avviene dopo che l’operaio ha venduto al capitalista la sua forza lavoro, cioè dopo che l’ha posta a sua disposizione, per un salario convenuto, giornaliero...? Il capitalista conduce l’operaio nella sua fabbrica, dove già si trovano tutti gli oggetti necessari per il lavoro, le materie prime, le materie ausiliarie... gli utensili, le macchine. E qui l’operaio comincia a sgobbare. Poniamo che il suo salario giornaliero sia di tre marchi (oggi 60 euro netti ndr). Supponiamo che... con il suo lavoro di dodici ore l’operaio aggiunga alla materia prima impiegata un nuovo valore di sei marchi, un nuovo valore che il capitalista realizzerà con la vendita del pezzo finito. Di questo importo egli paga all’operaio tre marchi (60 euro), e gli altri tre (60) se li tiene per sè. Se l’operaio produce in dodici ore un valore di sei marchi, in sei ore produce un valore di tre marchi. Quindi dopo aver lavorato sei ore egli ha già restituito al capitalista l’equivalente di tre marchi, ricevuti come salario. Dopo sei ore di lavoro, tutti e due sono pari; nessuno dei due deve più un soldo all’altro.
Ma le 8 ore della sua vita che l'operaio ha venduto al padrone, non appartengono più a lui, ma al capitalista che le ha comperate.
“Un momento! - esclama infatti ora il capitalista - io ho noleggiato l’operaio per un giorno intero, per dodici ore. Sei ore non sono che una mezza giornata. Avanti dunque, al lavoro, fino a che anche le altre sei ore siano passate. Solo allora saremo pari!” E in realtà l’operaio deve attenersi al suo contratto “liberamente” concluso, con il quale si impegna a lavorare dodici ore intere, per un prodotto di lavoro che costa sei ore...
...la forza lavoro è una merce, una merce come ogni altra, ma ciò nonostante una merce tutta affatto speciale. Essa ha cioè la proprietà specifica di essere forza produttrice di valore, di essere fonte di valore, anzi di essere, se viene impiegata in modo appropriato, fonte di un valore maggiore di quello che essa possiede... e a quello che costa... questi valori prodotti dagli operai non appartengono agli operai. Essi appartengono ai proprietari delle materie prime, delle macchine, degli strumenti, del capitale anticipato, i quali permettono a questi proprietari di comperare la forza lavoro della classe operaia.
Quindi il padrone non "dà lavoro" all'operaio, ma mette al lavoro l'operaio per avere dal suo sfruttamento il profitto, per aumentare il suo capitale.
E' vero che l'operaio e il padrone sono legati, ma nel senso - come spiega Marx in 'Lavoro salariato e capitale' - che "l'operaio va in malora se il capitale non lo occupa. Il capitale va in malora se non sfrutta la sua forza-lavoro". L'operaio "produce la ricchezza estranea che lo domina, il potere che gli è nemico, il capitale...". Quindi "Sino a tanto che l'operaio salariato è operaio salariato, la sua sorte dipende dal capitale. Questa è la tanto rinomata comunità di interessi tra operaio e capitalista".
La sorte del lavoro salariato è legata al capitale, come la corda sostiene l'impiccato.
Ma torniamo alle difficoltà che i padroni possono avere nel continuare a produrre (come sempre nell'esempio dei padroni dell'appalto e dell'indotto dell'ex Ilva di Taranto).
Queste difficoltà sono reali. Ma che succede per i padroni e cosa succede per gli operai? I padroni con la loro mobilitazione, usando o imponendo ai propri lavoratori, cessando la produzione, di parteciparvi, facendo pressioni sul governo, riescono ad ottenere i soldi di cui sono creditori o una parte di essi. Ma riprendono a lavorare e a far lavorare i loro lavoratori? NO, perchè vogliono la massima sicurezza sui soldi anche futuri. Per gli operai succede che o vengono messi in cassa integrazione o vengono licenziati. Quindi i padroni hanno i soldi, gli operai - che hanno "aiutato" il loro padrone - vanno a casa!
Una parte degli operai pensa e dice: ma se io sono bravo, disponibile l'azienda mi tiene. E chiede al padrone, per favore, di non licenziarlo, in un certo senso appellandosi sia al suo interesse ad avere operai bravi, che non gli pongono grossi problemi, sia alla sua "umanità".
Ma qual'è l'"umanità" dei padroni?
Un esempio: In una discussione abbastanza accesa che c'è stata con una di queste ditte dell'appalto ex Ilva Taranto che aveva mandato già una lettera ad Acciaieria per dire: cesso l’attività, vado via, non mi conviene perché ho troppi crediti da avere, ad un certo punto uno dei padroni di questa azienda dice: noi abbiamo perso 5 milioni e prima ancora altri milioni, e quindi non potete dire che solo gli operai stanno perdendo… Ma come vi permettete - abbiamo detto noi - di mettere sullo stesso piano quello che perdete voi - che tra l'altro recuperate con altri appalti, con altre attività anche fuori da Acciaierie - e quello che perdono gli operai, operai che sono stati poi fattore dei milioni che avete accumulato!? Gli operai non hanno da prendere soldi da altre fonti, gli operai se vengono licenziati non hanno neanche un centesimo, perché la loro fonte è solo il salario; quindi non potranno mangiare, non potranno più pagare niente, non possono più "pagare la normalità”. Volete mettere sullo stesso piano le vostre perdite e ciò che perdono gli operai? Ma gli operai se perdono il lavoro perdono la vita, loro e dei loro famigliari.
"Ma noi siamo bravi nel lavoro" ribadiscono gli operai. Ma - come scrive Marx in "Appunti sul salario" - "L'umanità del capitalista consiste in più lavoro possibile al prezzo più basso...". Certo, dice il padrone, voi siete bravi, non lo metto in dubbio, ma io devono pensare alle mie tasche e se posso pagare meno - per esempio occupando altri lavoratori con un contratto peggiore, Multiservizi invece di Metalmeccanico, o prenderli addirittura con contratto di somministrazione o in un rapporto di lavoro intermittente, lo faccio, mi conviene di più.
L'altro fronte, legato al primo, è il rapporto tra operai e governo (dei padroni).
Qui, soprattutto per l'azione nefasta dei sindacati collaborazionisti, ma anche di esponenti di partiti parlamentari, viene seminata una illusione che il governo possa essere l'interlocutore per risolvere i problemi degli operai. Questo anche quando, come si sta vedendo nella grandi vertenze - ancora quella dell'ex Ilva e ora quella della Stellantis - si dimostra che è un interlocutore solo per difendere gli interessi dei padroni - e la lunga storia di queste grandi fabbriche, ma anche di altre, sta a confermarlo ampiamente.
Ma al di là della non risposta del governo, anche di quelli precedenti, ai bisogni degli operai, ciò che sta andando avanti, soprattutto con questo governo Meloni, è di tirare i lavoratori dalla propria parte, ottenerne il consenso su una linea nazionalista, sovranista.
Questo è molto chiaro sulla questione Stellantis:
Anche come alimento alla campagna elettorale in atto, il governo sta usando la vicenda Stellantis per spostare gli operai sulle posizioni sovraniste del governo Meloni (della serie: Stellantis non in Francia o altrove ma in Italia deve investire), facendo del governo la bandiera di lotta contro il grande Capitale secondo una notoria e storica demagogia che è parte del fascismo.
E sanno bene i fascisti che il popolo che li mantiene al potere deve essere il “popolo bue”, il “popolo schiavizzato”. Quindi, quello che è in discussione è il passaggio di settori di operai al governo, al fascismo.
La partita, quindi, non è tra governo Meloni e Stellantis, perché dal punto di vista degli operai e dei lavoratori questa partita è a perdere. La partita è tra padroni e il governo da un lato, e gli operai dall’altro.
Questa politica del governo Meloni ha come conseguenza immediata il tentativo di alimentare tra gli operai una logica e posizione, una pratica corporativa. Una posizione che evidentemente si pone in netto contrasto con la necessaria, indispensabile unità della classe operaia; che vuole fare degli operai degli stupidi sostenitori di interessi altrui, col risultato di non difendere nulla e di farsi accompagnatori del proprio peggioramento.
Su questo la Meloni ha trovato un valido alleato nella Cisl che ha raccolto firme tra i lavoratori per un proposta di legge sulla "partecipazione al lavoro" che vuole legare in termini corporativi gli operai alle aziende.
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