La vertenza sull’ex Ilva è in una fase calda, anzi caldissima ed i rappresentanti dei vari sindacati sanno che questi giorni saranno decisivi per il futuro dell’impianto siderurgico tarantino e per i lavoratori.
“Quando l’Ilva torna a essere una vetrina, tutti parlano, ma a pagare la crisi ‘fuori dalle parole’ sono i lavoratori”. È il duro atto d’accusa di Valerio D’Alò, segretario nazionale Fim Cisl, che interviene nel pieno di una fase decisiva per il futuro dell’ex Ilva.
Secondo D’Alò, la vertenza non è soltanto un dossier industriale, ma “una sfida di coraggio, responsabilità e visione” per l’intera comunità tarantina. Dopo sessant’anni di ciclo produttivo, l’area può ancora sperare in un rilancio stabile e sostenibile, “oppure rischia un declino irreversibile, lasciando i lavoratori a pagare il prezzo più alto di tutte le ambiguità e le parole vuote pronunciate negli ultimi anni”.
Il sindacalista ripercorre le tappe della crisi: “Dal 2012 a oggi, il racconto dell’ex Ilva è stato fatto di slogan e promesse false o parziali, spesso legate a interessi elettoralistici, senza affrontare le radici dei problemi o proporre soluzioni concrete. Dietro le promesse di riconversioni e ‘parchi giochi’ si sono nascosti fallimenti e zero posti di lavoro creati, mentre l’unico risultato tangibile è stato il mantenimento di un’occupazione precaria e il ricorso alla cassa integrazione straordinaria per migliaia di addetti”.
D’Alò evidenzia che il ciclo decarbonizzato, richiesto da anni, “si basa sull’uso di DRI e gas, tecnologie note e condivise”. E accusa: “È triste assistere a chi, a pochi giorni dall’epilogo, tenta di riscrivere la storia o di dipingere come ambientalista chi si batte per un futuro sostenibile, quando il vero obiettivo è solo sfruttare la tornata elettorale per nascondere le proprie responsabilità”.
Per il segretario Fim Cisl, la questione non è legata alle “navi provvisorie” o a un “green” di facciata, ma al rispetto per chi lavora e vive intorno alla fabbrica: “Non si può risolvere il problema con slogan o soluzioni temporanee, perché così si condanna Taranto a un lento degrado”.
La richiesta è chiara: “Serve il coraggio di fare scelte scomode ma necessarie, per rilanciare un’industria moderna, sostenibile e capace di offrire occupazione stabile. Basta discussioni viziate e giochi di potere: è tempo di guardare avanti, con responsabilità e visione. Il prezzo di questa crisi lo stanno pagando i lavoratori, le loro famiglie e un intero territorio. Non possiamo permettere che tutto finisca in promesse non mantenute: l’ex Ilva deve diventare il punto di partenza per un futuro dignitoso e sostenibile per Taranto”, conclude.
Intanto le RSU e RLS Fiom-Cgil delle Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria, insieme ai delegati di Ilva in a.s. e dell’appalto, ribadiscono che “non si è disposti a scegliere tra salute e lavoro” e che “entrambi i diritti devono essere garantiti”.
Per i delegati, l’ex Ilva rimane, nonostante le difficoltà, la principale fonte di reddito per la città, con circa 15.000 lavoratori legati direttamente o indirettamente allo stabilimento. “Una chiusura improvvisa – avvertono – sarebbe un disastro economico, sociale e ambientale, soprattutto in assenza di garanzie reali per le bonifiche”.
La posizione sindacale è netta: nessuna fabbrica “a tutti i costi”, ma neppure la rinuncia a un presidio industriale che, se gestito con scelte sostenibili e interventi di manutenzione, possa assicurare occupazione stabile e un futuro programmato.
Secondo la Fiom, il Governo deve assumere un ruolo centrale nel definire un progetto chiaro e condiviso. Gli impegni richiesti sono concreti:
- Continuità produttiva controllata, con manutenzioni ordinarie e straordinarie per garantire reddito e potere contrattuale alla città.
- Decarbonizzazione con tempi e finanziamenti certi, realizzando forni elettrici e impianti DRI, corredati da studi sull’alimentazione energetica e sull’impatto ambientale e sanitario.
- Strumenti legislativi straordinari per tutelare il reddito di tutti i lavoratori, evitando che i costi della transizione ricadano su di loro.
- Potenziamento sanitario con un piano straordinario di screening oncologici per i dipendenti del siderurgico e per le fasce di popolazione più a rischio.
- Programmi di bonifica e riconversione delle aree industriali dismesse, come Cementir e Sanac.
“Taranto – affermano i rappresentanti – è stanca di promesse mancate e rinvii. Non vogliamo una scelta obbligata tra salute e lavoro: vogliamo entrambe le cose, perché entrambe ci spettano e perché tutto abbiamo dato”.
“Se la politica vuole la chiusura dell’Ilva, per noi va bene, abbiamo una sola pregiudiziale: il giorno prima, bisogna sistemare i 18mila lavoratori. Certo è che, dal momento che a Taranto non si riesce a trovare da anni una soluzione per 38 unità lavorative della ex Cementir e per un centinaio di Isola Verde, è quantomeno lecito il dubbio che questo possa accadere per l’ex Ilva che ha dimensioni ben diverse.
Quello che sta accadendo in queste ore dimostra più che mai, qualora ancora ce ne fosse bisogno, che la grande vertenza ex Ilva si sta riducendo ad uno scontro politico, in particolare ci sembra un regolamento di conti interno alla sinistra, di cui a farne le spese è sempre la parte più debole di questa vicenda, i lavoratori e le lavoratrici.
Questo non è ammissibile. Ci domandiamo perché chi è stato al governo per molti anni, a più riprese, non ha fatto quello che ora chiede all’attuale governo. Proprio i clamorosi errori della politica in questi 13 anni di vertenza, stanno producendo il totale fallimento della politica industriale nazionale.
L’ipocrisia politica in questa vicenda è l’emblema di come siamo messi male in questo Paese: ci sono partiti e movimenti più interessati a salvaguardare le alleanze politiche, finalizzate alle prossime elezioni regionali, che a tutelare 18mila famiglie di lavoratori tra diretti, Ilva in As e dipendenti delle aziende dell’appalto.
Abbiamo
letto e ascoltato di tutto in questa storia, e il paradosso è che, chi
sino a ieri, presentava progetti di decarbonizzazione dello
stabilimento, oggi si trova a chiederne nei fatti la chiusura..…
Inoltre, le nostre proposte (incentivi, riconoscimento amianto o lavoro
usurante) sono state presentate agli ultimi quattro governi, il
cosiddetto piano B per i lavoratori lo abbiamo scritto nel dubbio che la
politica sfornasse l’ennesimo fallimento industriale di un Paese oramai
preda della deindustrializzazione.
Fa
specie, in tutto questo caos, non sentire aprire bocca sul dramma Ilva i
Big dei partiti nazionali, o lo stesso presidente della Commissione
Ambiente del Parlamento Europeo, nonché probabile candidato alla
presidenza della Regione Decaro.
Il nostro invito alla politica è: “Sedetevi, ragionate e trovate una
soluzione, per il bene di tutti. Assumetevi le responsabilità che vi
competono”.
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