La prima cosa che bisogna comprendere, ed è importante per la linea che bisogna avere nei confronti dell'Ilva, è che questa questione, questo stabilimento, la vicenda che sta andando avanti, non è un fatto di Taranto, è un fatto nazionale sia dal fronte dei padroni, del governo, sia dal fronte di cosa succede per gli operai e di come è necessario rispondere.
Ma addirittura la questione Ilva è su un piano internazionale, mondiale. E’ parte di quella guerra commerciale sull'acciaio che si sta svolgendo a colpi non certo leggeri.
L'inevitabile internalizzazione dei mercati a cui tutti i capitalisti, tutte le grandi fabbriche sono necessariamente soggetti perché devono vendere anche o soprattutto sui mercati esteri, sta vivendo una nuova e più profonda crisi di sovrapproduzione di acciaio a causa della concorrenza spietata nelle esportazioni, in cui chiaramente si avvantaggiano i paesi che fanno una produzione a costi più bassi, più competitivi aumentando lo sfruttamento e tagliando i costi sulla sicurezza, i costi ambientali, fino anche per la qualità del prodotto.
Questa situazione produce una guerra commerciale i cui effetti vengono immediatamente scaricati sugli operai con i licenziamenti per salvaguardare comunque in questa guerra i propri profitti. Pensate che l'anno scorso le acciaierie dei 27 paesi dell'Unione Europea hanno tagliato complessivamente 18 mila posti di lavoro e siamo ancora all'inizio, nei primi sei mesi del 2025 la Germania che è il primo produttore europeo ha registrato un declino della produzione di 17 milioni di tonnellate.
Questo fa capire che quello che noi viviamo a Taranto, all’ex Ilva anche sul discorso del calo della produzione non è un discorso puramente locale, tutti stanno avendo questo calo della produzione a
fronte della concorrenza - ma chiaramente non solo, anche a fronte, vediamo qui a Taranto, delle gravi inadempienze su sicurezza impianti, salute/ambiente, per cui vi è stato l’intervento della magistratura.Ora ci sono anche i dazi degli USA di Trump che però non solo danneggiano i paesi colpiti dai dazi, tra cui l'Italia, ma le loro conseguenze ritornano anche negli stessi Stati Uniti, perché i dazi di Trump non solo minacciano di ridurre significativamente la quantità di acciaio che l'Europa può vendere negli Stati Uniti ma questo spinge poi altri produttori a esportare di più verso l'Europa; e quindi l’Italia da un lato deve esportare meno acciaio, dall'altro si vede entrare più acciaio. Chiaramente i governi di ogni paese che sono per difendere i profitti delle proprie multinazionali possono fino a un certo punto contrastare tutto questo, perché anche loro devono sottostare alle cosiddette regole che si sono date nell'UE.
L'altra questione, di cui anche in questi giorni molti parlano, è la cosiddetta “economia green”, che permetterebbe un acciaio più pulito, più concorrenziale.
Ma si tratta in generale di illusioni e in un certo senso anche di fesserie. Faccio un esempio, se su cinque siderurgie, tre o quattro fanno l'economia green non è che la quinta può pensare di non adeguarsi, e quindi torniamo lo stesso a una situazione di concorrenza.
Chiaramente una spinta a reagire a questa “globalizzazione”, ma che succede? C'è una sorta di moderno nazionalismo, protezionismo. Quindi chi ha operato per una strada opera ora per la strada opposta.
Ma in un certo senso il sistema imperialista dà uno sbocco a questa crisi dell’acciaio, e qual è lo sbocco? Lo sbocco più significativo è la guerra.
Cioè la guerra permette sia nel corso della guerra la produzione degli armamenti - tutti abbiamo sentito dell'aumento degli armamenti chiesto l'America e accettato dall'Europa e l'Italia è stata la prima a dire di sì - e l'acciaio serve per gli armamenti e quindi per i padroni - non è che loro vogliono le guerre o vogliono il fascismo, vogliono difendere il loro profitto, allora se per difendere questi profitti bisogna produrre armi, si producono armi. Quindi, non è solo un problema della Leonardo, della Fincantieri, quelle che da sempre producono armamenti, ma a questo punto diventa un problema di tutte le fabbriche che più o meno possono produrre gli armamenti o loro componenti, in primis proprio le fabbriche siderurgiche. E’ come se per salvarsi dalla crisi tutti aspettano le “sante guerre” che gli permettano un'effettiva ripresa sia subito con gli armamenti sia dopo con le ricostruzioni. Quindi di fatto la ripresa dei padroni, chiaramente temporanea in attesa di un'altra forte crisi, vuol dire ripresa dei profitti per loro, ma distruzione, morte per i popoli i proletari ed economia di guerra nei paesi imperialisti, taglio dei costi improduttivi in primis l'ambiente, i costi per la salute, per la sicurezza e in fabbrica più sfruttamento e licenziamento per gli operai.
Questo mostra che tutti coloro, e noi li stiamo sentendo e leggendo in questi giorni, che vogliono trovare le soluzioni per salvare questo sistema, per renderlo compatibile con la vita di milioni e milioni di persone, fanno un “buco nell'acqua”, perché più va avanti la crisi più ogni produzione è nociva; e nessuno può pensare che l'Ilva sia nociva solo ora perché lo sarà altrettanto se a un certo punto effettivamente chiudessero l'Ilva e quindi dovessero fare le bonifiche. Bagnoli non è un'opinione, non è una propaganda, è un fatto, sono più di 35 anni che la fabbrica è chiusa però le bonifiche non vengono fatte e comunque anche le bonifiche per chi le fa devono garantire profitto, devono garantire taglio dei costi e quindi la logica è la stessa. C'è un film Toxic Town che mostra che cosa succede quando una fabbrica viene chiusa, smantellata totalmente; in tutta la zona addirittura l'inquinamento diventa peggiore di quando c'era la fabbrica era in produzione, perché le ditte che hanno l'appalto delle bonifiche per tagliare costi ecc. - per esempio nel filmato si vedono i camion che dovrebbero raccogliere tutta la melma la fanno raccogliere dai lavoratori quasi con le mani, la trasportano lasciando sul terreno quella terra inquinata, inquinano i fiumi, ecc.
Quindi il problema è che non c'è un modo di salvare, di trovare le soluzioni per questo sistema nocivo del capitale. Non sono tra l'altro gli operai né la popolazione che devono trovare le “soluzioni”, le popolazioni si devono difendere strenuamente, rigidamente, gli operai devono dare battaglia anche sul terreno della salute e della sicurezza.
L’abbiamo sentite a Taranto una gara di “soluzioni”, che però tutte hanno al centro la chiusura della fabbrica. Per esempio sul gas. Per avere i forni elettrici il governo vuole impiantare gli impianti Dri che devono essere alimentati dal gas, quindi ci vuole la nave rigassificatrice, ecc.; bene, ci sono ambientalisti che hanno detto: non a Taranto siccome c'è un'ipotesi di metterli a Gioia Tauro in Calabria, a Gioia Tauro sì. Noi che abbiamo già pagato no, a Gioia Tauro sì. Qui stiamo parlando di unità dell'operai in tutto il mondo e invece tra Taranto e Gioia Tauro si propone una divisione tra lavoratori e popolazione di Taranto e di Gioia Tauro.
Invece proprio dalla situazione internazionale, dai passi di guerra che fanno i padroni di difesa protezionista ma impotente della propria situazione, emerge che i proletari, gli operai non hanno altra “soluzione” che unirsi per lottare contro chi produce solo sfruttamento, attacco alla salute, ecc; unirsi sia a partire dalla propria realtà sia in termini più generali.
Per tornare a noi. C'è stata l'intesa firmata di fatto da tutti anche dal sindaco di Taranto, che aveva prima aveva detto mi dimetto poi ritiro le dimissioni, poi non vado a Roma e non firmo niente, poi invece ha firmato come tutti gli altri.
Questa intesa volutamente dice poco o niente, è volutamente reticente perché deve portare avanti i piani più convenienti ai padroni e meno costosi per il governo. Della serie: ti faccio firmare le cose a pezzi. L’intesa parla solo dei tre forni elettrici a Taranto però non dice niente sull'impianto di Dri, non dice niente sulla nave di rigassificatrice, ecc; quindi siamo ancora a una firma a scatola chiusa.
Ciò che invece è certo è un aumento delle già migliaia di ore di casa integrazione, la cui trattativa coi sindacati è stata rinviata nuovamente, al 10 settembre. In questa situazione di incertezza anche le ditte dell'appalto dicono di non poter garantire niente, non posso mettere soldi né per i salari né per fare manutenzione, perché non sappiamo quello che succede.
Chi la prende a quel posto sono sempre gli operai e la cittadinanza. In questa situazione le aziende hanno la buona giustificazione di non fare nulla, neanche la manutenzione ordinaria, e tanto meno quella straordinaria, né cominciare comunque a fare bonifiche in fabbrica, nell'area industriale, al di là se poi l’Ilva se la prendono gli azeri, gli indiani, gli americani, ecc. In ogni caso tu dovresti fare queste attività.
I possibili compratori da parte loro pretendono che il governo gli regali una fabbrica abbastanza ristrutturata, e insieme liberata da 4 mila e più operai per non parlare poi delle ricadute sugli operai dell’appalto, per non parlare dei 1600 ancora in cassa integrazione permanente dalla fine del 2018. Ma sui nuovi padroni siamo ad un gioco dell'oca, prima sembrava quasi certa l'azienda azera, ora c'è una nuova gara, e il 15 settembre dovrebbero esserci le nuove offerte e poi ci sono tutti gli altri tempi.
Questo vuol dire che tutta la situazione pesante di cassa integrazione, di un lavoro che ora c'è ora non c’è, la questione di non voler spendere soldi per la sicurezza, andrà avanti.
Servono le lotte. Non è un piccio di chi come noi, come altri, crede che le lotte sono importanti, le sole che possono portare a risultati, ma è una necessità,una constatazione.
In questo periodo è necessaria una difesa rigida di fronte a tutta una situazione che va sempre in peggio, sempre più incerta, ma anche per non trovarsi come bambini indifesi di fronte ai nuovi padroni che chiaramente vogliono l’Ilva per pochi soldi, addirittura quella americana voleva dare un euro e poi dice: se faccio soldi allora pago a rate, e questo tra l'altro è un fondo americano.
Noi abbiamo posto da tempo la necessità di una piattaforma operaia che sia unita a una piattaforma ambientalista appunto perché non si può ancora rimandare questioni di ambientalizzazione che invece sono urgenti e che sono indipendenti dall’esito della vendita dell’ex Ilva; poi stiamo portando il problema che se c'è la casa integrazione questa deve essere integrata come soldi al 100% e deve riguardare tutti gli operai sia diretti che dell'appalto, perché in Cig si perdono parecchi soldi; poi il rifiuto degli esuberi non solo per una questione di difesa del lavoro ma per una questione necessaria: tanti operai sono assolutamente necessari se vengono messi a lavorare per le bonifiche interne, dell'area industriale – e non lavorare divisi in tante dittarelle ma tutti uniti, un'unica classe operaia, un'unica forza che è di un unico padrone, perché divisi e dispersi fa perdere ogni forza agli operai e lavorano in condizioni peggiori; ancora, noi non siamo contrari a una finestra di prepensionamento. “25 anni bastano” perché il lavoro in siderurgia è pesante; per l'appalto, che è diviso in tante ditte e diviso nei contratti, nelle condizioni di lavoro, si deve e si può imporre il contratto unico metalmeccanico e che non ci siano contratti a termine ma che tutti gli operai siano a tempo indeterminato, creando le condizioni per l'unità degli operai.
Sul discorso decarbonizzazione, noi abbiamo detto, anche su alcune assemblee degli ambientalisti, facciamo una piattaforma ambientalista. Perché dire chiusura dell'IVA al massimo ti mette la coscienza a posto ma non risolve assolutamente niente; perché, per esempio, si vuole fare di Taranto una città turistica, ma le mega navi turistiche che arrivano a Taranto non inquinano i mari? Su queste proposte di economia alternativa vengono fuori le origini di classe; la piccola e media borghesia mira a soluzioni per sé.
Noi stiamo dicendo altro. Per esempio, il dottor Giua, che stava prima nell'ASL Taranto poi alcuni anni fa ha dato un apporto sulla questione amianto, ha fatto una conferenza stampa giorni fa in cui ha portato una serie di fatti concreti di denuncia e una serie di proposte. Noi facciamo nostre tutte quelle proposte, quelle denunce che effettivamente individuano i problemi - e non quelle grottesche per cui gli operai in esubero possono andare a fare i badanti degli anziani con demenza senile.
Alcune proposte fatte devono essere sostenute e gli operai le devono sostenere e noi lo faremo. Per esempio, al posto del gas sarebbe possibile utilizzare l'idrogeno verde alimentato da energie alternative, chiaro ci vogliono un casino di soldi, ma qui: quando il governo deve cacciare soldi per le armi non c'è limite, quando invece deve cacciare soldi per la salute allora non possiamo… Sempre Giua sulla questione degli impianti Dri diceva: questi riducono le emissioni del CO2 non le eliminano, quindi se proprio si devono fare è bene che vengano fatti molto lontani non nella stessa area Ilva che è vicino Taranto.
Ok ragioniamo su questo, noi ci siamo. Quello su cui non ci siamo è quando si dice: chiudere l'Ilva, smantellare tutto. E qui gli operai sembrano fantasmi, sono invisibili. Ma questo è darsi una pietra sui piedi perché o si capisce che centrale sono gli operai gli operai o non ci sono cambiamenti positivi. Gli operai tra Ilva, cassintegrati, appalto sono 15 mila, qualcuno dice anche 18 mila, sono una forza, cioè il numero pesa si deve lottare, quando si devono portare delle soluzioni effettive per gli operai e per le masse dei quartieri.
Ma non c’è solo questo. Gli operai dell'Ilva e dell'appalto hanno una ricchezza e un patrimonio di esperienza, di conoscenza di decenni e decenni, non sono dei numeri da collocare, o di cui dire: io sogno che gli operai che non siano più in Ilva ma vadano 10 a una scuola ad aggiustare problemi elettrici, 20 in un quartiere a mettere una pavimentazione, ecc.- c'è una persona che ha fatto tutto un elenco di lavori alternativi che vanno da lavori ultra artigianali a lavori grossi in cui ci entra anche Elon Musk, ecc.
Ecco, si potrebbe dire: ma dove vivi, sulla luna? Ma soprattutto queste proposte sono veramente offensive verso gli operai ma anche verso le masse dei quartieri; offensive per operai che producono tutto e che senza gli operai non ci sarebbe assolutamente niente. D’altra parte dovrebbero lavorare a Taranto solo lavoratori buttati fuori dalla fabbrica? E tutti gli altri, i giovani, i disoccupati non devono mai trovare lavoro?
Chi parla degli operai non sa e non vuole sapere niente. Noi veniamo dal ‘68 quindi conosciamo l'Ilva da allora, gli operai, le battaglie per la salute, contro gli impianti nocivi le hanno fatte, potremmo dire nome e cognome di chi le ha fatte. Nel processo “Ambiente svenduto” di primo grado sono state fatte delle testimonianze di operai che davano punti agli ingegneri che sono veramente importanti perché rivelano come gli operai sanno bene quello che non va e sanno anche come dovrebbe andare; questi operai dicono: io ho chiesto una volta, due volte, decine di volte di intervenire per la sicurezza, la salute, ma i padroni, i loro capi per una ragione o per l'altra non vogliono fare nulla; sicuramente dopo vi saranno incidenti, operai che si infortunano, se non peggio, e allora si dirà: chiudiamo la fabbrica... Ma quelle cose si potevano migliorare ed evitare che poi diventassero fattore di infortunio o di morte; e qui sta il problema gli operai fanno continue proposte di migliorare le condizioni di lavoro, ma il padrone gli sbatte in faccia che il suo profitto non può essere intaccato, e poi approfittano dei sindacati confederali sempre pronti a fare “furia francese e ritirato spagnola” - l'ultimo è l'Usb specialista di “furia francese e ritirato spagnola” -; col risultato che i problemi aumentano e dobbiamo contare i morti e le malattie.
Ma non è vero che non si possono cambiare le cose. Certo occorre che ci sia la possibilità per gli operai di lottare, di organizzarsi, di imporre le soluzioni.
Ripeto, anche il processo “Ambiente svenduto” dimostra che gli operai sono la soluzione, non per i padroni e il governo, ma sono la soluzione per le masse.
Tra l'altro gli operai sono una comunità ed essa pesa se è unita, non se ci sono 15.000 operai dispersi.
Sono tutti pronti a dire: ma gli operai non scioperano. Non è vero! All'Ilva non è così, all'appalto si bloccavano le entrate e la massa degli operai restava fuori, ci sono stati scioperi a cui gli operai hanno risposto in massa, a volte anche in maniera dura, c’è stata la forte protesta/cacciata della Morselli, ultimamente hanno bloccato la via Appia, ecc; ma se tu sindacato tra uno sciopero e l'altro fai passare mesi e a volte anni e nelle trattative non poni neanche mezza della rivendicazioni qui ed ora per gli operai, è chiaro che la situazione non può cambiare.
Gli operai si devono sentire una classe, quella più importante e quindi avere l'orgoglio di essere operai e che solo gli operai se lottano, uniscono e si uniscono alla popolazione, allora si le cose cominciano a prendere un'altra strada.
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