Oggetto
Quella che
segue è una lettera scritta da un operaio dell'ILVA sotto pseudonimo per paura
del licenziamento.
La cosa rimarchevole è che l'operaio si rivolge non
ad un sindacato, non ad un partito della sinistra istituzionale, non ad un
comitato di difesa ambientale, ma al blog di Beppe Grillo...(Amara lectio, sed
lectio).
Illuminante, ancor oggi, quello che l'operaio descrive dei
comportamenti aziendali, sindacali e dei medici legali che effettuano i
controlli sui chi si ammala gravemente per cause professionali. Il clima di
terrore non è stato in alcun modo denunciato dai sindacati, e chi, come l'autore
della lettera, vi si è iscritto, si è trovato esposto a tutte le ritorsioni
dell'azienda senza nessuna tutela. Le formazioni della sinistra istituzionale -
Rifondazione Comunista per prima - non hanno mosso un dito.
Inutile oggi
chiedersi perché Vendola non si sia accorto di nulla, visto che a mettere la
testa sotto la sabbia per decenni, prima di lui, sono stati tutti gli aggregati
di quella sinistra italiota che, come giustamente rilevava McSilvan, era tutta
concentrata a soppesare l'adeguatezza delle posizioni altrui su questioni di
lana caprina, senza guardare le proprie macroscopiche inadeguatezze, i propri
colpevoli ritardi e le proprie criminose latitanze.
da Operaio
Acciaieria ILVA
Egregio Sig. Grillo,
le scrivo perché si è tanto
detto sulla Thyssen Krupp, ma si tace forse volontariamente sulle Acciaierie
ILVA di Taranto, se non per qualche sparuto articolo...
Sicuramente le
saranno pervenute migliaia di e-mail di denunce per svariati motivi, da
diventare oramai routine per lei certe denunce, ma ho voluto ugualmente
scriverle per dare sfogo (prima che la mia rabbia per un certo sistema sbagliato
di vivibilità lavorativa oramai omertosamente accettato dalle autorità locali e
dai sindacati per un oramai noto Ricatto Occupazionale, mi porti a commettere
delle sciocchezze irreversibili) a un malessere lavorativo che molti sociologi e
psicologi definiscono mobbing!
A causa delle continue vessazioni
psicologiche a cui io e i miei colleghi siamo sottoposti dai vari preposti
aziendali mi vedo costretto, Sig. Grillo, a mantenere l'anonimato scrivendole
con uno pseudonimo, mi scuso per questo mio stratagemma da operetta, ma le
assicuro che se l'Azienda per cui lavoro sapesse che un suo dipendente denuncia
le vessazioni quotidiane cui noi operai siamo sottoposti durante le ore
lavorative le conseguenze per quel determinato operaio sarebbero
catastrofiche.
Tutto ha inizio otto anni fa, quando dopo aver superato il
contratto a tempo determinato, ritenni fisiologico (anche per una questione
ideologica) aderire al Sindacato (per correttezza non specifico l'Associazione
sindacale), anche se nel biennio di contratto a termine vi era una anomalia mai
denunciata dalle organizzazioni sindacali: vigeva la regola, non tanto velata,
dell'Azienda di astenersi da iscrizioni sindacali e da assenze per
malattia.
Come le dicevo Sig. Grillo, i miei problemi coincidono con la
mia tessera al sindacato, nei primi tempi non accade nulla di eclatante, anche
se i primi segni si cominciavano a intravedere, tipo appelli verbali a rientrare
nella giusta via (cancellandomi dal sindacato) poste sotto forma di
chiacchierate amichevoli, atte a farmi rinsavire da parte dei preposti
aziendali.
I veri problemi cominciarono ad arrivare con i primi scioperi
per il rinnovo del contratto o per chiedere più sicurezza sul lavoro, le
chiacchierate divennero minacce, e i primi provvedimenti non tardarono a
mancare, soprattutto quando cominciarono le mie prime assenze causa malattia,
tali avvenimenti furono vissuti dai preposti aziendali come atti di sfida che io
lanciavo nei loro confronti.
Il culmine della mia tragedia lavorativa è
avvenuta nel momento in cui io con i miei colleghi abbiamo cominciato a
pretendere più sicurezza sugli impianti, rifiutandoci a volte di compiere delle
operazioni (che oramai venivano quotidianamente svolte da anni, diventate norma
all'interno dello stabilimento, anche se tali operazioni ci mettevano a rischio)
che non erano in sicurezza. Da quel momento la mia vita lavorativa è diventata
un semi-calvario, ripetuti spostamenti di mansione (continuando sempre a
mantenere lo stesso stipendio e lo stesso incarico, ma con mansioni sempre meno
qualificanti, anzi degradanti per un diplomato), vessazioni di ogni genere mi
sono piovute sulla testa, con una mirata campagna denigratoria nei confronti
miei e dei colleghi sindacalizzati, per sminuirci professionalmente agli occhi
dei colleghi non tesserati alle organizzazioni sindacali.
Nonostante
tutto abbiamo tenuto duro, eleggendo addirittura un nostro collega di reparto
come Rappresentante sindacale (definito dagli stessi organi dirigenziali del
sindacato, un Mastino), il collega eletto prese a cuore il suo incarico di
rappresentante, anche provenendo da una formazione politica non propriamente di
sinistra: divenne l'incubo di tutti i preposti aziendali che non riuscivano né a
corromperlo (nonostante gli svariati tentativi per convincerlo ad assumere delle
posizioni più soft), né a tenergli testa sul piano verbale, naturalmente le
vessazioni divennero quotidiane anche verso i sostenitori del nostro
rappresentante, la tensione aumentò sfociando in alcune denunce fatte alla
procura di Taranto da ambo le parti.
All'inizio del 2005 ho scoperto di
essere affetto da dei noduli tumorali e richiesi (questa volta io) per motivi di
salute di essere sposato di reparto verso delle aree meno inquinanti, parlai
anche con un preposto aziendale che mi fece credere nella loro buona fede e di
pazientare qualche mese per il mio spostamento, ma venni per l'ennesima volta
raggirato dall'Azienda come poi mi accorsi a mie spese a distanza di poco tempo:
venni sì spostato dal mio reparto, ma a una mansione non certamente leggera ne
tanto meno svolta in area non inquinata.
Dopo una ennesima battaglia
svoltasi all'interno del nuovo reparto per farmi riconoscere la mia affezione,
non compatibile con la mia nuova mansione, con l'aiuto del Responsabile
sindacale (il Mastino), mi assegnarono una mansione più leggera, ma rimasi
ugualmente nello stesso reparto saturo di sostanze inquinanti, con la promessa
da parte dell'Ufficio del personale di spostarmi non appena si fosse liberato un
posto più consono al mio stato di salute.
Come dicevo nel 2008 mi sono
sottoposto ad un intervento chirurgico dovendo quindi assentarmi per un lungo
periodo dal mio posto di lavoro, anche in questo caso tale mia assenza è stata
vista come una defezione verso l'Azienda, quindi un motivo in più per agire
scorrettamente contro la mia persona a livello professionale, non sono mancate
le telefonate anonime di pochi minuti fatte tramite i cellulari dei preposti
aziendali con ID nascosto (senza ricevere parola dall'altro capo del telefono)
per verificare la mia presenza al mio domicilio fuori dalle fasce orarie di
controllo INPS. Per non parlarvi del Medico Fiscale dell'INPS mandato
dall'Azienda per controllare il mio stato di malattia, utilizzato come un arma,
una sorta di Longa Manus, mandato più volte nell'arco della settimana a
verificare la mia presenza al domicilio (tutto naturalmente a norma di legge, ma
che crea sempre tensione psicologica e che mette in luce un certo accanimento
verso la mia persona), culminato con, chiamiamola così, una disattenzione da
parte dell'Ufficio del personale nell'invio del Medico Fiscale anche in un
giorno di ferie. Tale trattamento è riservato a quasi tutti i tesserati, ma
anche a coloro che per motivi di salute hanno fatto lunghe assenze per
malattia.
Ma tali atteggiamenti sono solo la punta dell'iceberg, visto
che lo scopo dell'Azienda è annullare ogni forma di solidarietà tra operai, e
non si ferma neanche dinnanzi alla morte, come è accaduto a un nostro collega
gravemente ammalatosi (morto pochi giorni fa) bisognoso di cure mediche
costosissime: il Sindacato si era fatto promotore di una raccolta fondi per la
famiglia versando dalla propria paga una quietanza (come si è sempre fatto in
tutti i luoghi di lavoro civile) subito ostacolata dall'Azienda, che non ha
permesso tale raccolta. Si è dovuto aggirare l'ostacolo versando privatamente
(chi se la sentiva) una quota a un collega che ha fatto da intermediario tra noi
operai e la famiglia. Questo atteggiamento austero dinnanzi a un tale episodio,
è motivato dal fatto che l'Azienda vuole in tutti i modi dissociare gli episodi
di malattia grave che colpiscono noi operai, causati dall'inquinamento,
prendendo le distanze.
Inoltre, sempre restando a norma di legge, mentre
si vive quotidianamente su impianti oramai vecchi e fatiscenti, i preposti
aziendali addetti al controllo e alla vigilanza sulle norme di sicurezza si
accaniscono contro gli operai scoperti a lavorare senza utilizzare la giacca
della tuta o il casco antinfortunistico, ignorando, questi ultimi, di lavorare
su passerelle vecchie degli anni '70 (mai sostituite), o di operare con
attrezzature o impianti vetusti o a volte modificati (per allungarne la loro
vita operativa) che non garantiscono più nessuna sicurezza per chi li maneggia.
Si continua ad accanirsi verso coloro che non portano gli indumenti di sicurezza
individuali, fioccano così i provvedimenti disciplinari, altro strumento di
terrore (legale) in mano ai preposti aziendali, dove i veri puniti alla fin fine
sono solamente coloro che posseggono la tessera, o rientrano nella lista dei
"Sensibili".
Altra leggenda metropolitana sono i "Sensibili" (così
chiamati dall'Azienda), cioè persone scomode ai diversi preposti aziendali, che
dopo una chiacchierata con un amico che lavora in Direzione è diventata una
terribile realtà.
Questo caro amico, dopo essermi lamentato per il
trattamento che l'Azienda mi riservava, mi raccomandava di mantenermi calmo,
perché esiste una lista di Sensibili compilata dalla Direzione atta a segnalare
a tutti i preposti aziendali che un determinato operaio o impiegato è scomodo
all'Azienda, una volta segnalato il numero di matricola aziendale del singolo
dipendente tramite la rete informatica interna è impossibile tirarsene
fuori.
Inoltre il personale delle aree a caldo (cioè tutti gli operai che
operano a diretto contatto con l'acciaio liquido) sono soggetti ad alte
temperature e ad un affaticamento fisico notevole, non percependo un centesimo
in più di altri metalmeccanici del territorio nazionale, non si tiene conto del
lavoro usurante che tale personale svolge quotidianamente. Eppure studi svolti
nel 2007 dall'Università di Venezia, condotta da Agar Brugiavini, Jacopo Canello
e Stefano Marchiante, parla chiaro: "il personale soggetto a turni lavorativi, o
ad ambienti lavorativi nocivi per la salute, sono soggetti a rischio di malattie
tumorali, e si consiglia un turnover del personale soggetto a lavori usuranti
atto alla salvaguardia della salute dell'operaio", mentre nella nostra
acciaieria ILVA il personale svolge ininterrottamente anche per 30 anni la
stessa mansione usurante in area a caldo, nelle condizioni sopraccitate, senza
alcuna agevolazione.
Che dirle più Sig.Grillo, a volte la realtà supera
la fantasia, io oramai ho la nausea per questo sistema lavorativo, ma è l'unico
posto certo in un Sud Italia oramai alla deriva.
Lei immagini cosa possa
accadere in aziende molto più piccole della mia, inoltre la legge Biagi e tutte
le successive modifiche fatte con il tacito consenso dei Sindacati, hanno
trasformato i nostri posti di lavoro in semi-lager.
Qui al Sud essere
operaio precario significa non avere nessun diritto.
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