martedì 16 ottobre 2012

: ILVA: LA TESTIMONIANZA DI UN OPERAIO NEL 2008

Oggetto


Quella che segue è una lettera scritta da un operaio dell'ILVA sotto pseudonimo per paura del licenziamento.

La cosa rimarchevole è che l'operaio si rivolge non ad un sindacato, non ad un partito della sinistra istituzionale, non ad un comitato di difesa ambientale, ma al blog di Beppe Grillo...(Amara lectio, sed lectio).

Illuminante, ancor oggi, quello che l'operaio descrive dei comportamenti aziendali, sindacali e dei medici legali che effettuano i controlli sui chi si ammala gravemente per cause professionali. Il clima di terrore non è stato in alcun modo denunciato dai sindacati, e chi, come l'autore della lettera, vi si è iscritto, si è trovato esposto a tutte le ritorsioni dell'azienda senza nessuna tutela. Le formazioni della sinistra istituzionale - Rifondazione Comunista per prima - non hanno mosso un dito.

Inutile oggi chiedersi perché Vendola non si sia accorto di nulla, visto che a mettere la testa sotto la sabbia per decenni, prima di lui, sono stati tutti gli aggregati di quella sinistra italiota che, come giustamente rilevava McSilvan, era tutta concentrata a soppesare l'adeguatezza delle posizioni altrui su questioni di lana caprina, senza guardare le proprie macroscopiche inadeguatezze, i propri colpevoli ritardi e le proprie criminose latitanze.



da Operaio Acciaieria ILVA

Egregio Sig. Grillo,

le scrivo perché si è tanto detto sulla Thyssen Krupp, ma si tace forse volontariamente sulle Acciaierie ILVA di Taranto, se non per qualche sparuto articolo...

Sicuramente le saranno pervenute migliaia di e-mail di denunce per svariati motivi, da diventare oramai routine per lei certe denunce, ma ho voluto ugualmente scriverle per dare sfogo (prima che la mia rabbia per un certo sistema sbagliato di vivibilità lavorativa oramai omertosamente accettato dalle autorità locali e dai sindacati per un oramai noto Ricatto Occupazionale, mi porti a commettere delle sciocchezze irreversibili) a un malessere lavorativo che molti sociologi e psicologi definiscono mobbing!

A causa delle continue vessazioni psicologiche a cui io e i miei colleghi siamo sottoposti dai vari preposti aziendali mi vedo costretto, Sig. Grillo, a mantenere l'anonimato scrivendole con uno pseudonimo, mi scuso per questo mio stratagemma da operetta, ma le assicuro che se l'Azienda per cui lavoro sapesse che un suo dipendente denuncia le vessazioni quotidiane cui noi operai siamo sottoposti durante le ore lavorative le conseguenze per quel determinato operaio sarebbero catastrofiche.

Tutto ha inizio otto anni fa, quando dopo aver superato il contratto a tempo determinato, ritenni fisiologico (anche per una questione ideologica) aderire al Sindacato (per correttezza non specifico l'Associazione sindacale), anche se nel biennio di contratto a termine vi era una anomalia mai denunciata dalle organizzazioni sindacali: vigeva la regola, non tanto velata, dell'Azienda di astenersi da iscrizioni sindacali e da assenze per malattia.

Come le dicevo Sig. Grillo, i miei problemi coincidono con la mia tessera al sindacato, nei primi tempi non accade nulla di eclatante, anche se i primi segni si cominciavano a intravedere, tipo appelli verbali a rientrare nella giusta via (cancellandomi dal sindacato) poste sotto forma di chiacchierate amichevoli, atte a farmi rinsavire da parte dei preposti aziendali.

I veri problemi cominciarono ad arrivare con i primi scioperi per il rinnovo del contratto o per chiedere più sicurezza sul lavoro, le chiacchierate divennero minacce, e i primi provvedimenti non tardarono a mancare, soprattutto quando cominciarono le mie prime assenze causa malattia, tali avvenimenti furono vissuti dai preposti aziendali come atti di sfida che io lanciavo nei loro confronti.

Il culmine della mia tragedia lavorativa è avvenuta nel momento in cui io con i miei colleghi abbiamo cominciato a pretendere più sicurezza sugli impianti, rifiutandoci a volte di compiere delle operazioni (che oramai venivano quotidianamente svolte da anni, diventate norma all'interno dello stabilimento, anche se tali operazioni ci mettevano a rischio) che non erano in sicurezza. Da quel momento la mia vita lavorativa è diventata un semi-calvario, ripetuti spostamenti di mansione (continuando sempre a mantenere lo stesso stipendio e lo stesso incarico, ma con mansioni sempre meno qualificanti, anzi degradanti per un diplomato), vessazioni di ogni genere mi sono piovute sulla testa, con una mirata campagna denigratoria nei confronti miei e dei colleghi sindacalizzati, per sminuirci professionalmente agli occhi dei colleghi non tesserati alle organizzazioni sindacali.

Nonostante tutto abbiamo tenuto duro, eleggendo addirittura un nostro collega di reparto come Rappresentante sindacale (definito dagli stessi organi dirigenziali del sindacato, un Mastino), il collega eletto prese a cuore il suo incarico di rappresentante, anche provenendo da una formazione politica non propriamente di sinistra: divenne l'incubo di tutti i preposti aziendali che non riuscivano né a corromperlo (nonostante gli svariati tentativi per convincerlo ad assumere delle posizioni più soft), né a tenergli testa sul piano verbale, naturalmente le vessazioni divennero quotidiane anche verso i sostenitori del nostro rappresentante, la tensione aumentò sfociando in alcune denunce fatte alla procura di Taranto da ambo le parti.

All'inizio del 2005 ho scoperto di essere affetto da dei noduli tumorali e richiesi (questa volta io) per motivi di salute di essere sposato di reparto verso delle aree meno inquinanti, parlai anche con un preposto aziendale che mi fece credere nella loro buona fede e di pazientare qualche mese per il mio spostamento, ma venni per l'ennesima volta raggirato dall'Azienda come poi mi accorsi a mie spese a distanza di poco tempo: venni sì spostato dal mio reparto, ma a una mansione non certamente leggera ne tanto meno svolta in area non inquinata.

Dopo una ennesima battaglia svoltasi all'interno del nuovo reparto per farmi riconoscere la mia affezione, non compatibile con la mia nuova mansione, con l'aiuto del Responsabile sindacale (il Mastino), mi assegnarono una mansione più leggera, ma rimasi ugualmente nello stesso reparto saturo di sostanze inquinanti, con la promessa da parte dell'Ufficio del personale di spostarmi non appena si fosse liberato un posto più consono al mio stato di salute.

Come dicevo nel 2008 mi sono sottoposto ad un intervento chirurgico dovendo quindi assentarmi per un lungo periodo dal mio posto di lavoro, anche in questo caso tale mia assenza è stata vista come una defezione verso l'Azienda, quindi un motivo in più per agire scorrettamente contro la mia persona a livello professionale, non sono mancate le telefonate anonime di pochi minuti fatte tramite i cellulari dei preposti aziendali con ID nascosto (senza ricevere parola dall'altro capo del telefono) per verificare la mia presenza al mio domicilio fuori dalle fasce orarie di controllo INPS. Per non parlarvi del Medico Fiscale dell'INPS mandato dall'Azienda per controllare il mio stato di malattia, utilizzato come un arma, una sorta di Longa Manus, mandato più volte nell'arco della settimana a verificare la mia presenza al domicilio (tutto naturalmente a norma di legge, ma che crea sempre tensione psicologica e che mette in luce un certo accanimento verso la mia persona), culminato con, chiamiamola così, una disattenzione da parte dell'Ufficio del personale nell'invio del Medico Fiscale anche in un giorno di ferie. Tale trattamento è riservato a quasi tutti i tesserati, ma anche a coloro che per motivi di salute hanno fatto lunghe assenze per malattia.

Ma tali atteggiamenti sono solo la punta dell'iceberg, visto che lo scopo dell'Azienda è annullare ogni forma di solidarietà tra operai, e non si ferma neanche dinnanzi alla morte, come è accaduto a un nostro collega gravemente ammalatosi (morto pochi giorni fa) bisognoso di cure mediche costosissime: il Sindacato si era fatto promotore di una raccolta fondi per la famiglia versando dalla propria paga una quietanza (come si è sempre fatto in tutti i luoghi di lavoro civile) subito ostacolata dall'Azienda, che non ha permesso tale raccolta. Si è dovuto aggirare l'ostacolo versando privatamente (chi se la sentiva) una quota a un collega che ha fatto da intermediario tra noi operai e la famiglia. Questo atteggiamento austero dinnanzi a un tale episodio, è motivato dal fatto che l'Azienda vuole in tutti i modi dissociare gli episodi di malattia grave che colpiscono noi operai, causati dall'inquinamento, prendendo le distanze.

Inoltre, sempre restando a norma di legge, mentre si vive quotidianamente su impianti oramai vecchi e fatiscenti, i preposti aziendali addetti al controllo e alla vigilanza sulle norme di sicurezza si accaniscono contro gli operai scoperti a lavorare senza utilizzare la giacca della tuta o il casco antinfortunistico, ignorando, questi ultimi, di lavorare su passerelle vecchie degli anni '70 (mai sostituite), o di operare con attrezzature o impianti vetusti o a volte modificati (per allungarne la loro vita operativa) che non garantiscono più nessuna sicurezza per chi li maneggia. Si continua ad accanirsi verso coloro che non portano gli indumenti di sicurezza individuali, fioccano così i provvedimenti disciplinari, altro strumento di terrore (legale) in mano ai preposti aziendali, dove i veri puniti alla fin fine sono solamente coloro che posseggono la tessera, o rientrano nella lista dei "Sensibili".

Altra leggenda metropolitana sono i "Sensibili" (così chiamati dall'Azienda), cioè persone scomode ai diversi preposti aziendali, che dopo una chiacchierata con un amico che lavora in Direzione è diventata una terribile realtà.

Questo caro amico, dopo essermi lamentato per il trattamento che l'Azienda mi riservava, mi raccomandava di mantenermi calmo, perché esiste una lista di Sensibili compilata dalla Direzione atta a segnalare a tutti i preposti aziendali che un determinato operaio o impiegato è scomodo all'Azienda, una volta segnalato il numero di matricola aziendale del singolo dipendente tramite la rete informatica interna è impossibile tirarsene fuori.

Inoltre il personale delle aree a caldo (cioè tutti gli operai che operano a diretto contatto con l'acciaio liquido) sono soggetti ad alte temperature e ad un affaticamento fisico notevole, non percependo un centesimo in più di altri metalmeccanici del territorio nazionale, non si tiene conto del lavoro usurante che tale personale svolge quotidianamente. Eppure studi svolti nel 2007 dall'Università di Venezia, condotta da Agar Brugiavini, Jacopo Canello e Stefano Marchiante, parla chiaro: "il personale soggetto a turni lavorativi, o ad ambienti lavorativi nocivi per la salute, sono soggetti a rischio di malattie tumorali, e si consiglia un turnover del personale soggetto a lavori usuranti atto alla salvaguardia della salute dell'operaio", mentre nella nostra acciaieria ILVA il personale svolge ininterrottamente anche per 30 anni la stessa mansione usurante in area a caldo, nelle condizioni sopraccitate, senza alcuna agevolazione.

Che dirle più Sig.Grillo, a volte la realtà supera la fantasia, io oramai ho la nausea per questo sistema lavorativo, ma è l'unico posto certo in un Sud Italia oramai alla deriva.

Lei immagini cosa possa accadere in aziende molto più piccole della mia, inoltre la legge Biagi e tutte le successive modifiche fatte con il tacito consenso dei Sindacati, hanno trasformato i nostri posti di lavoro in semi-lager.

Qui al Sud essere operaio precario significa non avere nessun diritto.

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