La protesta scaturì a seguito dei dinieghi dello status di rifugiato politico emessi della Commissione territoriale.
FOGGIA - Diciassette immigrati arrestati e altri nove sfuggiti alla cattura e ricercati dalle forze dell’ordine. E’ il bilancio del blitz degli agenti della Squadra Mobile della Questura, coordinati dalla Procura della Repubblica di Foggia, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di nigeriani, ghanesi e senegalesi dimoranti nel Cara di Borgo Mezzanone (nei pressi di Foggia) che il 27 ottobre scorso si resero protagonisti di una rivolta nel centro di accoglienza. Dovranno rispondere di reati che vanno dalla devastazione al saccheggio, dalle lesioni alla resistenza a pubblico ufficiale.
I responsabili della rivolta sono stati identificati grazie ai filmati ripresi dai sistemi di videosorveglianza presenti dentro e fuori il Cara di Borgo Mezzanone. La protesta scaturì a seguito dei dinieghi dello status di rifugiato politico emessi della Commissione territoriale.
Secondo le accuse degli inquirenti, in occasione di quegli incidenti furono distrutte tre auto della polizia parcheggiate all’interno della struttura e un’ambulanza. Ma fu preso di mira anche il magazzino di distribuzione del vestiario, e furono saccheggiate le derrate alimentari del magazzino della mensa: secondo gli investigatori fu messa in atto una vera e propria rivolta, tentando anche di appropriarsi di schede telefoniche e sigarette. I rivoltosi appiccarono il fuoco bruciando copertoni e materiali di risulta.
Quella di oggi è una tra le più grosse operazioni sul territorio nazionale che hanno interessato un centro di accoglienza immigrati. Trecento gli uomini della Polizia di Stato (con l’ausilio di personale dei carabinieri e della Guardia di Finanza) appartenenti a diversi reparti, coordinati dalla Squadra mobile.
I rivoltosi si accanirono anche sugli ingressi del locale ufficio di polizia e sugli uffici amministrativi, dividendosi e colpendo le porte di ingresso con una fitta sassaiola e con bastoni di ferro. Pietre ed oggetti furono lanciati anche verso il personale del locale ufficio immigrazione. Un’azione violenta che costrinse gli operatori a barricarsi all’interno della sede per non essere travolti dagli immigrati.
dalla gazzetta delmezzogiorno
I responsabili della rivolta sono stati identificati grazie ai filmati ripresi dai sistemi di videosorveglianza presenti dentro e fuori il Cara di Borgo Mezzanone. La protesta scaturì a seguito dei dinieghi dello status di rifugiato politico emessi della Commissione territoriale.
Secondo le accuse degli inquirenti, in occasione di quegli incidenti furono distrutte tre auto della polizia parcheggiate all’interno della struttura e un’ambulanza. Ma fu preso di mira anche il magazzino di distribuzione del vestiario, e furono saccheggiate le derrate alimentari del magazzino della mensa: secondo gli investigatori fu messa in atto una vera e propria rivolta, tentando anche di appropriarsi di schede telefoniche e sigarette. I rivoltosi appiccarono il fuoco bruciando copertoni e materiali di risulta.
Quella di oggi è una tra le più grosse operazioni sul territorio nazionale che hanno interessato un centro di accoglienza immigrati. Trecento gli uomini della Polizia di Stato (con l’ausilio di personale dei carabinieri e della Guardia di Finanza) appartenenti a diversi reparti, coordinati dalla Squadra mobile.
I rivoltosi si accanirono anche sugli ingressi del locale ufficio di polizia e sugli uffici amministrativi, dividendosi e colpendo le porte di ingresso con una fitta sassaiola e con bastoni di ferro. Pietre ed oggetti furono lanciati anche verso il personale del locale ufficio immigrazione. Un’azione violenta che costrinse gli operatori a barricarsi all’interno della sede per non essere travolti dagli immigrati.
dalla gazzetta delmezzogiorno
Caporalato, sulle demolizioni spuntano nuove baraccopoli lavoro nero
CASA SANKARA: «I PRIMI A NON DENUNCIARE SONO I SINDACATI» LA LOTTA ALLO
FOGGIA - Il percorso di integrazione «sarà lungo e difficile», il caporalato «non si
sconfigge tanto facilmente finchè troverà un appiglio nelle nostre debolezze». Ma intanto qualcosa è cominciato. Perciò basta polemiche, vietato strumentalizzare i lavoratori migranti. Lo chiedono i 320 «residenti» di Casa Sankara, la comunità nelle campagne di San Severo insediata dalla Regione dopo la chiusura del Gran Ghetto di Rignano (1 marzo) in una vecchia azienda agricola gestita da due anni da un gruppo di senegalesi. In quel caseggiato è spuntato forse un germe di normalità, nell'immensa cloaca che è diventata l'accoglienza dei «lavoratori della terra», come si autodefiniscono, in Capitanata. Perché se la Regione ha usato le ruspe per cancellare la vergogna del Ghetto, quella sta già riemergendo dalle sue stesse ceneri e a nemmeno un mese di distanza dallo spettacolare sgombero (con il drammatico corollario di due morti) voluto dal presidente Emiliano dopo vent'anni di immobilismo. Le nuove baracche rinascono tra i rifiuti incendiati del vecchio accampamento, perché è lì che vanno i caporali in cerca di braccia per le campagne.
E a borgo Mezzanone, altra bidonville fra Foggia e Manfredonia, le baracche sono quasi raddoppiate dopo aver accolto i transfughi del Ghetto. Insomma i ghetti sono sempre là, più forti e più di prima. Vediamo se almeno l'esperimento di Casa Sankara funziona. «La Regione – scrivono in una nota i migranti ospiti del primo campo legalizzato – ha voluto dare un segnale forte e chiaro di voler combattere l'illegalità che vigeva nel Gran Ghetto come in altri ghetti. Ora tocca a tutti noi, ognuno con i propri mezzi e strumenti, dare forza e concretezza a questo progetto. La produzione agricola in Capitanata ha bisogno di questi braccianti agricoli, così come i prodotti pugliesi hanno bisogno di una filiera etica che non poggi le proprie basi sullo sfruttamento di questi fratelli africani. Oggi abbiamo un'occasione unica che non va sprecata per le velleità egoistiche di qualcuno che non fa altro che gettare fango su quanti, in questo progetto, ci stanno mettendo l'anima».
È anche una battaglia d'immagine, questo è chiaro. La Regione si fa scudo dell'esperienza di Casa Sankara per ribaltare lo scenario che si sta profilando e riportare la «verità» dalla sua parte. I lavoratori puntano il dito anche contro i «sindacalisti o presunti tali» accusati di non essere schierati dalla parte delle istituzioni. Ed è forse la prima volta che accade. «Si prendano la responsabilità di denunciare caporali e sfruttatori - rilevano - chiedendo alle aziende di assumere tramite le liste di prenotazione la manodopera che serve loro, se davvero vogliono combattere il caporalato». Un affondo senza precedenti, alle vigilia di un’altra stagione rovente per le grandi campagne di raccolta nel Foggiano. Una cosa è certa: i ghetti ci rimarranno finché ci saranno i caporali.
sconfigge tanto facilmente finchè troverà un appiglio nelle nostre debolezze». Ma intanto qualcosa è cominciato. Perciò basta polemiche, vietato strumentalizzare i lavoratori migranti. Lo chiedono i 320 «residenti» di Casa Sankara, la comunità nelle campagne di San Severo insediata dalla Regione dopo la chiusura del Gran Ghetto di Rignano (1 marzo) in una vecchia azienda agricola gestita da due anni da un gruppo di senegalesi. In quel caseggiato è spuntato forse un germe di normalità, nell'immensa cloaca che è diventata l'accoglienza dei «lavoratori della terra», come si autodefiniscono, in Capitanata. Perché se la Regione ha usato le ruspe per cancellare la vergogna del Ghetto, quella sta già riemergendo dalle sue stesse ceneri e a nemmeno un mese di distanza dallo spettacolare sgombero (con il drammatico corollario di due morti) voluto dal presidente Emiliano dopo vent'anni di immobilismo. Le nuove baracche rinascono tra i rifiuti incendiati del vecchio accampamento, perché è lì che vanno i caporali in cerca di braccia per le campagne.
E a borgo Mezzanone, altra bidonville fra Foggia e Manfredonia, le baracche sono quasi raddoppiate dopo aver accolto i transfughi del Ghetto. Insomma i ghetti sono sempre là, più forti e più di prima. Vediamo se almeno l'esperimento di Casa Sankara funziona. «La Regione – scrivono in una nota i migranti ospiti del primo campo legalizzato – ha voluto dare un segnale forte e chiaro di voler combattere l'illegalità che vigeva nel Gran Ghetto come in altri ghetti. Ora tocca a tutti noi, ognuno con i propri mezzi e strumenti, dare forza e concretezza a questo progetto. La produzione agricola in Capitanata ha bisogno di questi braccianti agricoli, così come i prodotti pugliesi hanno bisogno di una filiera etica che non poggi le proprie basi sullo sfruttamento di questi fratelli africani. Oggi abbiamo un'occasione unica che non va sprecata per le velleità egoistiche di qualcuno che non fa altro che gettare fango su quanti, in questo progetto, ci stanno mettendo l'anima».
È anche una battaglia d'immagine, questo è chiaro. La Regione si fa scudo dell'esperienza di Casa Sankara per ribaltare lo scenario che si sta profilando e riportare la «verità» dalla sua parte. I lavoratori puntano il dito anche contro i «sindacalisti o presunti tali» accusati di non essere schierati dalla parte delle istituzioni. Ed è forse la prima volta che accade. «Si prendano la responsabilità di denunciare caporali e sfruttatori - rilevano - chiedendo alle aziende di assumere tramite le liste di prenotazione la manodopera che serve loro, se davvero vogliono combattere il caporalato». Un affondo senza precedenti, alle vigilia di un’altra stagione rovente per le grandi campagne di raccolta nel Foggiano. Una cosa è certa: i ghetti ci rimarranno finché ci saranno i caporali.
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