Cominciamo
a parlarne in maniera che può sembrare provocatoria.
Il
26 novembre nella manifestazione di 200 mila donne un cartello di una
ragazza diceva: "In questo giorno tanti uomini sono
pubblicamente solidali poi arriva domani, chiudono le porte e ti
alzano le mani".
La questione non è uomini sì o uomini no, ma la necessità della lotta autonoma, separata delle donne, una lotta dura, che ponga chiaro la priorità del contro, non pacifica, accogliente. Questa lotta può e deve porre anche tra gli uomini, anche tra i proletari, rotture reali che continuino il "giorno dopo", non adesioni o sostegno, comprensione, o "battiture sul petto" che restano molto ma molto in superficie senza una rivoluzione.
Lenin scriveva: "Pochissimi uomini - anche tra i proletari - si rendono conto della fatica e della pena che potrebbero risparmiare alla donna se dessero una mano al "lavoro della donna". "Gratta un comunista (un compagno, diremmo oggi) e troverai un filisteo! Evidentemente bisogna grattare il punto giusto: la sua concezione della donna...".
La questione non è uomini sì o uomini no, ma la necessità della lotta autonoma, separata delle donne, una lotta dura, che ponga chiaro la priorità del contro, non pacifica, accogliente. Questa lotta può e deve porre anche tra gli uomini, anche tra i proletari, rotture reali che continuino il "giorno dopo", non adesioni o sostegno, comprensione, o "battiture sul petto" che restano molto ma molto in superficie senza una rivoluzione.
Lenin scriveva: "Pochissimi uomini - anche tra i proletari - si rendono conto della fatica e della pena che potrebbero risparmiare alla donna se dessero una mano al "lavoro della donna". "Gratta un comunista (un compagno, diremmo oggi) e troverai un filisteo! Evidentemente bisogna grattare il punto giusto: la sua concezione della donna...".
Nei
cortei dell' 8 marzo, emblematico quello di Taranto, a volte questa
presenza maschile, purtroppo spesso da parte dei ragazzi, è stata
portata - non con la coscienza che le concezioni maschiliste, in
quanto concezioni, agenti e anche in questo periodo aggressive, della
classe dominante, dominano dovunque, in qualsiasi settore sociale in
questo sistema, e che quindi molta strada c'è da fare e non basta
certo sfilare ogni tanto con le donne, ma occorre una rivoluzione che
rovesci terra e cielo - ma con un atteggiamento di
autocompiacimento.
Così
non c'è coscienza critica, autocritica che trasforma, ma in un lungo
processo rivoluzionario; così c'è "tranquillità", non
lotta.
Riportiamo
su questo una parte di un interessante dibattito che c'è stato in
un'assemblea del dicembre 2015 con le compagne di Napoli dell'ex Opg
- Je sò pazzo, durante la marcia delle donne del Movimento
femminista proletario rivoluzionario:
DOMANDA
DELLE COMPAGNE - I compagni uomini come si pongono rispetto alla
vostra militanza? Il percorso è insieme oppure è soltanto una cosa
delle donne, delle compagne o delle operaie delle lavoratrici e cosi
via? Il perchè di questa domanda? Perchè noi questo problema ce lo
poniamo spesso... Questa sera siamo più compagne che compagni e
anche in generale siamo tantissime compagne e meno compagni... Questo
è un discorso che noi cerchiamo di portare avanti in primis con i
nostri compagni, perchè chiaramente i retaggi culturali uno se li
porta anche appresso, perchè purtroppo noi viviamo in questa società
che è fatta cosi..... E deve partire anche da loro stessi il
cambiamento di atteggiamento che hanno nei confronti delle loro
compagne, delle loro mogli e di tutte le donne che vivono nella loro
sfera personale. La mia domanda parte anche da una riflessione
culturale tra virgolette anche più ampia.
RISPOSTA
DEL MFPR - Portiamo alcuni esempi per cominciare: a Melfi sia
la raccolta delle firme è stata fatta da un operaia, Pina, insieme a
alcuni compagni operai, sia oggi dopo l’intervento in fabbrica,
insieme a Pina, abbiamo incontrato anche due operai; due operai cui
alcune operaie scherzando avevano detto "ma tu che sei diventato
donna?!". Questo per dire che questa
battaglia
è pienamente sostenuta dagli operai più coscienti e anche
autocritici, che riconoscono che normalmente in quella fabbrica, ma
non solo in quella fabbrica, le operaie sono in un certo senso
sottovalutate, al massimo rientrano in un punto in una piattaforma
sindacale… Quindi operai che si mettono in discussione su
questa cosa. Un'altra questione.
Questa
marcia è pienamente sostenuta dai nostri compagni e non solo a
parole. Se voi aprite i nostri blog vi trovate oggi gli articoli di
quello che stiamo facendo, e questo non lo fanno altre compagne ma i
compagni maschi. Quando c'è stato lo sciopero delle donne nel 2013,
a Palermo, i lavoratori del cobas dei precari delle cooperative
sociali, che è formato a
maggioranza
di donne, hanno sostenuto praticamente lo sciopero delle donne, nel
senso che hanno aiutato nella preparazione dell'iniziativa. Accanto
alle squadre femminili per gli attacchinaggi delle locandine dello
sciopero ci sono state le squadre solo di compagni che sono andati ad
attaccare le locandine anche in serate diverse da quelle delle
compagne. Poi quando c'è stato il corteo molto partecipato di donne,
il giorno dello sciopero, i lavoratori hanno anch’essi scioperato e
durante il corteo di donne, lavoratrici, studentesse hanno sfilato ai
lati delle strade...
Ma
chiaramente nulla è scontato. Questo è comunque sempre frutto di
una battaglia delle donne, di una lotta in cui scoppiano
contraddizioni tra lavoratori e lavoratrici. Le lavoratrici che hanno
bambini fanno sicuramente uno sforzo maggiore per parteçipare alla
lotta e spesso devono fare anche una lotta a casa per andare ad una
manifestazione, ecc. E’ una lotta che deve portare al fatto che
i lavoratori, i compagni riconoscano, che lo vogliano o no, questa
battaglia che porta elementi di rottura, di necessità di
cambiamenti… Le donne sono la maggioranza delle masse… Chi
non lo riconosce, parla di masse senza capire. Nelle lotte che
facciamo, di lavoratori, precari, disoccupati, ecc, la maggior parte
sono donne. E le donne inevitabilmente portano un elemento di
lotta nella lotta. Per fare un esempio, la compagna di Taranto,
Chiara che è qui con noi oggi, per stare qui ha dovuto fare una
lotta con il marito; lei ha anche un figlio piccolo, fino a ieri
mattina aveva telefonato dicendo di non venire perchè il marito non
voleva tenersi il bambino,
abbiamo
detto che invece doveva per forza venire e lei l'ha posta giustamente
in termini duri di lotta. Questo da un lato mostra la condizione
doppiamente pesante delle donne, soprattutto delle donne lavoratrici,
che si devono smazzare ogni giorno, che spesso si sono dovute
conquistare il lavoro con la lotta; dall'altro però porta una
ricchezza, un in “di più”.
Noi
siamo contrarie al “separatismo” come è posto dal femminismo
piccolo borghese, ma se con questa
critica al
separatismo
si vuole negare la necessità dell'autorganizzazione indipendente
delle donne, allora noi siamo “separatiste”! Perchè se le
donne non si autorganizzano, se non si organizza la ribellione delle
donne contro tutti gli aspetti della condizione di oppressione della
maggioranza delle donne, in realtà le donne non possono diventare
una forza poderosa della rivoluzione per rovesciare questo sistema
capitalista, per fare una rivoluzione nella rivoluzione che trasformi
la terra e il cielo.
Noi
abbiamo organizzato lavoratrici che hanno fatto una lotta nel 2007
che ha bloccato Taranto per settimane e settimane - la gente ci
fermava ogni giorno per chiedere se il ponte fosse bloccato o meno;
era come se le lavoratrici avessero il “potere” in città, era
come una guerra in cui c'era da un lato tutto il potere del Comune,
della polizia e dall'altro il contropotere delle donne. Anche gli
incontri erano fatti con lo spirito di una “guerra”, in cui le
donne ci mettevano tutto il peso della loro condizione, alcune
portavano i figli negli incontri con il Prefetto. La
partecipazione delle donne in una lotta è diversa da quella di un
compagno, di un lavoratore che viene fa la lotta e torna a casa.
Quando viene una donna è come se con lei venisse altra gente; quando
torna a casa una donna che ha diretto un blocco stradale non può
tranquillamente accettare che deve solo lei lavare i piatti, non lo
accetta più e inizia a lottare anche in casa. A Melfi nel 2004 ci
sono stati i 21 giorni di lotta degli operai e operaie in cui la
fabbrica era bloccata, in cui ogni giorno si facevano le assemblee
per decidere cosa fare il giorno dopo, e c'erano le operaie che
dicevano “io fino a oggi
dovevo
lasciare la casa bella pulita, ora me ne frego della casa”; ci sono
state anche delle separazioni in quei giorni di lotta… Le donne
portano la lotta dentro la famiglia. Diceva unacompagna
rivoluzionaria del Nepal: “le donne politicizzano la famiglia” e
i mariti, compagni si devono schierare… Lo stesso deve avvenire in
fabbrica con gli operai: "Ti metti con me a raccogliere le
firme, oppure no?" E li c'è la spaccatura, c'è chi si mette a
raccogliere firme e chi no.
Però
su questo chi può dare il motore? Tutti insieme? Fino ad un certo
punto… Sono le donne che devono dare il motore e quindi gli
altri devono scegliere da che parte stare.
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