domenica 30 giugno 2024

Sulla sentenza della Corte di Giustizia sull'Ilva, ci vuole chiarezza, non illusioni, e lotta vera - dall'assemblea del 28 giugno

Cos'è che succede? Secondo quando dicono i Commissari, il rapporto tra quantità di tonnellate e operai è: per ogni milione di tonnellate, 1000 operai. E su questa base si basa il nuovo piano di grande cassintegrazione. Quindi, di fatto si dice attualmente: noi non riusciamo a fare più di un milione di produzione e per un milione di produzione di operai ci servono 1000. Gli altri si devono riassegnare finché non saremo in grado di attivare i nuovi altoforni o di fare il piano dei forni elettrici. Gli altri operai non li buttiamo in mezzo alla strada, gli diamo una cassintegrazione quasi permanente.

Questo è l'esito oggettivo dell'amministrazione straordinaria e del commissariamento. A cui poi i Commissari stanno mettendo un carico di pura propaganda che afferma che i danni ambientali sono tutti compatibili, e quindi non c'è più nessun pericolo; e non essendoci più nessun pericolo, si mettessero tutti l'animo in pace, ci sarà via via l'attivazione degli altri altoforni, ci sarà l'affiancamento dei forni elettrici e vivremo tutti in un'isola felice da qui a sei anni, o, come diceva Bernabè, a non meno di 10 anni, anche se non si capisce mai quando cominciano questi 10 anni...

In questo contesto è arrivata nei giorni scorsi la sentenza della Corte di giustizia europea. Su questa, l'esaltazione della sentenza che viene fatta dagli ambientalisti è pura illusione perché le sentenze della Corte di giustizia devono essere recepite dalla magistratura in Italia, non sono esecutive, non sono automatiche e normalmente il recepimento di queste sentenze non è quasi mai avvenuto, la sentenza è un “indirizzo” che poi i governi e le magistrature nazionali devono trasformare in provvedimenti concreti.

I Commissari hanno subito detto: questa sentenza non ci tocca perché riguarda pur sempre il periodo della gestione ILVA. La gestione Mittal non è negli atti che hanno originato la sentenza della Corte di giustizia europea. Poi. Aggiungono, ora non ci sono più quelle condizioni, attualmente i parametri non sono quelli che vengono considerati inaccettabili, di conseguenza questa sentenza sarebbe giusta se ci fosse ancora l'Ilva di prima. Quindi, la sentenza è giusta, ma non ci tocca perché la situazione è cambiata.

Questo fa sì che non c'è nessun effetto immediato della sentenza. E non ci deve essere l'illusione che le sentenze possano risolvere i gravi problemi di Taranto. Le sentenze originare processi, nei processi si può avere ragione, si possono ottenere condanne dei padroni o gestori delle aziende, si possono ottenere i risarcimenti, ma su tutto il resto diciamo NO. Queste sentenze possono aiutare la lotta oppure non hanno un effetto reale.

Noi siamo d'accordo con la sentenza, però diciamo a tutti quanti che se non trasformiamo la sentenza in un movimento reale di lotta che la imponga non c'è nessuna possibilità di ottenere diritti su lavoro, salute. Noi dobbiamo imporre che il nuovo piano ambientale e il nuovo piano industriale recepisca le criticità sottolineate dalla sentenza. Ma occorre una mobilitazione molto più ampia e incisiva perché li si ottenga.

L’intervento al processo “Ambiente svenduto” dell'avvocato della Codacons è solo demagogia. Il processo che stiamo facendo non c'entra niente con la sentenza della Corte di giustizia europea. Quindi, resta sempre solo il vero problema: i lavoratori, i cittadini se vogliono una soluzione della questione Ilva, per avere un'altra Taranto, un'altra fabbrica o un'altra soluzione dovremo lottare nella comprensione di tutte le questioni in campo. L'Ilva alla fine potrà chiudere ancora più che per le sentenze, per la crisi generale di mercato che sta già attraversando.

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