sabato 11 marzo 2017

I VELENI DELL’ARCELORMITTAL UN MODELLO PER L’ILVA?

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Il gruppo franco-indiano ArcelorMittal ha lanciato la sua sfida per l’acquisto del Gruppo ILVA, annunciando un piano che prevedrebbe la produzione annua di 8 milioni di tonnellate di acciaio, di cui sei milioni sarebbero prodotti a Taranto e due milioni in altri stabilimenti europei appartenenti allo stesso gruppo ArcelorMittal (probabilmente a Fos-Sur-Mer, in Francia) e che poi dovrebbero essere inviati a Taranto per le operazioni di laminazione.
Il CEO europeo di ArcelorMittal ha parlato dello stabilimento fiore all’occhiello della siderurgia europea, l’ArcelorMittalGent che si trova a Gand o Gent, in Belgio, con una produzione annua di circa 5.5 milioni di tonnellate di acciaio. Gli impianti di Gand sorgono su una superficie che è la metà di quella dell’ILVA e si trovano a circa quindici chilometri dal cuore della città, nella zona del porto sul “ZeeCanal”, collocazione del tutto dissimile rispetto a quella dello stabilimento di Taranto che è attaccato alla città.
La verità di Gand è pero un’altra e non pare possa certo diventare un modello per risolvere la questione ambientale e sanitaria di Taranto.
Perché Peacelink ha potuto comparare i dati delle emissioni dichiarate al registro Europeo E-PRTR dal Gruppo ArcelorMittal, relativi al 2014 (i dati degli ultimi tre anni non sono ancora reperibili) e ha trovato che essi sono tutt’altro che confortanti!
“Biossido di Carbonio 3.690.000 ton, Cadmio 114 kg, Cromo 345 kg, Rame 581 kg, Nichel 319 kg, Piombo 10,8 ton, Zinco 5,42 ton, particolato PM10 1.020 ton, Monossido di Carbonio 122.000 ton, Composti Organici Volatili 1.440 ton, Ossido d’Azoto 5.410 ton, Ossido di Zolfo 5.460 ton, Benzene 10,9 ton, Naftalene 907 kg” sono i dati trovati da Luciano Manna, Peacelink, ed estratti dal database pubblico del registro europeo.
In alcuni casi l’acciaieria di ArcelorMittal emette più inquinanti dell’ILVA di Taranto, come ad esempio per il PM10.
Scrive Peacelink che “ILVA per il 2014 dichiara 217 tonnellate contro le 1.020 di ArcelorMittal. Più o meno le stesse quantità per gli inquinanti Ossido d’Azoto e Ossido di Zolfo: ILVA sempre per lo stesso anno dichiara rispettivamente 5.700 e 4.420 tonnellate, 5.410 e 5.460 per ArcelorMittal. Per il Monossido di Carbonio ILVA dichiara 104.000 tonnellate contro le 122.000 di ArcelorMittal. O ancora per il Benzene dove ILVA dichiara 3,78 tonnellate mentre l’acciaieria belga ne dichiara 10,9”.
Arcelor parla di rispetto delle norme ambientali e di un processo di ristrutturazione dello stabilimento di Taranto che includerebbe lo smantellamento dell’Altoforno 5, accompagnato da una serie di investimenti a lungo termine che toccano anche l’occupazione degli 11.000 dipendenti.
Ma resta la questione del carbone. Perché ArcelorMittal ha subito chiarito che non è possibile produrre acciaio a Taranto senza carbone. E quindi dal punto di vista ambientale le criticità rimangono tutte.
La gara per l’acquisto dell’ILVA, tuttavia, non appare ancora chiusa. Da una parte ArcelorMittal con Marcegaglia e dall’altra il concorrente AcciaItalia, cordata composta dall’indiana Jindal (35%), dalla Cassa Depositi e Prestiti e dal Gruppo Delfin di Leonardo Del Vecchio (entrambe al 27,5%) oltre che dal Gruppo Arvedi (10%).
A due settimane dal termine per la presentazione delle offerte da parte delle due cordate, ci si chiede quanto il Governo sarà pronto ad accettare in termini economici pur di vendere lo stabilimento di Taranto e quali garanzie la città avrà sulla effettiva realizzazione di programmi annunciati e fino ad ora disattesi.
Intanto arriva la notizia che il GIP di Milano ha bocciato le richieste di patteggiamento dei Riva in uno dei procedimenti milanesi a carico della famiglia. Nelle scorse settimane, infatti, le Procure di Taranto e Milano avevano confermato l’accordo tra il gruppo ILVA, la famiglia Riva e le società ad essi riconducibili, accordo per un totale di 1,33 miliardi di euro, di cui 1,1 per “il piano ambientale” e 230 milioni per la gestione corrente dell’azienda.
Un accordo che prevedeva contestualmente che fossero rese disponibili alla società, con accordo dei Riva, le somme sotto sequestro penale custodite in Svizzera. I sostituti procuratori Civardi e Clerici, coordinati dal Procuratore Capo Greco, avevano dato l’assenso al patteggiamento in cambio della restituzione della somma di 1.33 miliardi sequestrati dai magistrati in alcuni trust.
Ma per il GIP Vicidomini le pene previste per i Riva sono troppo esigue per ratificare il patteggiamento, a fronte dell’estrema gravità dei fatti contestati e costituiti da reati plurimi di bancarotta fraudolenta e da diverse operazioni ai danni di Riva Fire e ILVA Spa.
Una bocciatura netta non solo del patteggiamento e di tutta l’operazione, ma anche della bozza di transazione tra le società dei Riva, misura contemplata nell’ultimo decreto ILVA. Perché quella manovra avrebbe fatto rientrare in Italia la somma custodita in Svizzera per metterla de facto a disposizione del Governo. Ma secondo il Gip di Milano, l’accordo rimaneva molto generico su diverse azioni e rischiava di dar vita ad una abdicazione alla tutela di molteplici interessi, che invece richiederebbero maggiore salvaguardia.
Pochi giorni fa, inoltre, il Tribunale federale svizzero aveva rinviato nuovamente la decisione sullo sblocco delle stesse somme sequestrate alla famiglia Riva e custodite in Svizzera. La procedura era stata sospesa per incongruenze legali.
Una grande sconfitta del Governo, che aveva costruito la propria strategia (di navigazione a vista) sull’ILVA sulla base di incertezze, di assunti e di tentativi mal confezionati e peggio riusciti.
Salta il programma sul quale si era costruito l’iter di privatizzazione, di messa a norma e quant’altro riguardante lo stabilimento di Taranto. Gli 1,3 miliardi erano stati promessi (nonostante fossero una somma troppo esigua rispetto ai bisogni reali) per interventi urgenti dell’AIA affinché fossero realizzati prima della vendita.
L’effetto delle due prese di posizione giudiziarie potrebbe pregiudicare il processo di cessione. Infatti, le due cordate in campo potrebbero chiedere un ulteriore abbassamento del prezzo di vendita per scomputare il valore dei lavori promessi e non realizzati.
Inoltre, il non-patteggiamento ILVA toccherebbe anche il processo di Taranto, che ritornerebbe ad essere un processo a pieno titolo con tutti gli imputati.
Si chiede al Governo come intende gestire la grave questione e come è stato possibile procrastinare decisioni che hanno un effetto talmente diretto sulla vita e la salute della popolazione di Taranto, basandosi sull’assunto di decisioni ancora da venire.
Come si potrà tenere Taranto ancora in ostaggio di un futuro che sembra sempre più precario da tutti i punti di vista?
E’ arrivato il momento di affrontare con serietà la questione, in tutte le sue diverse e gravi sfaccettature.
Non è solo il futuro dell’industria italiana che deve preoccupare, ma la prepotente approssimazione con la quale una questione di tale importanza e portata viene affrontata.
Taranto ha diritto a decisioni concrete, non a nuovi, continui rinvii e fantasiose trovate.
di Antonia Battaglia

15 febbraio 2017

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