Ha vinto il no al referendum: gli operai della Bridgestone di Bari sono indisponibili a trattare sul taglio degli stipendi. Il risultato della consultazione interna all’azienda sulla riduzione degli elementi salariali ad personam (come gli scatti di anzianità) per 683mila euro su una riduzione totale di 4 milioni 185mila euro, da avviare dal primo gennaio prossimo, è netto: su 582 votanti (altri 166 non hanno partecipato alla consultazione), pari al 77,8 per cento dei dipendenti, si contano 343 no, 235 sì e quattro bianche. Il no prevale quindi con il 58,93 per cento dei voti, contro il 40,37 per cento dei sì. Si chiude così una un mese infuocato nello stabilimento barese alle prese con gli ultimi tagli da effettuare entro fine anno per rispettare l’accordo del 2013, quello che salvò la fabbrica dalla chiusura. Ora la palla passa di nuovo all’azienda. “La riduzione di emolumenti personali – dice Filippo Lupelli (Uil) – per legge spetta solo al lavoratore, non all’azienda con atto di imperio. Noi avevamo avvisato Bridgestone di togliere questi elementi dal tavolo della discussione. Il timore è che ora questo sia un pretesto dell’azienda per mascherare la volontà di andar via a prescindere, scaricando sui lavoratori la scelta della chiusura di Bari”.
Quel che è certo è che con il referendum si mette a rischio una bozza di intesa, una ipotesi di accordo che l’azienda aveva sottoposto ai sindacati appena una settimana prima al ministero dello Sviluppo economico. In quell’occasione la trattativa fra le parti era andata avanti fino a sera inoltrata. Sul tavolo la questione che scotta di più riguarda i 187 esuberi che l’azienda vorrebbe confermare entro la fine dell’anno. Il problema risale all’accordo del settembre 2013, nel quale, per evitare la chiusura definitiva dello stabilimento barese, si concordò l’esubero incentivato di 377 dipendenti. A oggiAggiungi un appuntamento per oggi però sono andati via volontariamente dall’azienda in 190. Restano quindi altri 187 esuberi da risolvere.
Al tavolo del Mise l’azienda si era mostrata inflessibile sia sul numero sia sulla data finale di chiusura degli esuberi, ovvero il 31 dicembre 2015, ma si era mostrata più dialogante sull’indennizzo da corrispondere ai lavoratori disponibili a uscire dall’azienda, proponendo loro ulteriori 20mila euro a dipendente oltre agli incentivi già previsti nel vecchio accordo. Prima di chiudere la vicenda già in quella sede, però, i sindacati avevano deciso di chiedere la parola ai dipendenti sull’altro pezzo di tagli previsto dall’accordo, quello da oltre 600mila euro in emolumenti personali sugli stipendi dei lavoratori. In questo senso il risultato del referendum è inequivocabile.ora chiude lo stabilimento, si va in ferie. Il prossimo incontro fra le parti fissato in agenda è quello del 2 settembre a Roma al ministero dello Sviluppo economico.
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