Nei giorni scorsi i commissari straordinari di Ilva in AS (la società proprietaria degli impianti del siderurgico) e di Acciaierie d’Italia in AS (la società che li gestisce) hanno fatto pervenire alla Procura di Taranto la disponibilità dell’azienda ad effettuare tutte le attività che saranno richieste per togliere i sigilli all’altoforno 1. La notizia è stata riportata tra sabato e domenica dal Quotidiano di Puglia e da la Gazzetta del Mezzogiorno.
Quel che ci interessa capire però, è quel che è stato fatto sino ad oggi e quel che si dovrà fare per ottenere il dissequestro (l’azienda ha come obiettivo al massimo la fine di settembre) e per rimettere eventualmente in funzione nel giro di qualche mese l’impianto.
Altoforno 1, lo ricordiamo, sotto sequestro probatorio senza facoltà d’uso dallo scorso 7 maggio, a causa di un gravissimo incidente che ne ha compromesso la funzionalità. Sulla quale l’azienda prima e il ministro Urso poi, accusarono la Procura di aver autorizzato troppo in ritardo alcuni interventi urgenti per mettere in sicurezza l’impianto: ritardo dovuto, sempre secondo l’azienda, ad una relazione di ARPA Puglia. Il che avrebbe compromesso del tutto o quasi il funzionamento dell’impianto.
Le cose, però, come riportammo sin da subito non stavano e non stanno propriamente così. E lo dimostra in primis la richiesta ultima dell’azienda, che ha fretta di rimettere in marcia l’impianto come previsto anche dal piano redatto dal governo.
Inoltre, come evidenziammo sin da subito, andrà chiarito se la ripartenza dell’impianto lo scorso ottobre sia avvenuta a freddo o in fase di preriscaldo (come lasciato intendere dall’azienda): non è un dettaglio da poco, vista la complessità dell’impianto in questione e le procedure diverse da attuare oltre a tutte le fasi di controllo che vanno effettuate in entrambi i casi. Questo, in parte, potrebbe spiegare le ragioni dell’incidente del 7 maggio, in particolar modo qualora Afo 1 sia stato fatto ripartire a freddo lo scorso ottobre.
La fermata dell’altoforno 1 era infatti prevista in primavera (per il rifacimento del crogiolo), in concomitanza della ripartenza dell’altoforno 2 che è ancora fermo e ‘freddo’, ovvero non in fase di preriscaldo: sia il crogiolo che piastre e refrattari sono stati acquistati (dalla Cina e dalla Corea) e sono previste in consegna entro fine ottobre, con il riavvio dell’impianto programmato per gennaio 2026.
Forse, non aver fermato Afo 1 in primavera come previsto nel piano di ripartenza dei commissari straordinari, potrebbe aver esposto l’impianto all’incidente del 7 maggio che avrebbe potuto avere conseguenze ben peggiori per i lavoratori e l’impianto stesso. Del resto, l’incidente dello scorso 7 maggio non ha responsabilità dirette di chi in quel momento era al lavoro presso l’altoforno (come evidenziato sin da subito dagli accertamenti posti in atto), ma è avvenuto per motivi interni all’impianto stesso come riportato in quei giorni di maggio.
Infine, dettaglio assolutamente non marginale, andrà verificato se quel 7 maggio l’impianto doveva essere in marcia oppure, come emerso da alcuni approfondimenti, lo stesso era previsto fosse in fermata nella calendarizzazione interna dell’azienda. Questo, lo ribadiamo, per evidenziare quanto sottolineammo all’epoca: ovvero che addebitare a Procura ed ARPA Puglia la compromissione dell’impianto e la sua funzionalità nel futuro era apparsa sin da subito operazione poco limpida e trasparente.
A seguito dell’incendio dello scorso 7 maggio, non tutte le parti dell’impianto furono attinte dall’incendio, come fu possibile verificare in loco durante i vari accertamenti effettuati dagli enti preposti. Quel giorno scoppiò un incendio ad una delle tubiere dell’impianto dalle quali transita aria calda ad elevata temperatura che serve per la combustione del coke (che fuoriuscì in grande quantità) e quindi l’innesco del processo produttivo della ghisa. L’evento causò prima la fuoriuscita di gas coke e in un secondo momento, coke incandescente misto a fusi dopo.
Ad esempio, non lo erano tutte le puppe e i dilatatori, mentre certamente lo erano le portavento delle maniche n. 9, 10, 11 (quella incidentata), 12 e 13. L’altoforno fu messo quindi in quiescenza per permettere una più agevole e sicura esecuzione di alcune attività.
Come ad esempio la costruzione e montaggio ballatoi campo B che riguardava una parte di impianto che è già stata smontata, in parte tagliata, per ragioni di sicurezza, e messa a deposito in area nota e delimitata. La caratteristica di tale ballatoio è quella di essere sollevabile per permettere l’uso delle macchine a tappare e a forare e delle coperture (MAT/MAF e Cover Traverser) o comunque nelle fasi di colata per la produzione di ghisa liquida, le quali non sono previste in quiescenza per periodi più lunghi.
Stesse considerazioni furono fatte per la manutenzione dell’impianto della condensazione della loppa il quale fu in parte attinto dall’incendio, per cui le parti deformate, distaccate, o a rischio di cedimento e distacco sono state rimosse per ragioni di sicurezza, ma la mancata funzionalità dell’impianto di condensazione loppa, che è un presidio ambientale, non inficia né impedisce la quiescenza.
Per il dissequestro, si deve inoltre tenere conto che tutte le ultime attività svolte dal consulente tecnico nominato dal pm Francesco Ciardo (Paola Russo, docente di Chimica Industriale e Tecnologia presso l’Università La Sapienza di Roma) sono state eseguite su parti di impianto non sottoposte a sequestro.
Detto ciò, ora per la ripartenza vera e propria dell’impianto occorre rifare l’intero refrattario, intervento in cui rientra anche il nuovo crogiolo. Parliamo infatti di un impianto giudicato a fine vita: basti pensare che la costruzione dello stesso e del materiale refrattario interno risale al 2001 (utilizzato per rivestire le pareti dell’altoforno che serve a fornire all’impianto l’isolamento termico, protezione contro metallo fuso e scorie e resistenza all’usura meccanica e chimica) con la messa in marcia nel 2002. Lo stesso impianto è stato poi fermato un paio di anni per interventi di revamping previsti dall’Autorizzazione Integrata Ambientale del 2012 ed effettuati in intervalli di tempo sino al 2015.
Senza questo intervento, dopo l’incidente, nessuno ne autorizzerebbe mai la ripartenza. Un’operazione finanziariamente importante (parliamo di quasi 200 milioni di euro) che tra l’altro prevede che l’impianto resti in marcia per un decennio, altrimenti la spesa non vale l’impresa. Del resto, l’azienda è stata autorizzata a produrre a carbone per i prossimi 12 anni. Afo 1 quindi potrebbe essere l’ultimo altoforno ad essere spento tra il 2030 e il 2033, qualora dovesse essere portato a termine il piano di decarbonizzazione prospettato dal governo.
Il 15 settembre è la data ipotizzata per il dissequestro (ma potrebbe slittare anche alla fine del mese) al fine di garantire riavvio entro marzo 2026, almeno secondo le previsioni dell’azienda che ha dichiarato come il crogiolo sia già disponibile ed è stato consegnato a marzo, mentre le piastre sono previste in consegna tra il 20 ed il 30 agosto.
Bisognerà capire adesso quali saranno le indicazioni della Procura in relazione al dissequestro, anche a seguito della conclusione degli accertamenti posti in essere per comprendere le cause dell’incidente. Per il quale sono stati iscritti nel registro degli indagati il direttore generale della società, Maurizio Saitta, il direttore dello stabilimento di Taranto, Benedetto Valli, e del direttore dell’area altoforni, Arcangelo De Biasi per i reati di delitti colposi di danno e getto pericoloso di cose.
Sull’argomento leggi anche: https://www.corriereditaranto.it/?s=altoforno&submit=Go

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