sabato 24 dicembre 2022

Solidarieta' alla "Casa occupata"

Lo Slai cobas per il sindacato di classe Taranto esprime la massima solidarietà agli occupanti e partecipa a tutte le iniziative di resistenza a questa decisione del Comune – così come alla lotta a ogni provvedimento repressivo per l’attività svolta dagli occupanti nell’uso dello spazio e nel territorio.


Riportiamo un'intervista Da Corriere di Taranto sullo stato della vicenda
di GIULIA LUPOLI

Il 24 agosto 2013 è nato il collettivo autogestito “Casa occupata” di via Garibaldi 210 di Taranto. Antonio – abitante dello spazio in questione – ci ha raccontato che il collettivo, di cui fa parte, ha ricevuto una notifica in data 29 novembre 2022. Ad inviarla è stato l’ufficio “patrimonio e demanio – politiche abitative” del comune ionico per comunicare di lasciare, entro 10 giorni, l’edificio.

«La struttura che noi abbiamo occupato – prosegue Antonio – era abbandonata da oltre 10 anni nonostante fosse stata ristrutturata con fondi pubblici attraverso il programma “Urban 2”». Un comunicato del collettivo ha chiarito proprio questo punto. Nel volantino hanno sottolineato di aver sottratto la costruzione, oltre che all’abbandono, al degrado, alla criminalità organizzata e alla speculazione edilizia. Si legge testualmente: “Chi ha memoria saprà di certo che lo stabile di via Garibaldi 210 era stato ristrutturato per speculare sui fondi Urban 2, per farne un ostello, nell’epoca della sindaca Di Bello, per poi non venir mai messo in uso ma abbandonato all’incuria”.
L’ostello fu realizzato ed arredato ma, ha aggiunto Antonio «rimase completamente abbandonato sino a subire un deturpamento dal punto di vista della sottrazione di tutti i beni che erano all’interno. Ricordiamo che Taranto, se pur industriale, è una città con un tasso alto di disoccupazione e quindi la fame è tanta. Ciò comporta il diffondersi di pratiche illegali. In questo contesto era chiuso persino l’oratorio della chiesa San Giuseppe». La chiesa sorge a pochi metri rispetto allo spazio autogestito.

«L’occupazione abitativa, oltre a dare un tetto a chi ne aveva necessità – le parole dell’intervistato -, ha permesso di aprire gli spazi sottostanti la casa rianimando la vita sociale e culturale del territorio. Abbiamo messo in piedi progetti come la scuola, la squadra di calcio popolare per i ragazzini del quartiere, campus estivi e laboratori. Attività che l’arrivo della pandemia ha messo in crisi ma non ci ha fermati, ci siamo solo ridimensionati e ora abbiamo ripreso con il doposcuola».

Come avete coinvolto i cittadini e le cittadine nelle vostre iniziative?

«Abbiamo sempre indicato delle strade che passassero attraverso la partecipazione diretta degli abitanti quindi abbiamo proposto l’auto recupero degli strumenti per poter “legalizzare” quest’esperienza. Richiesta, ad oggi, inascoltata».

Siete qui dal 2013 quindi anche l’amministrazione Stefàno non accoglieva le vostre proposte?

«Con la giunta Stefàno non abbiamo mai avuto un contatto. Dal punto di vista pubblico e politico già rivendicavamo, praticamente, questo spazio».

Con la giunta Melucci invece c’è stato un dialogo?
«Con la prima sì! Parlammo con un assessore rispetto al trovare una strada che più o meno avevamo individuato. Con la caduta della giunta non se n’è fatto nulla. Noi però abbiamo sempre pensato che l’auto recupero poteva essere uno strumento più generalizzato sul territorio della città vecchia per riqualificarla. Invece, secondo noi, per la riqualificazione che sta avvenendo non sono state ascoltate le persone che vivono il territorio. Dal punto di vista urbanistico non si sta puntando al mantenimento della struttura originaria della città vecchia e alle sue tradizioni. Siamo una città di mare quindi bisognerebbe stimolare anche un processo legato al territorio che ruoti intorno a quest’elemento».

Avete avuto un dialogo con un assessore della precedente giunta e dato che l’attuale è sempre amministrata dal sindaco Rinaldo Melucci, non avete ripreso le fila di quel discorso lasciato in sospeso?
«Qui si sono presentati solo i vigili urbani per identificare, per l’ennesima volta, chi abita in questo luogo».

In quale altra occasione siete stati/e indentificate?

«Abbiamo subito un processo penale per occupazione. Assolti, con sentenza definitiva, il 4 novembre del 2021. Ci sembra strano che oggi ci ripropongono una denuncia per occupazione aggiungendo però l’accusa di “deturpamento e imbrattamento”, forse per mettere un po’ di pepe alla vicenda. Il 28 settembre 2022 la polizia è venuta qui per fare questa provocazione anche se dicono che è stato il Prefetto di Taranto a mandarli e che il comune non ne era a conoscenza».

Dopo questa identificazione, il collettivo non si è mobilitato per provare a ritornare sulla strada intrapresa con l’assessore della precedente giunta?
«Per due mesi abbiamo sollecitato ad incontrarci ma lo scorso novembre c’è arrivata questa carta, da parte dell’ufficio patrimoni e politiche abitative, a firma del Dirigente e Comandante dei Vigili Urbani: il signor Matichecchia. Avevamo 10 giorni per lasciare lo stabile ma sono già scaduti».

Oltre a notificarvi quest’atto, avete avuto delle risposte ai vostri solleciti?

«Noi pensiamo che questa sia la risposta che hanno voluto farci arrivare. Ovviamente ci fa ridere come la politica deleghi agli uffici tecnici la vita stessa di questo luogo e come concepisca la relazione tra un bene collettivo/pubblico e i suoi cittadini. Possiamo anche non essere d’accordo su come il comune intenda la riqualificazione ma siamo d’accordo su una cosa: nessuno vuole continuare a vivere in una condizione di degrado sociale, urbanistico e ambientale. I cittadini dovrebbero avere voce in capitolo, in particolar modo chi vive il territorio e agisce socialmente. Non è possibile che si pensa ad aggiustare dei palazzi e non si prevede la nascita di ambulatori popolari, l’apertura di luoghi e spazi d’aggregazione giovanile. Qui i giovani non fanno niente, quello che hanno sotto agli occhi è sostanzialmente lo spaccio di cocaina ed eroina. Bisogna riconoscere che la casa e la riapertura dell’oratorio, attraverso il progetto di calcio popolare, hanno dato un piccolo spiraglio ai giovani del territorio. Per noi la priorità è ripristinare un senso di comunità».

Le istituzioni vi hanno mai sollevato critiche prettamente tecniche legate quindi all’agibilità dell’abitazione?
«Chiaramente ci viene contestato il fatto che questa è un’occupazione abusiva e rispetto al codice penale è un’illegalità. Noi però siamo stati assolti da quest’accusa quindi non capiamo perché ci ritornano. Dopo di che noi pensiamo che la politica debba fare un salto in avanti. Se si parla di riqualificazione, bene, questo luogo appartiene al territorio. Le istituzioni ne devono garantire la sopravvivenza dandogli una forma di legalità e determineremo insieme le condizioni».

Sareste disponibili a collaborare?
«Siamo disponibili ad aprire un tavolo politico dove, insieme, si determinano gli strumenti, i modi e le forme per dare continuità a questo spazio che deve conservare il processo di autonomia che quest’esperienza ha. Ribadiamo un concetto: noi siamo disponibili alla trattativa politica ma nello stesso tempo, nel momento in cui questo luogo verrà attaccato attraverso l’uso della forza, lo difenderemo il giorno in cui ci verranno a cacciare, quello dopo e quello dopo ancora.
Sottolineiamo un concetto: noi siamo una punta del problema. Ci sembra paradossale che in una città in cui manca lavoro, ci sono problemi di devastazione ambientale, mancano strutture sanitarie idonee ad affrontare le nostre problematiche, il problema di Taranto diventa la casa occupata e tutto ciò che rappresenta. Forse i signori, attraverso problemi di ordine pubblico, vogliono nascondere tutti i magheggi che stanno facendo dal momento in cui sta avvenendo una speculazione edilizia impressionante. Basta farsi un giro per vedere le numerose gru già sistemate quindi i soldi in città sono arrivati e sono tanti. In questa trasformazione noi diciamo che un pezzo deve rimanere al popolo affinché si possa autodeterminare culturalmente non dando solo risposte verso l’alto. Se guardiamo il contesto nazionale, oltre alla guerra, c’è un attacco al reddito di cittadinanza, alle pensioni e a tutti i bisogni quotidiani della gente. Ci chiediamo se chi è nelle istituzioni si senta onnipotente credendo di fare i porci e comodi propri».

Il vostro è un appello alla popolazione?

«Sì ma non chiediamo di difendere noi ma la possibilità che i cittadini e le cittadine possano, liberamente, organizzarsi per rivendicare i loro diritti e i loro bisogni. Nel momento in cui non verranno ascoltati dalle istituzioni e la politica e la legge non daranno sostegno al popolo rispetto a queste richieste, l’unica strada sarà quella di ribellarsi come 70 anni fa si è fatto per liberare il paese dal fascismo».

In una nota inviata alla stampa si legge che la vostra non è e non sarà una lotta di resistenza allo sgombero. Il vostro è uno scontro diretto tra due modi diversi di concepite la società. È quella che chiamate lotta di classe tra gli oppressi e gli oppressori. Rimarcate il concetto che la lotta deve essere vista in questa maniera altrimenti la gente continuerà solo a sopravvivere.
Sono questi i motivi per cui avete indetto un corteo?

«Sì! Lunedì siamo stati in consiglio comunale. Anche se non si può parlare ci siamo presi un minuto per esprimere che siamo disposti ad una trattativa politica e ci hanno ascoltati. Vedremo cosa si muoverà nei palazzi ma noi non aspettiamo perché la vita di questo luogo non passa dalle istituzioni ma da noi e dalla solidarietà che la popolazione ci può dare. Per queste ragioni abbiamo lanciato una manifestazione il 23 dicembre, alle ore 18:00, in Piazza della Vittoria. La faremo nel pieno dello shopping natalizio proprio perché vogliamo rompere questa quiete e questa pace sociale come se tutto vada bene e niente stia accadendo. Possono toglierci la casa ma la gente non avrà il reddito di cittadinanza, il lavoro, la sanità gratuita. Non cambieranno quindi le condizioni di vita delle persone e scendiamo in piazza per collegare tutte queste problematiche»

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