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I
Il gruppo franco-indiano
ArcelorMittal ha lanciato la sua sfida per l’acquisto del Gruppo ILVA,
annunciando un piano che prevedrebbe la produzione annua di 8 milioni di
tonnellate di acciaio, di cui sei milioni sarebbero prodotti a Taranto e due
milioni in altri stabilimenti europei appartenenti allo stesso gruppo
ArcelorMittal (probabilmente a Fos-Sur-Mer, in Francia) e che poi dovrebbero
essere inviati a Taranto per le operazioni di laminazione.
Il CEO europeo di ArcelorMittal ha
parlato dello stabilimento fiore all’occhiello della siderurgia europea,
l’ArcelorMittalGent che si trova a Gand o Gent, in Belgio, con una produzione
annua di circa 5.5 milioni di tonnellate di acciaio. Gli impianti di Gand
sorgono su una superficie che è la metà di quella dell’ILVA e si trovano a circa
quindici chilometri dal cuore della città, nella zona del porto sul “ZeeCanal”,
collocazione del tutto dissimile rispetto a quella dello stabilimento di Taranto
che è attaccato alla città.
La verità di Gand è pero un’altra
e non pare possa certo diventare un modello per risolvere la questione
ambientale e sanitaria di Taranto.
Perché Peacelink ha potuto
comparare i dati delle emissioni dichiarate al registro Europeo E-PRTR dal
Gruppo ArcelorMittal, relativi al 2014 (i dati degli ultimi tre anni non sono
ancora reperibili) e ha trovato che essi sono tutt’altro che
confortanti!
“Biossido di Carbonio 3.690.000
ton, Cadmio 114
kg , Cromo 345 kg , Rame 581 kg , Nichel
319 kg ,
Piombo 10,8 ton, Zinco 5,42 ton, particolato PM10 1.020 ton, Monossido di
Carbonio 122.000 ton, Composti Organici Volatili 1.440 ton, Ossido d’Azoto 5.410
ton, Ossido di Zolfo 5.460 ton, Benzene 10,9 ton, Naftalene 907 kg” sono i dati
trovati da Luciano Manna, Peacelink, ed estratti dal database pubblico del
registro europeo.
In alcuni casi l’acciaieria di
ArcelorMittal emette più inquinanti dell’ILVA di Taranto, come ad esempio per il
PM10.
Scrive Peacelink che “ILVA per il
2014 dichiara 217 tonnellate contro le 1.020 di ArcelorMittal. Più o meno le
stesse quantità per gli inquinanti Ossido d’Azoto e Ossido di Zolfo: ILVA sempre
per lo stesso anno dichiara rispettivamente 5.700 e 4.420 tonnellate, 5.410 e
5.460 per ArcelorMittal. Per il Monossido di Carbonio ILVA dichiara 104.000
tonnellate contro le 122.000 di ArcelorMittal. O ancora per il Benzene dove ILVA
dichiara 3,78 tonnellate mentre l’acciaieria belga ne dichiara 10,9”.
Arcelor parla di rispetto delle
norme ambientali e di un processo di ristrutturazione dello stabilimento di
Taranto che includerebbe lo smantellamento dell’Altoforno 5, accompagnato da una
serie di investimenti a lungo termine che toccano anche l’occupazione degli
11.000 dipendenti.
Ma resta la questione del carbone.
Perché ArcelorMittal ha subito chiarito che non è possibile produrre acciaio a
Taranto senza carbone. E quindi dal punto di vista ambientale le criticità
rimangono tutte.
La gara per l’acquisto dell’ILVA,
tuttavia, non appare ancora chiusa. Da una parte ArcelorMittal con Marcegaglia e
dall’altra il concorrente AcciaItalia, cordata composta dall’indiana Jindal
(35%), dalla Cassa Depositi e Prestiti e dal Gruppo Delfin di Leonardo Del
Vecchio (entrambe al 27,5%) oltre che dal Gruppo Arvedi (10%).
A due settimane dal termine per la
presentazione delle offerte da parte delle due cordate, ci si chiede quanto il
Governo sarà pronto ad accettare in termini economici pur di vendere lo
stabilimento di Taranto e quali garanzie la città avrà sulla effettiva
realizzazione di programmi annunciati e fino ad ora disattesi.
Intanto arriva la notizia che il
GIP di Milano ha bocciato le richieste di patteggiamento dei Riva in uno dei
procedimenti milanesi a carico della famiglia. Nelle scorse settimane, infatti,
le Procure di Taranto e Milano avevano confermato l’accordo tra il gruppo ILVA,
la famiglia Riva e le società ad essi riconducibili, accordo per un totale di
1,33 miliardi di euro, di cui 1,1 per “il piano ambientale” e 230 milioni per la
gestione corrente dell’azienda.
Un accordo che prevedeva
contestualmente che fossero rese disponibili alla società, con accordo dei Riva,
le somme sotto sequestro penale custodite in Svizzera. I sostituti procuratori
Civardi e Clerici, coordinati dal Procuratore Capo Greco, avevano dato l’assenso
al patteggiamento in cambio della restituzione della somma di 1.33 miliardi
sequestrati dai magistrati in alcuni trust.
Ma per il GIP Vicidomini le pene
previste per i Riva sono troppo esigue per ratificare il patteggiamento, a
fronte dell’estrema gravità dei fatti contestati e costituiti da reati plurimi
di bancarotta fraudolenta e da diverse operazioni ai danni di Riva Fire e ILVA
Spa.
Una bocciatura netta non solo del
patteggiamento e di tutta l’operazione, ma anche della bozza di transazione tra
le società dei Riva, misura contemplata nell’ultimo decreto ILVA. Perché quella
manovra avrebbe fatto rientrare in Italia la somma custodita in Svizzera per
metterla de facto a disposizione del Governo. Ma secondo il Gip di Milano,
l’accordo rimaneva molto generico su diverse azioni e rischiava di dar vita ad
una abdicazione alla tutela di molteplici interessi, che invece richiederebbero
maggiore salvaguardia.
Pochi giorni fa, inoltre, il
Tribunale federale svizzero aveva rinviato nuovamente la decisione sullo sblocco
delle stesse somme sequestrate alla famiglia Riva e custodite in Svizzera. La
procedura era stata sospesa per incongruenze legali.
Una grande sconfitta del Governo,
che aveva costruito la propria strategia (di navigazione a vista) sull’ILVA
sulla base di incertezze, di assunti e di tentativi mal confezionati e peggio
riusciti.
Salta il programma sul quale si
era costruito l’iter di privatizzazione, di messa a norma e quant’altro
riguardante lo stabilimento di Taranto. Gli 1,3 miliardi erano stati promessi
(nonostante fossero una somma troppo esigua rispetto ai bisogni reali) per
interventi urgenti dell’AIA affinché fossero realizzati prima della vendita.
L’effetto delle due prese di
posizione giudiziarie potrebbe pregiudicare il processo di cessione. Infatti, le
due cordate in campo potrebbero chiedere un ulteriore abbassamento del prezzo di
vendita per scomputare il valore dei lavori promessi e non realizzati.
Inoltre, il non-patteggiamento
ILVA toccherebbe anche il processo di Taranto, che ritornerebbe ad essere un
processo a pieno titolo con tutti gli imputati.
Si chiede al Governo come intende
gestire la grave questione e come è stato possibile procrastinare decisioni che
hanno un effetto talmente diretto sulla vita e la salute della popolazione di
Taranto, basandosi sull’assunto di decisioni ancora da venire.
Come si potrà tenere Taranto
ancora in ostaggio di un futuro che sembra sempre più precario da tutti i punti
di vista?
E’ arrivato il momento di
affrontare con serietà la questione, in tutte le sue diverse e gravi
sfaccettature.
Non è solo il futuro
dell’industria italiana che deve preoccupare, ma la prepotente approssimazione
con la quale una questione di tale importanza e portata viene affrontata.
Taranto ha diritto a decisioni
concrete, non a nuovi, continui rinvii e fantasiose trovate.
di
Antonia
Battaglia
15
febbraio 2017
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