mercoledì 24 gennaio 2024

Info da Acciaierie di Genova

Ex Ilva, i lavoratori alla politica: "Basta cassa integrazione, vogliamo produrre"

Il dibattito al Programma Politico di Primocanale

GENOVA - "Basta cassa integrazione": è questa la richiesta forte che emerge dai sindacati ex Ilva riuniti ieri sera a Terrazza Colombo per il Programma Politico di Primocanale. Attorno al tavolo quadrato si sono confrontate le rappresentanze sindacali (Armando Palombo, Nicola Appice, Antonio Apa e Fabio Ceraudo), tre parlamentari (Ilaria Cavo, Luca Pirondini e Raffaella Paita), esponenti delle istituzioni locali (Alessio Piana, Armando Sanna e Mario Mascia) e una folta platea di lavoratori. 

Nell'infinita crisi dello stabilimento di Cornigliano emerge ancora una volta la verità di chi ci lavora: "Siamo in grado di realizzare la banda stagnata con i rotoli provenienti da Taranto ma se l'impianto pugliese fosse ancora impossibilitato a produrre potremmo tranquillamente usare materiale di altra provenienza", dicono in coro i sindacati, consapevoli che il mercato in cui operano è sufficientemente vasto da richiedere anche il contributo degli operai genovesi. Che, peraltro, sono noti per una produzione di altissima qualità. 

L'impegno della politica è invece quello di evitare sterili accuse sul passato, tentando invece uno scatto per risolvere una volta per tutte la grande crisi: "Sono convinta che il Governo stia facendo un buon lavoro per gestire una situazione che si è fatta complicata nel corso degli anni - ha detto Ilaria Cavo, esponente alla Camera della Lista Toti e vicepresidente della Commissione attività produttive - non abbiamo nessuna nostalgia dei tempi delle partecipazioni statali ma in questo passaggio è indispensabile un intervento diretto del Governo". "E' inutile rinfacciarci reciprocamente le scelte passate - aggiunge Luca Pirondini, Senatore del Movimento 5 Stelle - anche perché ognuno di noi potrebbe descrivere una realtà parziale e non condivisa dagli altri. Ora è il momento di estromettere Arcelor Mittal dalla compagine azionaria, la multinazionale franco-indiana si è mostrata disinteressata a investire davvero nella siderurgia italiana". Di difesa della produzione di acciaio nel nostro Paese parla il vicepresidente del Consiglio regionale Armando Sanna: "Le chiacchiere stanno a zero, è arrivato il momento di risolvere una questione complessa e di fornire risposte ai lavoratori che hanno il diritto di averne". 

Anche Regione e Comune, rappresentate dagli assessori Piana e Mascia, promettono il massimo impegno delle istituzioni locali. I toni si alzano un poco, nel complesso di una discussione sempre molto civile, quando Mascia parla di "patti parasociali secretati" sottoscritti da Mittal con l'allora Governo Conte: l'esistenza di quei patti viene negata dal Senatore Pirondini ("se esistono dovete mostrarli, ma quei patti non erano possibili e non li troverete") e invece confermata dall'On. Cavo ("ne ho sentito parlare da molte fonti qualificate anche io").

Tutt'attorno al tavolo i lavoratori hanno raccontato le loro storie e condiviso le loro speranze: tutti ricordano dell'eccellenza passata dello stabilimento genovese, di quella che fu l'officina di Guido Rossa (il cui barbaro assassinio sarà commemorato domani) e della necessità di investire per ripristinare lavoro e dignità. "Non abbiamo nemmeno di che scaldarci - raccontano uno di loro - nel capannone c'erano delle stufette che non sono mai state riparate". "Ma il vero problema è il caldo - racconta Fabio Ceraudo, Rsu dei sindacati di base e consigliere comunale - d'estate, con tutti i macchinari accesi, diventa veramente insopportabile, non si respira". Storie di vita raccontate da uomini che, per quanto duro possa essere, sono affezionati al loro lavoro.

Adesso il passaggio del commissariamento, nuova cassa integrazione e rinnovate speranze che sia finalmente la volta buona: bene fa la politica a cercare di voltare pagina ma, questa volta, ha l'obbligo di non sbagliare.

Ex Ilva, la storia di Paolo: "Avevamo l'officina più bella del Nord Italia"

Paolo Olmari è entrato nell'ex Ilva di Genova Cornigliano nel marzo del 2000 quando all'epoca la fabbrica siderurgica era gestita dalla famiglia Riva e si chiamava ancora Ilva. In 24 anni ha vissuto i cambiamenti e le tensioni dello stabilimento di Cornigliano

GENOVA - "Avevamo l'officina più bella del Nord Italia con delle professionalità incredibili, però hanno fatto perdere tutto. Si è persa anche tanta dignità come lavoratori". Paolo Olmari è entrato nell'ex Ilva di Genova Cornigliano nel marzo del 2000 quando all'epoca la fabbrica siderurgica era gestita dalla famiglia Riva e si chiamava ancora Ilva. In 24 anni ha vissuto i cambiamenti e le tensioni che hanno avvolto quella che oggi è Acciaierie d'Italia.

"Nei primi anni ho lavorato nell'area a caldo - racconta -. Era un ambiente diverso rispetto a oggi, si puntava tanto sulla produzione e anche l'indotto aveva molto da lavorare. All'inizio mi aveva colpito molto l'ambiente particolarmente duro: gli spazi stretti, il fumo, veder colare la ghisa e poi quel polverino metallico con odore di zolfo. Era un ambiente che non tutti riuscivano a reggere".

Nei primi anni 2000 le ultime assunzioni poi un settore che lentamente ha vissuto sempre più momenti di crisi e tensione. Nel 2005 arriva anche la chiusura dell'altoforno di Genova Cornigliano. "Negli anni ci sono stati tanti cambiamenti, sono uno di quelli che ha fatto l'ultima colata dell'altoforno. Abbiamo visto la dismissione dell'area a caldo con la famiglia Riva che ha concentrato gli investimenti sulla linea dello zincato e il decatreno. Col primo commissariamento abbiamo avuto paura per la chiusura della stabilimento".

Con lo stop dell'area a caldo sono iniziati i lavori di pubblica utilità. "Un periodo strano, nessuno aveva esperienza sia per noi che per le istituzioni locali. Magari capitava che chi era di Pontedecimo doveva andare verso Nervi e viceversa, nascevano degli scontri verbali anche forti. Tante volte è dovuto intervenire l'ex sindaco Pericu che provava a tranquillizzare gli animi dicendo che i lavori di pubblica utilità potevano essere interscambiabili tra i lavoratori, cercava un modo per mettere tutti nelle condizioni migliori" racconta Olmari.

Nel 2012 un'inchiesta per reati ambientali e di inquinamento ha portato la Procura di Taranto a ordinare il sequestro senza facoltà d'uso degli impianti dell'area a caldo. Per salvaguardare lo stabilimento e l'occupazione, lo Stato ha avviato la procedura di commissariamento dell'azienda e fatto partire una gara internazionale per una riassegnazione. Poi si affaccia il gruppo multinazionale franco-indiano Mittal. "Con la chiusura dell'area a caldo sono passato all'area a cilindri - racconta Olmari -. Con l'arrivo di Mittal abbiamo avuto un barlume di speranza. Di certo è cambiato molto. Con Riva avevamo un rapporto diretto con loro, una multinazionale, ci siamo ritrovati una situazione in cui non sapevamo più con chi rapportarci, non eravamo abituati. C'era una sorta di autogestione. È stato bello i primi mesi. Nell'area dove lavoravo io è arrivato un tecnico spagnolo. Dopo che a Taranto c'è stato lo scudo penale il tecnico spagnolo ci ha detto chiaramente: 'Voi Mittal non la vedrete più'. Da quel momento in poi ci sono stati tanti problemi".

Con la crisi arriva la fine dei premi e anche gli stipendi si abbassano. "Una persona con 25 anni di anzianità se prima prendeva 1800 euro ora ne prende 1500, una famiglia monoreddito non riesce ad arrivare alla fine del mese. Abbiamo colleghi che si sono trovati in difficoltà col mutuo, con la scuola dei figli, ecc". Ma nello stabilimento di Cornigliano quando ci sono momenti di difficoltà si mettono in moto una serie di misure utili a dare sostegno ai colleghi che hanno bisogno. "Abbiamo l'auto mutuo aiuto con la Guido Rossa che ha sempre dato una mano ai lavoratori ad affrontare le situazioni più gravi come la spesa per le medicine. Gli stessi colleghi quando ci sono problematiche particolari si danno una mano l'uno con l'altro. Siamo molto legati, col fatto che non ci sono state più assunzioni ci conosciamo tutti da 20 anni ormai".

Ma com'era il rapporto con i lavoratori più anziani? "Era meraviglioso - racconta Olmari -. Da giovani di 24-25 anni vedevamo quelli di 50 e pensavamo fossero anzianissimi, ora che siamo arrivati a quell'età col senno di poi non erano così anziani. Mi colpiva che nel tempo c'era stata la questione del pre pensionamento per l'esposizione all'amianto. All'epoca l'età massima era 55 anni, oggi abbiamo colleghi che hanno 63 anni e ancora lavorano in un ambiente duro come una fabbrica siderurgica. Oggi vediamo gente stanca, il problema grosso rimanda agli ultimi 3-4 anni, non c'è stato più nemmeno un investimento".

Al momento di entrare in fabbrica per la prima volta veniva consegnato a ogni lavoratore dei documenti con tutte le spiegazioni sui lavori da fare e le misure di sicurezza da adottare in fabbrica. Oggi è tutto digitalizzato ma 25 anni fa il materiale veniva consegnato cartaceo. "Poi c'erano gli anziani che ci istruivano. Nell'altoforno avevamo una macchina per forare da dove usciva la ghisa, se non si riusciva bisognava andare con un tubicino d'ossigeno a prenderla. Era pericolosissimo ma da giovani, anche per farci vedere dai neoassunti, facevamo a gara per andare. Viene il rammarico nel ricordare i tempi che furono e veder come è stato ridotto in questi anni".

Momenti brutti? "Sì, nei primi anni ci sono stati due episodi gravi. Uno quando si è rotto il crogiolo dell'altoforno. C'era stata un'esplosione grossa con la ghisa che si e riversata sotto all'altoforno. La seconda volta ero in sala controllo quando si è rotta una tubiera e ha iniziato a uscire tutto il coke incandescente (il coke è il residuo della distillazione del carbon fossile ndr), sembrava di avere un aereo in campo di colata. Oggi chi tiene duro sono i Cappellani del lavoro, don Molinari è sempre in fabbrica".

L'arrivo di Mittal e l'assenza di investimenti nello stabilimento ha causato nel tempo una serie problematiche: "È mancata anche l'acqua da bere nello stabilimento, così come il vestiario, abbiamo difficoltà con il riscaldamento. Nel reparto avevamo messo le stufe radiali che una volta rotte non sono state piu riparate, il freddo si sente. La fiducia l'abbiamo persa, la speranza rimane sempre. La fiducia che venga ristabilito un reddito decente, che ci sia la possibilità di continuare a fare siderurgia a Genova".

Foto e video qui: https://www.primocanale.it/attualit%C3%A0/36636-ilva-cornigliano-storia.html

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