Vendita Ilva, ArcelorMittal presenta a Taranto le linee guida del progetto di rilancio
“Non possiamo svelare nulla sul prezzo d’acquisto per l’Ilva e sul piano occupazionale, ma pensiamo che il nostro piano industriale sia molto forte e possa garantire una stabilità e un’operatività a lungo termine che assicurerebbe un buon risultato occupazionale e vogliamo assicurarci che Taranto sia produttiva, sia redditizia ma anche competitiva rispetto al resto dell’Europa“. Non è stato escluso il ricorso alla mobilità per i lavoratori.
“Se Ilva facesse parte di Arcelor Mittal – ha osservato Davidson – vi sarebbe anche l’opportunità di spostarsi e trovare lavoro negli altri stabilimenti del gruppoIl progetto dello stabilimento Gent attualmente è in fase di lavorazione “e nel 2019 – hanno precisato i due rappresentati di Arcelor Mittal – inizierà la produzione di etanolo da quell’impianto. Il nostro obiettivo è quello di estendere questo progetto a tutta l’Europa“. “Nel caso – hanno rilevato – si dovesse realizzare l’acquisizione dello stabilimento Ilva, saremmo lieti di trasferire queste tecnologie nel sito di Taranto. Naturalmente ci sarebbero degli step da seguire perchè, nella prima fase, avremmo una produzione di 6 milioni e nella seconda di 8 milioni di tonnellate di acciaio. Se noi vogliamo parlare di innovazione delle tecnologie per la siderurgia questo cambia le carte in tavola“. Il gas che fuoriesce dall’altoforno, in base a questa tecnologia, si converte “in alcol etanolo. L’etanolo – è stato puntualizzato – è utilizzabile anche per le plastiche, per le vernici e per gli alimenti. Abbiamo una serie di progetti per questa conversione da mettere in atto. Ecco perchè vogliamo rapidamente implementarlo in Europa“.
Il gruppo attualmente produce “100 milioni di tonnellate d’acciaio, 70 milioni delle quali – hanno chiarito De Marè e Davidson – con gli altoforni e anche 7 milioni di tonnellate di preridotto, nell’impianto di Amburgo. Se dovessimo realizzare il preridotto in Europa, e lo abbiamo studiato riguardo all’Italia e ai Paesi dove abbiamo i nostri impianti, a causa dell’alto costo del gas naturale, la produzione di acciaio sarebbe una delle più costose. Anche se si dovesse ridurre del 30% grazie ai contributi statali, che non sono concessi, l’impianto risulterebbe ancora molto costoso rispetto ai competitor europei e non risulterebbe sostenibile“. L’altoforno “rimane sempre un elemento estremamente efficiente – è stato affermato – rispetto al 15% in meno dell’energia del predirotto“.
“La nostra offerta finanziaria ha un prezzo che non è stato rivelato e ha un piano di investimenti che riguarda 2,3 miliardi di euro divisi tra piano industriale e piano ambientale. Dal punto di vista ambientale l’impegno riguarda 1,1 miliardi di euro che comprende anche la copertura dei parchi minerali. Sappiamo che si tratta di un intervento importante e una problematica molto avvertita dalla popolazione“, hanno sottolineato Davidson e De Marè. “Non siamo in grado – è stato osservato – di indicare i tempi. Indubbiamente è un’opera che richiede molto lavoro ed è difficile stimare il tempo. Tuttavia sappiamo che è molto importante per la comunità, per i lavoratori stessi, per la città di Taranto. Sarà attribuita una priorità, ma non riusciamo a dare un riferimento temporale. Stiamo esaminando questa calendarizzazione e dobbiamo esaminare cosa è stato fatto dal punto di vista ingegneristico“. Quanto alle nuove tecnologie è stato spiegato che nello stabilimento di Gent, in Belgio, “dopo il coke si è iniziato a introdurre nell’altoforno direttamente il carbone. Si stima il 20% di emissioni in meno per tonnellata di acciaio. Non è un confronto con Ilva, non abbiamo accesso ai dati sulle emissioni. Arcelor Mittal sviluppa oggi nuove tecnologie che studiano la produzione con altoforni, ma includono anche altre potenzialità importanti per realizzare una trasformazione dei processi produttivi“.
“Non possiamo svelare nulla sul prezzo d’acquisto per l’Ilva e sul piano occupazionale, ma pensiamo che il nostro piano industriale sia molto forte e possa garantire una stabilità e un’operatività a lungo termine che assicurerebbe un buon risultato occupazionale e vogliamo assicurarci che Taranto sia produttiva, sia redditizia ma anche competitiva rispetto al resto dell’Europa“. Non è stato escluso il ricorso alla mobilità per i lavoratori.
“Se Ilva facesse parte di Arcelor Mittal – ha osservato Davidson – vi sarebbe anche l’opportunità di spostarsi e trovare lavoro negli altri stabilimenti del gruppo. Dal punto di vista industriale il nostro impegno è costituito da 1,2 miliardi di euro che comprendono l’aspetto del prodotto ma anche quello dei processi di lavorazione. Al centro del nostro piano abbiamo la stabilizzazione della produzione dell’Ilva – han detto ancora – e un incremento del portafoglio di prodotti perché Ilva possa salire nella catena dei valori per le consegne, la capacità e l’operatività dell’impianto. Vogliamo raggiungere 9,5 milioni di tonnellate di acciaio in due fasi perché, finché non saranno raggiunti gli standard Aia, Ilva può produrre soltanto 6 milioni di tonnellate. Nella prima fase vi sarà una produzione di 6 milioni di tonnellate, quindi, con 3 altoforni già esistenti più un’importazione di 4 milioni di tonnellate di bramme. Nella seconda fase il nostro programma prevede un incremento della produzione a 8 milioni di tonnellate utilizzando l’altoforno 5 più un’importazione di circa due milioni di tonnellate di bramme. Nella nostra offerta – ha aggiunto Carl De Marè, – abbiamo incluso la realizzazione di un Centro di ricerca a Taranto. Un piano di sviluppo con un investimento di 250 milioni di euro“.
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