mercoledì 19 aprile 2017

Tap e tubo Snam, "le grandi opere strategiche" finanziate dalla UE per rafforzare il regime fascista, terrorista e sanguinario di Erdogan


   
Da L'Espresso

I segreti del Tap: operazione Erdogas

Mentre l'Europa contesta il risultato del referendum in Turchia, l'Espresso svela la rete di società collegate al gasdotto che riconducono alla famiglia del presidente Erdogan. E oltre a questo, le società-cassaforte del dittatore dell’Azerbaijan, i super manager cresciuti alla corte di Putin. Ecco chi farà i soldi

di Paolo Biondani e Leo Sisti

I segreti del Tap: operazione Erdogas
Questa inchiesta giornalistica internazionale è stata realizzata grazie alla collaborazione con colleghi stranieri che a causa della situazione politica in Turchia devono rimanere anonimi per ragioni di sicurezza e incolumità personale.
Al lavoro di analisi di migliaia di atti e documenti societari, durato più di sei mesi, ha partecipato un gruppo di ricercatori dell'organizzazione anti-corruzione Re:Common.

I familiari di Erdogan e gli imprenditori più vicini al presidente turco. Gli uomini d’oro legati al dittatore dell’Azerbaijan. E i super manager dell’energia cresciuti alla corte di Putin. Presentato ai cittadini italiani come un’infrastruttura strategica per liberare l’Europa dalla dipendenza dal gas russo, il Tap rischia invece di passare alla storia come il gasdotto dei tre regimi.

L’Espresso ha scoperto decine di connessioni societarie (aziende con gli stessi amministratori o azionisti) tra le imprese del metano azero, la mega-conduttura contestata in Puglia e le cerchie del potere di Baku e Istanbul. Il Tap è la parte finale, dalla Grecia all’Italia, di un gasdotto di quattromila chilometri che parte dal giacimento di Shah Deniz 2, in Azerbaijan, e attraversa tutta la Turchia. La Commissione europea lo ha approvato nel giugno 2013 come progetto
comunitario, finanziabile con fondi pubblici, anche se appartiene a un consorzio privato di multinazionali riunite nella società Tap Ag, con sede a Baar, nel cantone di Zug, che ha la tassazione più leggera di tutta la Svizzera. Al maxi-gasdotto, che ha un costo preventivato di 45 miliardi, sono interessate molte altre società, soprattutto azere e turche.

L’oleodotto già attivo Baku-Tbilisi-Cheyan (Btc), inaugurato dal 2006, è stato la pietra miliare su cui la Socar, l’azienda di Stato per il gas e il petrolio dell’Azerbaijan, ha iniziato a costruire la propria rete d’interessi in Turchia. Oggi a Istanbul sono registrate almeno 25 società del gruppo Socar che operano nel settore energetico. Alcune sono direttamente interessate alla realizzazione del Tanap, la tratta turca del gasdotto, lunga duemila chilometri. Sul sito del nostro settimanale pubblichiamo un grafico interattivo che evidenzia tutte le connessioni documentabili tra due blocchi di società: da una parte le società energetiche controllate dal regime azero; dall’altra le aziende turche vicine al presidente Recep Tayyip Erdoğan, l’artefice del referendum-plebiscito di domenica 16 aprile, varato per trasformare la democrazia costituzionale in un regime presidenzialista. Tra le più importanti c’è quella che gestisce il Tanap.

Nel blocco delle aziende turche che hanno connessioni con il gruppo Socar, compaiono numerose società della cerchia di Erdogan. Le tracce documentate da questa inchiesta giornalistica portano, in particolare, al cognato del presidente; al genero, che è anche ministro dell’energia; e ad alcuni imprenditori che sostengono apertamente Erdogan e il suo partito Akp. In questo articolo utilizziamo le sigle delle società, di cui il grafico precisa la denominazione completa con tutti gli amministratori e azionisti registrati ufficialmente.
Il dato più evidente è che tra il blocco azero e quello turco emerge una società che fa da ponte. Si chiama Socar Gaz Ticareti, che significa commercio di gas. È stata creata nel 2012 per vendere metano dall’Azerbaijan alla Turchia in base a un accordo tra i due governi. Questa società è come un filo d’Arianna, che permette di esplorare un labirinto di legami personali e rapporti d’affari tra il regime azero e il potere turco. Districato questo filo, diventa più facile scoprire molte altre relazioni d’affari tra Baku e Istanbul.

Tap, mafia e soldi sporchi dietro il gasdotto

Gli azionisti della Socar Gaz Ticareti sono altre due società: Socar Turkey Enerji, con il 70 per cento, e Arkgaz Enerji (già denominata Cig Enerji) con il 30. La prima è stata costituita nel 2006 dalla casa madre azera Socar, che poi ha venduto il 13% delle azioni alla banca d’affari Goldman Sachs. L’ultimo documento registrato a Istanbul, datato 20 agosto 2015, mostra che la proprietà è ancora divisa, appunto, tra Socar (87%) e Goldman Sachs International, che possiede azioni per un valore nominale di 890 milioni di lire turche, su un capitale sociale di 6,8 miliardi. La banca internazionale è stata al centro di molte polemiche per l’assunzione di Manuel Barroso, presidente della commissione europea dal 2004 al 2014, che in questa veste ha firmato anche atti fondamentali per l’intero maxi-gasdotto, che è diviso in tre tratte (Tap-Tanap-Scp).
L’altra società controllante, Arkgaz Enerji, ha avuto come consigliere d’amministrazione Ziya Ilgen, che è il cognato di Erdogan: ha sposato Vesile, la sorella del presidente. Ilgen è una delle persone più vicine a Erdogan: il presidente turco ha dichiarato alla tv Al Jazeera che a dargli l’allarme sul fallito colpo di stato del luglio scorso, consentendogli di salvarsi, fu proprio il cognato. Lo stesso Ilgen è socio d’affari in altre aziende di tre familiari di Erdogan: un fratello e due figli.

Il capitale della Arkgaz, a sua volta, è controllato da due società: Ar Enerji (70%) e Cig Petrol (30%). Rovesciando il discorso, Ar Enerji è la cassaforte che possiede il 70% di Arkgaz, che controlla il 30% di Socar Gas Ticareti. Sempre Ziya Ilgen, il cognato di Erdogan, è stato uno dei maggiori azionisti di questa Ar Enerji. Ilgen controllava il 50 per cento del capitale, che ha venduto nel 2013, in un periodo molto fortunato per le società del gas turco-azere: pochi mesi prima le autorità europee avevano approvato il supergasdotto. La società del cognato è stata al centro di una serie di accuse di corruzione sollevate nel 2015 dal parlamentare turco Aykut Erdogdu, del principale partito d’opposizione: secondo le sue denunce, rimaste ignorate, la Turchia avrebbe subito perdite per miliardi con i contratti sul gas azero.
Entrambe le società che controllano Socar Gaz Ticareti sono collegate anche a Ömer Faruk Kalyoncu, un importante imprenditore turco, proprietario di giornali e televisioni, da sempre sostenitore dichiarato di Erdogan. Il suo gruppo editoriale, Turkuvaz media, ha tra i consiglieri d’amministrazione Serhat Albayrak: il fratello di Berat Albayrak, ministro turco dell’energia e genero di Erdogan.
Alla cerchia di Erdogan si arriva anche tramite un’altra azienda creata in Turchia dal gruppo statale azero, la Socar Turkey Petrol Enerji. Questa società ha tra i suoi azionisti Ömer Gür, che è il figlio di Remzi Gür, un ricco uomo d’affari turco additato dall’opposizione come «il Bancomat di Erdogan». Di certo Gür fa parte della ristretta cerchia di imprenditori che hanno assicurato a Erdogan le chiavi del potere: grandi infrastrutture, fonti di energia, mezzi d’informazione. Remzi ha legami di affinità familiare (acquisiti attraverso matrimoni) con la famiglia Doğan, storici azionisti e consiglieri d’amministrazione del gruppo Star Media.
Questa grande catena di tv e giornali è stata al centro di un’intricata vicenda di scalate e contro-scalate che hanno coinvolto anche un altro imprenditore dichiaratamente vicino a Erdogan: si chiama Fettah Tamince e siede anche nel consiglio di amministrazione della Arkgaz Enerji. Tra il 2013 e il 2014 Tamince ha prima venduto e poi ricomprato il 50 per cento di Star Media dalla società Socar Turkey Media: un’azienda creata dal gruppo statale azero dell’energia proprio per acquisire tv e giornali turchi.
Gli imprenditori vicini a Erdogan controllano anche società che hanno vinto gli appalti per la realizzazione del gasdotto Tanap. Tra i costruttori dei maxi-lotti 3 e 4, in particolare, spicca la Kalyon Insaat, che fa parte del gruppo di Ömer Faruk Kalyoncu.
Questa ubriacante serie di incroci societari ha il sicuro effetto di rendere poco visibili le connessioni tra il business del gas azero, la cerchia di Erdogan e il controllo di stampa e tv. Legami che diventano più chiari analizzando i profili degli interessati.
Ziya Ilgen, il cognato del presidente turco, è un insegnante in pensione che nell’era di Erdogan ha scoperto una vocazione da imprenditore. A Istanbul è considerato un uomo chiave che non si fa mai vedere in pubblico. Il cognato del presidente è in affari, attraverso tre aziende turche, con tre familiari di Erdogan: il fratello Mustafa e i figli Ahmet Burak e Necmeddin Bilal. Le tre società di famiglia si occupano di trasporti marittimi e si chiamano Bmz, Tuzla Tanker e Bumerz. Il cognato, in particolare, è consigliere di amministrazione della Tuzla insieme a Mustafa Erdogan; ed è stato manager della Bumerz insieme al fratello e a un figlio del presidente, Ahmet Burak.
Bmz prende nome dalle iniziali dei tre soci fondatori, tutti familiari di Erdogan: l’altro figlio Bilal, il fratello Mustafa e il cognato Ziya. Vari articoli della stampa internazionale hanno rilanciato il sospetto, alimentato da fonti russe e siriane, che queste società siano state utilizzate addirittura per un contrabbando di petrolio servito a finanziere lo Stato Islamico, ma le accuse, smentite fermamente dalle autorità turche, non hanno mai trovato conferma in nessuna indagine giudiziaria.
Ilgen è stato consigliere d’amministrazione, dal giugno 2013 allo stesso mese del 2014, della Arkgaz Enerji. Il cognato di Erdogan è entrato nel board insieme agli imprenditori amici Cemal Kalyoncu e Fettah Tamince. Ilgen è stato azionista e consigliere d’amministrazione, nel 2013, anche della Ar Enerji, l’altra cassaforte del gas. Nei registri turchi c’è però una strana lacuna. I documenti mostrano che Ilgen ne possedeva il 50 per cento, che ha venduto il primo ottobre 2013 insieme a Cemal Kalyoncu (25%) e Ömer Faruk Kalyoncu (25%): l’intero capitale risulta acquistato dalla Ayyildiz Holding, ora ribattezzata Zirve Holding. Gli atti visibili però non permettono di capire quando il cognato di Erdogan ne era diventato azionista.
Ömer Faruk è il figlio di Hasan Kalyoncu, il patriarca fondatore del gruppo Kalyon: un conglomerato con interessi dai media all’edilizia, dall’energia alle infrastrutture. Nell’era di Erdogan, il gruppo Kalyon si è aggiudicato una lunga serie di maxi-appalti, compresi i progetti più contestati come il terzo aeroporto in cantiere nei boschi a nord di Istanbul, la metropolitana cittadina e il sottopasso all’origine della rivolta giovanile di piazza Taksim.
La famiglia Kalyoncu è dichiaratamente legata al presidente turco. Erdogan è stato testimone di nozze in tre diversi matrimoni: nel 2004, quando era capo del governo, per l’attuale capo-azienda Ömer Faruk; nel 2014 per il cugino Mehmet Kalyoncu; nell’aprile 2015 per la sorella Kübra. Ömer Faruk Kalyoncu è anche l’attuale proprietario e presidente della Zirve Holding, protagonista di una discussa scalata al colosso dei media Turkuvaz. Gli atti documentano che la società Zirve è stata fondata un paio di mesi prima di acquisire, nel dicembre 2013, quella catena di giornali e tv. Secondo le intercettazioni giudiziarie di una maxi-inchiesta anti-corruzione del 2013, la scalata sarebbe stata ordinata da Erdogan in persona, che andava chiedendo a vari imprenditori (ribattezzati dall’opposizione «la squadra dei media») di comprare i mezzi d’informazione troppo liberi. Di certo, dopo il cambio di proprietà, giornali e tv si sono allineati al partito di Erdogan. Quelle intercettazioni, che provocarono le dimissioni di quattro ministri, non hanno portato a nessun processo. Sotto accusa sono finiti invece gli ex titolari delle indagini, sospettati di essere sostenitori del predicatore Fetullah Gülen, ricercato come ipotetico mandante del fallito golpe.
I registri turchi mostrano che oggi proprio Ömer Kalyoncu è proprietario e amministratore della Ar Enerji, che controlla attraverso la Zirve, la stessa società della scalata ai media, ed è anche presidente di Arkgaz Enerji. Il gruppo Kalyon nell’era di Erdogan ha costruito, tra l’altro, il gasdotto della regione di Istanbul, oltre a dighe, acquedotti, autostrade, metropolitane, università e ospedali.
Fettah Tamince è il proprietario della catena Rixos Hotels. In un’intervista del 2004, che in Turchia è rimasta famosa, l’imprenditore dichiarò di essersi «innamorato» di Erdogan durante un viaggio in Azerbaijan e di «sognarlo 3-4 volte alla settimana». La famiglia del presidente ha passato lunghe vacanze estive nei lussuosi hotel Rixos, in particolare nel 2008 e nel 2012. Nel 2013 l’imprenditore ha visto approvare dalle autorità un piano edilizio, molto contestato, per trasformare gli storici cantieri navali Haliç in un maxi-porto per navi da crociera. Criticatissimo anche il suo progetto di costruire un albergo enorme nel sito archeologico greco-romano di Olympos-Phaselis.
Tamince è tuttora consigliere d’amministrazione della Arkgaz, dove era entrato il 14 giugno 2014 insieme al cognato di Erdogan. Inoltre possiede il 99.9% della Ftg Gayrimenkul (sigla che comprende le sue iniziali), che dal 2 aprile 2015 è proprietaria dell’intero capitale della Cig Petrol.
L’albergatore-petroliere ha avuto un ruolo molto strano nei vorticosi passaggi di proprietà del gruppo Star Media: in breve tempo, lo ha comprato e rivenduto per due volte. In particolare, lo ha acquistato nel 2009 dall’imprenditore Ethem Sancak. Nell’aprile 2013 ha rivenduto il 50 per cento al gruppo Socar, diventando così il più importante partner turco dello Stato azero. Nel maggio 2014 ha rivenduto l’altra metà a Ethem Sancak. Ma nel settembre 2014 ha ricomprato il 50% dalla Socar. E nel settembre 2014 l’ha riceduto a Murat Sancak, il nipote di Ethem.
Oltre che di Erdogan, Tamince risulta innamorato delle offshore. L’archivio dei Panama Papers gliene attribuisce almeno quattro, attive tra il 2003 e l’aprile 2013, tutte collocate nel paradiso fiscale delle British Virgin Islands: Althorn International, Hazara Asset Management, Rogor e Sembol Ltd. Lo studio di Ramon Fonseca e Jürgen Mossack (nel frattempo arrestati a Panama) aveva inserito Tamince nella lista dei clienti migliori, che meritano il regalo di Natale. E in passato ha gestito per lui anche operazioni riservate: il 15 febbraio 2006, ad esempio, Tamince vende metà della azioni della Rogor a un’altra offshore che ha tra gli azionisti un certo Chingiz Dosmuhkambetov, nato il 25 agosto 1982 in Kazakistan, indicato da articoli di stampa come figlio di un ministro kazako. Il direttore finanziario della Rixos, tra l’altro, chiedeva a Panama di intestare un conto svizzero alla Althorn.
Remzi Gür è un noto uomo d’affari turco che ha fondato a Londra, negli anni ’70, il gruppo Ramsay, con fabbriche tessili in Turchia e negozi di abbigliamento dagli Stati Uniti a Russia e Cina. Nel maggio 2013 Erdogan è stato testimone alle nozze di Tuğba, la figlia dell’imprenditore. L’opposizione lo ha soprannominato «il bancomat di Erdogan» dal 2009, quando furono intercettate presunte richieste del presidente a Gür di mandare soldi alla propria figlia Sümeyye che studiava negli Usa.
Gür è un altro uomo d’affari della cerchia di Erdogan che ha strettissimi rapporti con gli azeri della Socar. Fin dal 2008 è consigliere d’amministrazione della Enpo Enerji, un’azienda elettrica che nel 2011 è stata tra i soci fondatori (con il 21,5% ) della Socar Turkey Gaz, che vende gas azero. Dal dicembre 2013 ad oggi (come conferma un atto registrato il 10 novembre 2016) Gür è il presidente di Enpo. Gli altri consiglieri d’amministrazione sono Selim Doğan (il figlio di Hasan Doğan) e la figlia di Gür, Yasemin Solmaz. Stranamente i registri pubblici non contengono alcuna informazione sugli azionisti di Enpo. I due figli di Remzi Gür hanno anche una piccola quota, fin dalla fondazione, della Socar Turkey Petrol, che vende petrolio.
Nei Panama Papers ci sono molti documenti su Remzi Gür, che da oltre un decennio è un affezionato cliente di Mossack Fonseca. Excel Energy Trading Ltd è il nome di una cassaforte offshore, creata nel 2010 alle British Virgin Islands, che ha come azionista al 75% Remzi Gür in persona. Il rimanente 25% è nelle mani di Omer Iskefyeli, nato nel 1963 ad Ankara e residente a Londra. In Turchia è noto come dirigente di una compagnia chiamata Petrol Ofisi International Oil Trading Limited (in sigla Point) e fondatore della Lysa Investment. Le due società erano finite sotto accusa a Istanbul per una presunta frode fiscale sulle importazioni di petrolio, realizzata dal 2001 al 2008, ma non c’è ancora alcuna sentenza. La seconda tesoreria estera si chiama Red Castle International Corp ed stata registrata a Panama nel 2004: a rappresentare questa offshore (con mandato) è la figlia dell’imprenditore, Yasemin Solmaz Gür. A questa offshore, nel 2006-2007, era intestato un conto bancario con due milioni e 155 mila dollari.
Il nipote di Remzi, Mehmet Gür, è consigliere d’amministrazione di una società turca, Ortadoğu Proje, insieme a Ziya İlgen, il cognato del presidente: la stessa azienda ha concesso poteri di firma al fratello Mustafa Erdoğan.
Nel 2008 Remzi Gür fu indagato per corruzione di un politico e condannato in primo grado a dieci anni. Ha sempre respinto l’accusa, dichiarando di «odiare la corruzione». Nel 2010 la sentenza è stata ridotta a una multa.
Anche altri familiari di Remzi Gür sono molto potenti. Il cognato (fratello di sua moglie Nevine) è il compianto imprenditore Hasan Doğan, che è stato capo della federazione di calcio turca. Anche suo fratello Hüseyin Doğan e la moglie Fatma Nursel hanno diverse connessioni societarie con aziende del gas e del petrolio targate Socar. Hüseyin è morto nel 2016 e il presidente ha presenziato al funerale.
Un altro imprenditore vicinissimo al governo turco è Ethem Sancak, che partendo da una piccola azienda medica ha creato un conglomerato che controlla tra l’altro una catena di ospedali e un colosso dei farmaci venduto nel 2013 al gruppo inglese Alliance Boots di Stefano Pessina e Ornella Barra. Sancak è un aperto sostenitore del presidente Erdogan. Ha anche assunto dal 2012 la carica di difensore civico (ombudsman) nel partito Akp. Nel 2013 ha acquistato i giornali Güneş e Akşam, la televisione Sky360, due radio e vari periodici dal fondo pubblico che gestiva il fallimento del gruppo Çukurova. Nel 2014 è stato l’acquirente finale di Star Media, la società al centro dei passaggi e contropassaggi tra Tamince e gli azeri della Socar. Nel 2014 Sancak ha acquisito, con un’asta pubblica in cui era l’unico partecipante, anche l’industria di armi Bmc, che produce carri armati per l’esercito e cannoni ad acqua usati dalle forze di polizia per disperdere i manifestanti.
Anche il ministro turco dell’Energia, Berat Albayrak, è della famiglia di Erdoğan: è sposato dal 2014 con sua figlia Esra. Dal 2007 al 2013 è stato l’amministratore del colosso dell’energia Çalik Holding, più volte accusato dall’opposizione di aver sfruttato quell’aggancio per acquistare aziende elettriche privatizzate, catene televisive fallite e maxi-appalti in Turchia e Iraq. Come ministro, è lui a nominare i vertici delle società pubbliche dell’energia, in particolare la Botas, l’azienda statale per il gas e petrolio, direttamente coinvolta nel gasdotto Tanap. Anche suo fratello, Serhat Albayrak, è stato consigliere di Çalık holding ed è tuttora al vertice di Turkuvaz media.
In Azerbaijan il blocco degli interessi sul gas è ancora più intrecciato al regime. Il presidente Ilham Aliyev, al potere dal 2003, è succeduto al padre Heydar, governatore dell’ex repubblica sovietica fin dal 1969: questa piccola nazione ricchissima di gas e petrolio è quindi governata da mezzo secolo dalla stessa famiglia. Il regime azero è considerato dalle organizzazioni internazionali tra i più corrotti del mondo. I Panama Papers hanno dimostrato che la giornalista azera Khadija Ismayilova (a lungo imprigionata) aveva ragione nell’indicare i familiari del presidente-dittatore come i veri titolari delle casseforti offshore che si sono impadronite di enormi risorse pubbliche e miniere di preziosi. I suoi articoli spiegano che tre famiglie, Aliyev, Mammadov e Heydarov, controllano tutte le ricchezze del paese. Il Washington Post ha rivelato nel 2010 che i tre figli del presidente, ancora adolescenti, erano già intestatari, attraverso società offshore, di immobili all’estero per almeno 120 milioni di dollari.
Nel 2012 e 2013, pochi mesi prima del via libera di Bruxelles al maxigasdotto Tap-Tanap-Scp, i lobbysti del regime hanno finanziato decine di parlamentari europei e americani, tra cui l’italiano Luca Volontè, che ha confermato ai giornalisti di Report che le sue fondazioni di famiglia hanno ricevuto donazioni azere, a suo dire lecite: la procura di Milano le quantifica in due milioni e 390 mila euro.
Il gruppo statale Socar vende gas e petrolio attraverso un’architettura societaria enigmatica. La cassaforte del sistema è una società svizzera creata nel 2007, dopo l’apertura dell’oleodotto Btc: si chiama Socar Trading e incassa più di 30 miliardi all’anno. Eppure nel primo quinquennio il regime azero si è accontentato di possederne il 50 per cento. L’altra metà del capitale, come ha denunciato per prima l’organizzazione Global Witness, faceva capo a due privati: un giovane imprenditore azero, Anar Aliyev, e un ex manager russo della Lukoil, Valery Golovushkin. Il primo è entrato nella Socar svizzera versando 5 milioni di dollari, il secondo 1,25. Nell’agosto 2012 la Socar ha comprato le loro quote pagando 103 milioni all’azero e altri 30 al russo.
Dopo queste rivelazioni, Anas Aliyev ha rotto il silenzio spiegando a un giornale azero di essere «solo un uomo d’affari che fa il suo lavoro» e di aver cambiato cognome, diventando Alizade, proprio per dimostrare di non essere parente del presidente. Fatto sta che in pochi anni l’imprenditore azero, che prima non si era mai occupato di energia, ha stretto ben 48 accordi privilegiati con la Socar, tra società miste e compartecipazioni ai giacimenti di gas e petrolio. Da questi contratti Anar Alizade-Aliyev ha incassato, solo tra il 2005 e il 2012, profitti per almeno 375 milioni di dollari.
L’imprenditore è nato nella regione azera di Nakhchivan, che è il feudo della famiglia del presidente. La sua vicinanza al regime è stata ostentata con il suo ingresso nella mega-speculazione edilizia “Baku White City”, il progetto simbolo dei Giochi europei del 2015. Inseguito dai sospetti di essere un prestanome di lusso, l’uomo d’affari ha collocato i vertici del suo impero in paradisi societari tuttora inaccessibili. Ad esempio la sua Union Grand Energy, registrata a Singapore, è controllata da una offshore degli Emirati Arabi, denominata Horizon Investment, che è totalmente anonima: gli azionisti non sono registrati.
Sempre negli Emirati ha sede la Heritage General Trading, la tesoreria offshore che gli permetteva di controllare il 40 per cento della Socar svizzera attraverso un’omonima holding maltese. Questa società del tesoro azero aveva tre proprietari: la casa madre Socar con il 50 per cento, il russo Golovushkin con il 25 (attraverso la Renfrel Holding della British Virgin Islands), l'azero Alizade/Aliyev con il restante 25 (attraverso la misteriosa Heritage degli Emirati).
Nel settembre 2010 però la offshore del manager russo scende al 10 per cento, mentre sale al 40 quella intestata all’azero, che intanto presta 20 milioni di dollari senza garanzie alla Socar svizzera. Che nel 2011 glieli restituisce con gli interessi. E nel 2012 compra entrambe le quote private. A quel punto Anar esce dalla società svizzera, mentre Golovushkin resta amministratore delegato sino alla fine del 2013 e poi consigliere.
Arzu Azimov, top manager della capogruppo azera (dove lavora dal 1994), ha dichiarato a un giornale governativo che i due soci privati, Golovushkin e Alizade/Aliyev, entrarono nella Socar Trading «perché furono in grado, con la loro reputazione ed esperienza, di procurare finanziamenti bancari nonostante la crisi, oltre a fornire i primi capitali».
L’alleanza con anonimi soci privati si ripete in molte altre aziende del gruppo statale azero. La società maltese Socar Oil & Gas International Holding, per esempio, è controllata dalla casa madre e da una misteriosa Sact Ltd, di cui si conosce solo un indirizzo di Hong Kong, dove è registrata dal 19 gennaio 2015.
Le carte di Panama rivelano, inoltre, che l’ex vicepresidente della Lukoil, Valery Golovuskhin, ha continuato a lavorare in Svizzera, in una società satellite del colosso russo dell'energia, fino all’ingresso nella Socar. Difficile, a questo punto, pensare che sia solo una coincidenza lo sbarco della Lukoil, con il 10 per cento, nel consorzio guidato da Socar e Bp per sfruttare il giacimento di Shah Deniz 2, che punta a vendere in Europa, dal 2020, circa 10 miliardi di metri cubi all’anno di gas azero proprio tramite il Tap-Tanap-Scp, che ne può trasportare fino al doppio.
Il maxi-progetto, approvato dalla Commissione europea presieduta da Barroso con l’obiettivo dichiarato di trovare un’alternativa al gas russo della Gazprom, ora rischia di avere un paradossale sviluppo geo-politico. Nel dicembre 2016, dopo la fine delle ostilità fra turchi e russi in Siria, la Gazprom ha siglato un accordo a Istanbul per un nuovo gasdotto sottomarino, il Turkish Stream, con approdo previsto a Ipsala: la stessa città di confine tra Grecia e Turchia che è il punto d’incontro fra Tanap e Tap. L’intesa è stata firmata dal ministro turco Albayrak alla presenza del suocero Erdogan e del presidente russo Vladimir Putin, che ha garantito «sconti alla Turchia sul prezzo del gas». Ora la Gazprom pianifica di allacciarsi proprio al gasdotto per l’Italia, che guarda caso ha una capacità inutilizzata di altri dieci miliardi di metri cubi. Il risultato sembra quasi una beffa di Putin, Erdogan e Aliyev: più gas per tutti aggirando l’Ucraina, nemica di Mosca e amica dell’Europa.
Il vero problema del supergasdotto, a questo punto, non sono i governi o le proteste dei cittadini, ma i soldi. Nel business del gas azero la multinazionale più interessata è la Bp, che esce da un periodo difficile: nell'aprile 2016 ha accettato di pagare un risarcimento record di 20 miliardi di dollari agli Stati Uniti per il disastro della piattaforma petrolifera che ha inquinato il Golfo del Messico.
Per il consorzio Tap Ag l'ultimo bilancio pubblicato, che risale al 2015, mostra che la società svizzera è pesantemente indebitata, al punto che i revisori dei conti mettono in dubbio la sua sopravvivenza se non arriveranno finanziamenti miliardari. «Crediamo che non si debbano usare fondi pubblici per un progetto che rischia di diventare un buco nero», dichiara la ricercatrice Elena Gerebizza di Re:Common, l'organizzazione internazionale che ha trovato le prove dei finanziamenti a fondo perduto concessi dalla Commissione europea alla società-madre del Tap (una vicenda rilevata da l'Espresso nel primo articolo di due settimane fa).
I ricercatori di Re:Common precisano che anche la società turca del Tanap ha incassato oltre dieci milioni a fondo perduto dalla Commissione europea. E, soprattutto, che il tratto turco dal gasdotto ha beneficiato di prestiti agevolati per 800 milioni di dollari dalla Banca Mondiale, divisi a metà tra turchi e azeri (e altri 600 milioni dalla Banca d'investimento asiatica). Mentre la compagnia russa Lukoil, nel 2015, ha ricevuto un prestito di 450 milioni di dollari dalla Banca europea per ricostruzione e lo sviluppo (Bers) e altri 250 dalla Banca asiatica di sviluppo, finalizzati a sviluppare proprio il giacimento azero di Shah Deniz 2.
Anche per le multinazionali che controllano il Tap, tra cui spiccano il gruppo Bp e l'azera Socar attraverso la consociata svizzera Az-Tap, il supergasdotto diventerà una colossale operazione finanziaria: i soldi ce li mettono le banche, che verrannno ripagate con le future vendite di metano, cioè in definitiva con le bollette pagate dai consumatori. Dopo turchi e russi, infatti, anche il consorzio privato Tap Ag ha chiesto un finanziamento di due miliardi alla Banca europea degli investimenti (Bei): sarebbe il prestito più grande mai concesso da questo speciale istituto di credito di carattere pubblico, che fa capo alle istituzioni europee. Ed è controllato, come la Bers e la Banca Mondiale, da rappresentanti degli Stati aderenti, Italia compresa.

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