mercoledì 5 agosto 2015

LETTERA APERTA ALLE ASSOCIAZIONI CHE SI OCCUPANO DI IMMIGRAZIONE - pervenutaci da Associazioni di Taranto

“Mafia Capitale” è questione che ci riguarda tutti, da vicino, da Roma alla più estrema provincia italiana.
Ci riguarda per una questione etica: sull’accoglienza delle persone che fuggono per ragioni di sicurezza o di povertà si sviluppano campagne elettorali. Sulla propaganda razzista crescono le divisioni sociali e si porta a compimento la distruzione di qualsiasi principio di solidarietà verso chiunque in questa società si trovi in difficoltà.
Ci riguarda perché mette in evidenza, finalmente, un modello di accoglienza finalizzato alla massimizzazione del profitto e non all’inclusione e al raggiungimento dell’autonomia dei soggetti beneficiari. Un modello costruito appositamente per favorire arricchimenti illeciti e corruzione.
Ci riguarda perché costruisce un clima di sospetto verso chiunque in questo campo abbia speso energie e impegno nella costruzione di percorsi di inclusione sociale.
Ci riguarda perché solo individuando, con il contributo essenziale degli “addetti ai lavori”, misure di controllo efficaci e applicabili a tutto il territorio, possiamo riconquistare la dignità che è dovuta in primo luogo alle persone migranti e agli operatori.

La gestione dell’accoglienza in condizioni di perenne emergenza fin dal 2011, costituisce il fattore principale della macchina dell’illecito: il sistema delle gare di appalto al massimo ribasso che non prevedono alcun tipo di rendicontazione, su numeri di centinaia di persone, consentono di produrre enormi risparmi nella gestione e formano il capitale da investire nel sistema corruttivo. Trenta euro a persona per 500, 1000 persone al giorno, in assenza di un sistema di controllo dell’erogazione dei servizi da parte dell’ente appaltante, assicurano profitti per milioni di euro. Su questo si è basato il sistema di Mafia Capitale con la gestione dei centri di emergenza. 
Da questo discendono alcune considerazioni: probabilmente si dovrebbe riportare l’affidamento delle strutture esclusivamente alle organizzazioni no-profit le quali, per legge, devono chiudere con bilancio zero e per cui gli eventuali utili non possono che essere utilizzati per scopi statutari, ovvero reinvestiti in progetti di utilità sociale. La legge esclude tassativamente un eventuale redistribuzione degli utili. Per percorrere questa strada è indispensabile anche prevedere un numero limitato di persone in accoglienza per ogni struttura, e un limite proporzionale alla popolazione ospitante che consenta un reale lavoro volto all’inclusione sociale.
E’ evidente che i fenomeni corruttivi investano solo determinate aree del Paese, quelle conosciute attualmente sono Roma e i suoi tentacoli su Mineo, ma gli aderenti al consorzio hanno interessi ovunque in Italia; si riaffacciano nella cronaca nomi noti nella gestione di CARA importanti come quello di Bari. E’ evidente, appunto, ma questo non ci esime dall’immaginare sistemi di controllo e valutazione degli operatori del terzo settore che sostengano la trasparenza degli atti e garantiscano in primo luogo gli operatori e le imprese sociali stesse.
Le Prefetture, in quanto organismi esecutivi dello Stato, dovrebbero assicurare la pubblicità degli atti, non solo nella assegnazione degli appalti, ma nella tracciabilità dei flussi di denaro e nel loro impiego.

Non dovrebbe essere difficile immaginare come rendere pubbliche, attraverso il web, le cifre che noi operatori del settore abbiamo ricevuto e come le abbiamo impiegate. 
Non dovrebbe essere difficile pensare che un organismo di controllo dovrebbe prevedere di validare l’effettiva avvenuta erogazione dei servizi attraverso il controllo dei contratti di lavoro, le ore di lavoro previste per ogni operatore, il numero degli operatori congruo con il numero dei beneficiari in accoglienza, il saldo degli stipendi, il pagamento dei fornitori, i servizi e le eventuali azioni innovative attuate. 
Non dovrebbe essere difficile chiedere la pubblicazione della contabilità del progetto. Non dovrebbe essere difficile rendere noto pubblicamente l’elenco delle strutture impegnate sul territorio e verificare la congruità delle presenze alla capienza autorizzata, evitando fenomeni di sovraffollamento possibile causa di problemi igienici, di sicurezza e di ordine pubblico.
Non dovrebbe essere difficile garantire un puntuale intervento a tutela dei minori da parte del Giudice nell’assegnazione dei tutori, che garantisca una terzietà nell’azione di tutela.
Tutto questo, ribadiamo, in primo luogo a nostra garanzia.
Il terzo settore avrebbe necessità di costruire insieme percorsi comuni, di scambiare le buone prassi, le informazioni, di essere fronte comune per la proposizione di politiche alternative a quella attuale, realizzata appositamente per arricchire la malavita organizzata e la politica contigua.
Il vergognoso scandalo di Roma potrebbe costituire, oggi, l’occasione positiva per costruire sul nostro territorio un laboratorio di legalità, che veda il coinvolgimento del terzo settore tutto, da proporre a livello nazionale. Per questo ci permettiamo di lanciare un appello alla realizzazione di un primo momento di discussione comune, pubblica, con il pieno protagonismo di tutti i soggetti sociali del territorio: associazioni di volontariato, di promozione sociale, sindacati, da realizzarsi in tempi brevi.

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