giovedì 4 luglio 2024

Dall'Avvocata Antonietta Ricci di Taranto - Solidarietà a Sebastiano Lamera - Una nuova minaccia allo stato di diritto. No al nuovo “ddl sicurezza”

Dall'avvocata Antonietta Ricci di Taranto


Sebastiano Lamera, delegato di fabbrica dello Slai Cobas alla 
Tenaris Dalmine è stato raggiunto da un provvedimento repressivo consistente nel "foglio di via" col divieto di presenza nel Comune di Milano, con il chiaro obiettivo di impedirgli sia di condurre l'attività sindacale, dato che Sebastiano in quanto responsabile dello Slai Cobas del territorio segue diverse vertenze dei lavoratori anche nel milanese, sia soprattutto per impedire che partecipi e che assuma il ruolo d'avanguardia che gli viene riconosciuto nelle manifestazioni in solidarietà con la Palestina che si svolgono a Milano.

Hanno colpito ora Sebastiano, ma negli ultimi mesi una serie lunghissima di denunce, fogli di via, multe, obbligo di soggiorno e sorveglianza speciale, stanno raggiungendo diversi attivisti.

Sottacendo il lungo elenco di tutta l’azione di repressione che sistematicamente viene messa in atto dalla polizia nei confronti di qualsivoglia manifestazione giovanile/studentesca non violenta di dissenso o contestazione, è in atto una deliberata volontà di reprimere, dissuadere, bloccare qualsiasi conflitto sociale.

E’ una tendenza normativa repressiva che parte da lontano (decreto Minniti, Salvini, Lamorgese) ma che a seguito delle recenti modifiche legislative introdotte, a partire dal decreto Caivano, si è accentuata ancor di più e sta modellando una società diversa.

Da ultimo, il nuovo ddl sicurezza del governo – ossia il Disegno di legge n. 1660 (Piantedosi-Nordio-Crosetto) recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario” – era fermo da mesi alla Camera, ma ora, a ridosso delle elezioni, la maggioranza sembra voler dare un’accelerata a questa norma-manifesto che negli ultimi giorni sta raccogliendo nuovi emendamenti repressivi e nel contempo ricevendo numerose critiche anche nelle audizioni.

Il disegno di legge 1660 Piantedosi-Nordio-Crosetto prevede una ulteriore criminalizzazione della marginalità sociale ed un ulteriore incremento della repressione del dissenso e del conflitto sociale oltre ad un ulteriore blindatura del carcere e l’aumento dei poteri delle polizie.

Questo nuovo provvedimento riporta alla filosofia securitaria, autoritaria e neoliberista che regge il governo Meloni: “il governo fa diventare il carcere e la pena gli unici strumenti di rimedio alle gravi carenze sociali presenti nel nostro paese, anche per la distruzione continua del welfare e i tagli alle spese sociali ed il conflitto viene relegato solo ad un problema di ordine pubblico” (Italo Di Sabato, Osservatorio repressione).

Anche per Susanna Marietti, del Coordinamento nazionale dell’associazione Antigone il nuovo ddl “è un disegno di legge pericolosissimo e perfino l’OSCE (l’Organizzazione europea per la sicurezza e la cooperazione) ha detto che mina lo stato di diritto in Italia. Ha una serie di norme che riguardano argomenti diversi, che introducono nuove fattispecie di reato, come l’occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui; la pena va anche a colpire i movimenti che organizzano queste occupazioni per colpire chi si fa carico di una questione sociale come quella del diritto all’abitare; riguarderà anche i picchetti antisfratto.” Si tratta, conclude Marietti di “uno spostamento dalle politiche sociali alle politiche penali”, una tendenza in corso già da tempo ma che ha avuto una accelerata con questo governo.

Pene altissime, nuovi reati, criminalizzazione del dissenso e del disagio sociale, fattispecie evanescenti e dubbi di incostituzionalità. Un passo indietro persino rispetto al vituperato codice Rocco che dovrebbe essere il parametro di un codice autoritario. Ma ora si fa peggio e non è da Stato di diritto.

E’ anche preoccupante la tendenza all'amministrativizzazione del diritto penale (fogli di via, sanzioni amministrative notevolmente inasprite, obbligo di soggiorno e sorveglianza speciale) perché anche se è vero che sono solo disposizioni amministrative, è anche vero che sono misure altrettanto afflittive come quelle penali senza però avere le garanzie del sistema penale.

Il testo del Ddl “sicurezza” introduce il reato di “rivolta in carcere”, inasprisce le pene nell’ambito di “manifestazioni di piazza”, trasforma in reato penale il “blocco stradale”, inasprisce le pene per i reati di “oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale” e rende possibile la detenzione di armi, da parte di agenti e funzionari di pubblica sicurezza, diverse da quella di ordinanza, anche quando non sono in servizio.

Come se non bastasse, con un emendamento presentato al Ddl dal deputato Igor Iezzi (Lega Nord) si propone l’inserimento di una nuova aggravante dei reati contro la “pubblica incolumità” tagliata su misura della molteplice rete di attivisti che da anni protestano contro le grandi opere (a partire da tav, ponte sullo stretto, tap e rigassifcatori): se fosse approvato verrebbe previsto il carcere da 4 a 20 anni per chi, anche con atti simbolici, possa anche solo “minacciare il blocco di opere infrastrutturali” o “impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica”.

Gli effetti di questo provvedimento sul nostro ordinamento giuridico sono preoccupanti per la deriva di natura autoritaria ed estremamente pericolosa che segnerà sui diritti dei cittadini e di determinate categorie di persone, specie le più marginali.

Acciaierie: Inchiesta per truffa ai danni dello Stato, dieci indagati: anche l’ex ad Morselli - Che si apra un nuovo processo Ilva contro ArcelorMittal - Acciaierie d'Italia

In Acciaierie d'Italia lo Stato era presente con Invitalia; quindi è pienamente corresponsabile

“L’ex Ilva falsificava i dati per ottenere più quote di emissione di Co2 gratuite”. Inchiesta per truffa ai danni dello Stato, dieci indagati: anche l’ex ad Morselli

di F. Q. | 3 Luglio 2024

Acciaierie d’Italia, durante la gestione guidata da Lucia Morselli, falsificava i dati sulle emissioni di Co2 per ottenete vantaggi nell’assegnazione delle quote di emissione gratuite. È l’accusa della procura di Taranto, che indaga per il reato di truffa in danno dello Stato dieci tra ex amministratori, procuratori, dipendenti e collaboratori pro tempore del gruppo partecipato da Am InvestCo Italy e Invitalia e ha disposto perquisizioni nei loro confronti. Si tratta, come riporta la Gazzetta del Mezzogiorno, della stessa Morselli, del suo segretario Carlo Kruger, di Sabina Zani, consulente di PriceWaterCooper, di Vincenzo Dimastromatteo e Alessandro Labile, direttori dello stabilimento, dei procuratori speciali di Adi Francesco Alterio, Adolfo Buffo e Paolo Fietta, di Antonio Mura, procuratore Adi con funzioni di direttore finanze, e di Felice Sassi, dipendente. Dallo scorso febbraio il gruppo è tornato in amministrazione straordinaria, passo necessario per mettere fine alla lite tra il socio pubblico e il gruppo angloindiano ArcelorMittal che ha spinto l’Ilva sull’orlo del precipizio. Le perquisizioni sono in corso nelle province di Taranto, Bari, Milano, Monza-Brianza e Modena sulla base di un decreto di perquisizione personale e locale. A quanto risulta al Fatto, acquisizioni di documenti sono in corso anche al ministero dell’Ambiente.

L’indagine riguarda il funzionamento del sistema europeo di scambio di quote di emissione (Eu Ets), istituito dalla Direttiva 2003/87/CE: è il principale strumento adottato dall’Unione Europea per ridurre le emissioni di gas a effetto serra nei settori energivori in base al protocollo di Kyoto. Il sistema si basa sul meccanismo del cosiddetto cap&trade che fissa un tetto massimo al livello complessivo delle emissioni consentite a tutti i soggetti vincolati, permettendo ai partecipanti di acquistare e vendere sul mercato diritti a emettere quote di CO2 secondo le loro necessità nel rispetto del limite stabilito. Il meccanismo ha lo scopo di mantenere alti i prezzi dei titoli per disincentivare la domanda e, pertanto, indurre le imprese europee ad inquinare meno. Ma le aziende più inquinanti ricevono da anni le quote di emissione a titolo gratuito per evitare un presunto rischio di delocalizzazione: una scelta che in passato – come raccontato nel 2019 su Fq Millennium – ha consentito a molti gruppi di rivendere sul mercato quei crediti o scaricarne il valore sui clienti finali, guadagnandoci.
Il rilancio dell’Ilva di Stato? 5.200 dipendenti in cassa. I sindacati: “Ingiustificabile. Non c’è un piano, come pensano di vendere?”

Secondo quanto accertato sinora nell’inchiesta, in relazione alla restituzione delle quote CO2 consumate nell’anno 2022 e all’assegnazione di quelle a titolo gratuito per l’anno 2023, Acciaierie d’Italia avrebbe attestato nel piano di monitoraggio e rendicontazione falsi quantitativi di consumi di materie prime (fossile, gas, ecc.), di prodotti finiti e semilavorati e relative giacenze, così alterando i parametri di riferimento (“fattore di emissione” e “livello di attività”). Adi avrebbe inoltre dichiarato al registro Eu Ets (Sistema europeo di scambio di quote di emissione) un numero di quote CO2 inferiore a quello effettivamente emesso, inducendo in errore il comitato ministeriale, che perciò assegnava gratuitamente allo stabilimento ex Ilva di Taranto, per l’anno 2023, un ammontare di quote superiore a quello effettivamente spettante.

In questo modo, secondo l’accusa, gli indagati avrebbero procurato un ingiusto profitto per Acciaierie d’Italia consistito, da un lato, in un risparmio di spesa, realizzato con la restituzione allo Stato (nello specifico, al Comitato ministeriale) di quote CO2 inferiori a quello che la società avrebbe dovuto restituire, e dall’altro nei maggiori ricavi determinati dal riconoscimento di quote di CO2 gratuite in misura eccedente. A danno del mercato primario delle “aste pubbliche” dello Stato. Nelle perquisizioni si cerca documentazione amministrativa e contabile per ricostruire le procedure esaminate per stabilire l’esatta quantificazione delle quote effettivamente spettanti.

Sull'ultima udienza del processo Ilva - La valutazione del nostro avvocato Gianluca Vitale - Perchè giuridicamente il processo non può essere trasferito


Dall'assemblea Slai cobas sc di Taranto con la parti civili

"Si è chiusa la prima fase di discussione dell’appello del processo “Ambiente svenduto”, ora aspettiamo la decisione della Corte d’appello. Sulle questioni preliminari, quella principale era la richiesta di trasferimento del processo da Taranto a Potenza che significherebbe ricominciare da zero. Perché se andiamo a Potenza la sentenza della Corte di Assise di Taranto scompare, si ricomincia da capo. Perché questa è la richiesta: non avrebbe potuto farsi il processo a Taranto, quindi per tutto quello che è successo finora abbiamo scherzato, ricominciamo. Che significa, ovviamente, altri 20 anni di processo. Nel frattempo tanti reati si prescrivono. Ovviamente tutti i difensori degli imputati hanno puntato molto su questa richiesta di trasferimento.

La Procura ha parlato nell’udienza del 21 giugno ha respinto abbastanza bene questa richiesta.

Oggi (udienza del 28 giugno) abbiamo puntualizzato, aggiunto una serie di argomenti, di considerazioni. Adesso la palla passa interamente alla Corte d’appello. Oggi la nostra sensazione non era negativa, altre volte sì. Hanno rinviato la sentenza al 13 di settembre, quindi il 13 sapremo.

Se si va a Potenza, continuiamo a lottare a Potenza, però “moriremo tutti prima di vedere l'alba”.

I difensori degli imputati hanno inoltre prodotto, elaborato una nuova consulenza sul danno diffuso dell'Ilva, che metterebbe in discussione i risultati delle perizie che erano state fatte 12 anni fa. Noi ovviamente ci siamo opposti, abbiamo detto che questo non si può fare, ma proprio proceduralmente, perché il processo ha dei tempi, e non è che all'infinito puoi ridiscutere le stesse cose. Questo pezzo di processo è chiuso, non può essere rifatto. Se dovesse entrare questa nuova consulenza le conseguenze sarebbero due. Primo, si dilaterebbero significativamente i tempi, perché a quel punto noi stessi dovremmo dire no, adesso voglio vedere questa consulenza, voglio poter porre delle domande, voglio richiamare i periti che avevano fatto la perizia 12 anni fa per capire che cosa ne pensano loro, come rispondere dal punto di vista scientifico. Questo significa un bel po di tempo. Ma soprattutto significa che uno dei punti fermi che c'era scientificamente, la questione che l'inquinamento deriva dall'Ilva, viene messo in discussione.

Questo è un'altra delle questioni sulle quali avremo una risposta il 13 settembre.

Una sensazione che continuo ad avere è che c'è qualcosa di strano. Vi sono quasi un centinaio di avvocati per le 1500 parti civili, e oggi siamo intervenuti in 5. Peraltro uno di questi, l’avvocato del Codacons, ha detto cose che giuridicamente non erano significative, fondate. È stato un intervento abbastanza mediatico, in cui sostanzialmente ha chiesto il sequestro dell'Ilva.

Due argomenti gli sono stati contrapposti, tutti e due giuridicamente fondati. Primo, ma tu chiedi il sequestro dell'Ilva sulla base di fatti di adesso? Questo processo è per fatti fino al 2013. Per quello che sta succedendo adesso me lo devi denunciare. Secondo, l’Ilva – ha detto il procuratore generale - è sotto sequestro con facoltà di utilizzo, ma è ancora sotto sequestro Quindi fare il sequestro del sequestro è un pochino strano dal punto di vista giuridico. Però in realtà qualcosa di utile c'è stata nella discussione del collega perché ha dato modo alla Procura generale, ma anche a noi, di associarci, di dire: va bene, questi argomenti qui non c’entrano niente, però visto che c'è la procura che sia la procura a prendere l'iniziativa oggi per dire facciamo un altro processo, facciamo un'altra indagine, perché oggi chi oggi gestisce l'Ilva sta facendo la stessa cosa che faceva Riva. Poi ha chiesto di rivedere l'ordinanza che sospendeva l'esecutività della provvisionale, cosa che in questa fase del processo sempre giuridicamente non ha senso. Anche questa è solo una affermazione mediatica. Infatti è stata respinta.

Molti altri avvocati hanno depositato memorie. Però oggettivamente è abbastanza brutto vedere un processo di queste dimensioni, per questi fatti, in cui sostanzialmente il 95% delle parti civili se ne frega del processo di appello e gli avvocati dietro. È un problema di rapporti di forza rispetto alla Corte d'appello, cioè la Corte d'appello sa che ha un esercito di avvocati difensori degli imputati che

vogliono smontare pezzo su pezzo la sentenza della Corte d’Assise, che ci fanno la battaglia; ma manca il pezzo delle vittime. Le vittime di tutto questo processo stanno lontani dal processo e questo negli equilibri, in una Corte di appello non è bello da vedere, sicuramente ci rende tutti più deboli, perché loro sanno che da questa parte dell'aula non c'è molto impegno, non c'è molta battaglia.

Tornando alla questione del trasferimento del processo a Potenza. I difensori degli imputati utilizzano l’articolo del codice di procedura penale, articolo 11, che dice, nel caso in cui in un procedimento penale un magistrato sia persona offesa o danneggiato, parte civile o imputato, il processo non si fa nella sede dove lui lavora, ma si fa in un'altra. E utilizzano sostanzialmente due argomenti, primo che si erano costituiti come parte civile due giudici di pace; l'argomento più è tecnico. Ma i due che si erano costituiti parte civile non erano già più giudici di pace, e poi hanno revocato la costituzione di parte civile. La giurisprudenza dice che l’incompatibilità vale solamente se nel momento in cui c'è il reato, ma anche successivamente durante il processo, sono magistrati di quella sede o comunque fanno ancora parte della magistratura. I due invece non facevano più parte della magistratura da anni.

L'altro problema pone centrale Taranto e l'inquinamento che colpisce tutti gli abitanti; per cui, dicono, anche i magistrati che vivono a Taranto e che lavorano nel distretto di Corte d'appello di Taranto sono danneggiati, sono persone offese di questo reato perché il reato che colpisce tutti. Allora il processo non si può fare a Taranto.

L'argomento che ho utilizzato io, a parte quello strettamente giuridico, utilizzando alcune sentenze, è più politico, cioè di politica giudiziaria. L’articolo 11 nasce con il codice di procedura penale quando ancora non si pensava a questo tipo di disastri ambientali, a questo tipo di conseguenze di diffusività Il disastro cui si pensava negli anni 30, era per esempio una frana, un'alluvione, un terremoto, un palazzo che crolla, non è la fabbrica che inquina.

Quale sarebbe la conseguenza se applicassero a questo processo l’art. 11? Come dicono i difensori degli imputati, tutte le volte che c'è un magistrato nell'area dove arriva la diffusività del pericolo, allora si sposta il processo e questo varrebbe per tutti i processi ambientali. Quindi il processo Eternit non si può fare a Torino, il processo Seveso non si può fare a Milano, Porto Marghera non si può fare a Venezia, ecc. Perché comunque tra le vittime ipotetiche, perché respirano, ci sono anche i magistrati.

Ma questo fa a pugni con un principio fondamentale del nostro sistema costituzionale che è il principio del giudice naturale precostituito per legge. Cioè, prima ancora che sia commesso il reato, si decide già chi è il giudice, in modo che non ci sia la possibilità né per il giudice di scegliersi il processo che vuole fare, né per l'imputato di scegliersi il giudice da cui vuole essere giudice. E il meccanismo principale è che il luogo dove è stato commesso il reato, è quello dove si fa il processo.

L'articolo 11, nella presenza di un magistrato, pone un'eccezione che va interpretata in modo assolutamente rigida. È un'eccezione a un principio costituzionale, un'eccezione che non deve rischiare di violare altri principi, il principio di ragionevolezza, il principio di uguaglianza fra tutti i cittadini, eccetera.

Un altro argomento a nostro favore – e l'ho detto nel mio intervento: io ho fatto dei processi anche per terrorismo, processi in cui si costituiva la Presidenza del Consiglio dei ministri dicendo, il reato di terrorismo, non l'attentato, non la bomba sul treno, è il fatto stesso che tu faccia parte dell'organizzazione terroristica. Chi vuole sovvertire lo Stato mette in pericolo i diritti di tutti i cittadini, è una lesione di ogni cittadino italiano.

Da questo ragionamento deriverebbe la conseguenza estrema sarebbe che questi processi non si fanno proprio in Italia, non si possono fare né a Torino, né a Roma, né a Milano, né a Padova, né a Bologna, né a Taranto, ecc., perché dovunque ci sono magistrati, che sono pure cittadini italiani, che quindi sono vittime di quel reato. Questo ragionamento sostanzialmente significherebbe bloccare completamente la possibilità di processare i reati più gravi. È evidente che questa non può essere la previsione della legge.

E allora la legge deve essere interpretata nel senso che solo nel caso in cui il magistrato sia vittima concreta, persona offesa o danneggiata si può discutere se c'è un problema di articolo 11 o no. Non si può dire automaticamente: c'è l'inquinamento, ci sta un magistrato andiamocene da un'altra parte.

Io ho insistito sul rigetto di questa eccezione, proprio basandomi su questo ragionamento.

C'è un magistrato che si è costituito parte civile? No. La Corte d'Assise ha deciso sulle pretese risarcitorie di qualche giudice? No.

Considerando l'articolo 11 norma eccezionale, per cui più volte la Corte costituzionale ha detto: deve essere applicato in modo rigido, restrittivo, perché altrimenti significherebbe derogare ai principi ordinari, ed, essendo appunto un'eccezione, lo possiamo fare solo quando dobbiamo valutare in modo certo la presenza dei presupposti dell'articolo 11.

Quindi ho posto in questo senso la domanda alla Corte d’appello: ma si è pronunciata la Corte d'Assise in merito alla pretesa risarcitoria di qualche giudice? No, e allora? Può sembrare un modo di ragionare semplicistico, però è stato colto anche dalla Corte di Cassazione, perché ha detto che si applica l'articolo 11 solo quando formalmente c'è una parte che si è costituita in quel ruolo, cioè imputato, parte offesa o danneggiato. Quindi di che stiamo discutendo? Stiamo discutendo del fatto: siccome i magistrati anche respirano, allora potenzialmente sono persone offese, però non hanno avanzato alcuna richiesta risarcitoria, quindi non ci sono nel processo".

Questione Acciaierie - cassa integrazione - Diffidiamo i sindacati confederali e USB dal firmarla!

Dopo l'incontro di Roma per la nuova cassa integrazione, le cose stanno come sostiene lo Slai cobas

questa cassa non si può, nè si deve accettare con queste motivazioni, con questi numeri, con queste modalità e senza una vera integrazione salariale per tutti, che non è certo quella proposta dall'azienda

i sindacati confederali sono divisi, con la Fim Cisl che dimostra ancora più chiaramente che è dalla parte di Commissari e governo, mentre gli altri, che tentennano, continuano a chiedere incontri senza una mobilitazione dei lavoratori  

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Il volantino diffuso nei giorni scorsi alla fabbrica

NO A QUESTA CASSINTEGRAZIONE CON QUESTI NUMERI E MODALITA’ E SENZA UNA VERA INTEGRAZIONE SALARIALE PER TUTTI

Acciaierie Italia ha annunciato una nuova cassa integrazione per 5.200 lavoratori di cui ben 4.400 a Taranto. È da settimane che si sapeva che Acciaierie d’Italia e i suoi Commissari sostenuti dal governo avrebbero avviato una nuova cassa integrazione per un anno. Era da settimane che si sapeva che i numeri di questa cassa integrazione sarebbero stati molto più alti. Per noi era chiaro E LO ABBIAMO SEMPRE DETTO AI LAVORATORI che tutte le decisioni del governo Meloni/Urso: l’Amministrazione Straordinaria, la nomina dei Commissari e l’avvio di quella attività che porterà a una nuova svendita di Acciaierie d‘Italia a nuovi padroni, indiani o ucraini con qualche italiano a fiancheggiare, sarebbero state per i lavoratori un rimedio peggiore del male.

Tutti volevamo che Mittal, che non stava certo sviluppando la produzione né tutelando lavoro e salute, andasse via, e in particolare andasse via la Morselli, ma solo lo Slai Cobas ha detto che con questo cambio di governance la situazione per i lavoratori sarebbe peggiorata. Solo lo Slai Cobas ha dichiarato forte e chiaro che il passaggio dell’azienda, sia pure provvisoriamente, allo Stato, non avrebbe portato alcun vantaggio ai lavoratori, né in termini di lavoro, né di salari, né di salute, né di futuro lavorativo. Solo lo Slai Cobas ha detto che il nuovo piano governo-commissari avrebbe portato a una cassa integrazione più ampia e permanente all’interno dello stabilimento a totale discrezione dei Commissari e secondo logiche del piano governo/Commissari che non hanno all’orizzonte alcuna soluzione che tuteli realmente lavoro, salari, salute dei lavoratori. Giorno dopo giorno questo è stato sempre più evidente. E’ stato evidente nelle ditte dell’appalto, i cui lavoratori sono già stati mandati in cassa integrazione, e molti di essi sono ai limiti del licenziamento, della Naspi, della chiusura dell’attività.

Sapevamo benissimo tutto questo e lo abbiamo in parte denunciato ai lavoratori con i nostri modesti mezzi. Ma chiaramente la passività degli operai delle Acciaierie e il dominio nelle loro file del sindacalismo confederale, fa sì che ai piani di padroni e del governo non si risponda mai con la lotta, mai per cambiarli e rovesciarli secondo gli interessi dei lavoratori, ma si risponde “accompagnando il morto”, cioè favorendoli con trattative a Roma e a Taranto che producono il risultato - scontato - del peggioramento della condizione dei lavoratori.

Da sempre diciamo che se ci sarà cassa integrazione - ma certamente questi numeri non sono accettabili! - deve andare insieme all’integrazione salariale che solo lo Slai Cobas ha sempre chiesto sin dal primo momento della crisi ultima delle Acciaierie; solo lo Slai Cobas ha insistito perché coloro che stanno ai tavoli lo ponessero come pregiudiziale per ogni ulteriore passaggio di cassa integrazione, perché senza integrazione salariale non si tratta soltanto di andare a casa senza sapere quanti potranno tornare, ma si tratta di vivere di miseria. Gli operai sono stanchi di vivere di cassa integrazione.

Ora il punto è rispondere con la lotta, ma non possiamo fare la lotta di sempre, un giorno in cui si è fuochisti e tutti gli altri giorni in cui si è pompieri. Si deve fare la lotta prolungata per ottenere risultati concreti che oltre la riduzione, il dimezzamento dell’attuale cassa integrazione, ottenga l’integrazione salariale e dica chiaro che nessun licenziamento, nessun operaio deve andare a casa, sia in Acciaierie che nell’indotto.

Senza l’alternativa sindacale di classe, senza la ribellione dei lavoratori, in questa fabbrica, passo dopo passo, al di là se si arriverà alla chiusura, si arriverà sicuramente, dopo periodi di massiccia cassaintegrazione, ad esuberi di oltre 5.000 operai; si arriverà sicuramente a una condizione in cui i lavoratori saranno più sfruttati e faranno più lavoro con meno paga; si arriverà a una condizione che non tutelerà né la sicurezza sul posto di lavoro e né la situazione ambientale in città; si arriverà sicuramente nell’appalto a una massiccia ondata di chiusure e licenziamenti, precarizzazioni dei lavoratori, mancanza di tutele e sicurezza.

Per invertire la situazione in questa fabbrica, per tutelare gli interessi immediati e futuri dei lavoratori, non servono parole, serve la lotta e l’organizzazione sindacale di classe, attualmente rappresentata sostanzialmente come progetto/indicazione dallo Slai Cobas.

Slai Cobas per il sindacato di classe

Via Livio Andronico, 47 Taranto - WA 3519575628 - slaicobasta@gmail.com

mercoledì 3 luglio 2024

Quando i proletari avranno il potere politico nelle loro mani LI MANDERANNO A ZAPPARE!


Le lavoratrici, i lavoratori degli asili comunali che vedono ogni giorno messi in pericolo anche minimi diritti conquistati con la lotta - ora il lavoro di un mese nel periodo di sospensione estiva - devono trovarsi di fronte assessori, che non sanno niente della reale condizione delle lavoratrici, che non ne vogliono sapere niente, che anche di fronte a una Delibera del Comune (come quella fatta il 14.7.2022) non la conoscono, non cercano di conoscerla (nonostante più di un mese fa nell'incontro del 23 maggio avevamo posto il lavoro nel periodo estivo), pretendono che sia lo Slai cobas a portare atti che il loro Comune ha fatto, poi di fronte all'evidenza cercano cavilli per cercare di mettere in forse l'applicazione della stessa Delibera per quest'anno.

Trattano le lavoratrici e i lavoratori, i loro rappresentanti sindacali con arroganza, fretta, dicendo che "siamo a casa loro". NO! il Comune - come gli è stato detto ieri - non è "casa loro", è "casa della popolazione" di Taranto. I Consiglieri, gli assessori stanno lì perchè sono stati votati dalla gente, ma poi considerano il Comune come cosa loro, in cui la gente e soprattutto i lavoratori devono chiedere il "permesso" e vedersi pure trattare male. 

L'incontro di ieri è stato un  esempio chiaro di tutto questo.

Alla fine assessore e consigliere comunale presente hanno dovuto ammettere che il mese estivo rimane.

A causa dei lavori presso gli asili, questo mese si concentrerà nella seconda quindicina di agosto, facendo quindi 7 ore al giorno. Un altro incontro definitivo su questo si farà massimo a fine luglio - ma cercheremo di avere notizie prima. 

Nel caso si allungassero i tempi dei lavori (ma si tratta di lavori che possono essere fatti in un tempo inferiore), chiederemo che il mese estivo si faccia comunque nelle zone degli asili libere dai lavori. 

SLAI COBAS 

Info - Ex Ilva, sindacati insoddisfatti dopo l'incontro a Roma

Dalla stampa - "Mancano risposte su lavoro e risorse"

La trattativa fra azienda e le e sigle sindacali è stata aggiornata a dopo la convocazione a Palazzo Chigi richiesta da Fim, Fiom e Cgil


Insoddisfatti i sindacati dall'incontro di martedì 2 luglio al Ministero del Lavoro convocato per discutere della procedura di cassa integrazione per i lavoratori dell'ex Ilva, nel corso del quale è stato confermato che non è stato ancora sbloccato il prestito ponte di 320 milioni di euro, risorse necessarie per il piano di ripartenza.

"L’azienda in amministrazione straordinaria ha ribadito la propria impostazione sull’avvio della cassa integrazione per 5.200 lavoratori. - spiega Loris Scarpa, coordinatore nazionale Fiom Cgil - Sono fondamentali per la prosecuzione della discussione, gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e la messa in funzione del secondo altoforno. Ad oggi il piano per la ripartenza che è stato presentato in Confindustria a Roma il 7 maggio scorso è in contraddizione con i numeri prospettati di cassa integrazione. Lo sblocco delle risorse è centrale e condizione imprescindibile per realizzare un accordo di ripartenza".