Riportiamo questa informazione. La stiamo verificando con i lavoratori Slai cobas di Ravenna.
"Simone D’Acunto, direttore di Cestha e ricercatore in campo marino, spiega al TarantoToday la differenza con la moria di vongole sulla costa dell'Emilia-Romagna: "Solo campionamenti indipendenti possono stabilire se i valori rientrano nei limiti di legge o se rappresentano un rischio per gli organismi marini. Ma a Taranto anche piccoli squilibri possono avere effetti immediati e devastanti sulla produzione”
TARANTO - A Taranto l’ipotesi di una nave rigassificatrice destinata ad alimentare i futuri nuovi forni dell’ex Ilva ha messo in allarme una comunità intera...
Per comprendere cosa potrebbe accadere alle acque ioniche, lo sguardo si sposta verso Ravenna, dove da pochi mesi è entrata in funzione la FSRU BW Singapore. Lunga 300 metri e larga oltre 40, la nave è ancorata a 8,5 chilometri dalla costa e collegata via metanodotto alla rete nazionale. Può stoccare fino a 170mila metri cubi di GNL e rigassificare circa 5 miliardi di metri cubi l’anno, pari al fabbisogno di dieci milioni di famiglie.
La sua presenza coincide con fenomeni che hanno scosso la comunità locale: morie di vongole, spiaggiamenti di tartarughe malate, sospetti di alterazioni della qualità delle acque. Un intreccio che ha fatto scattare allarmi e accuse, ma che la scienza invita a trattare con cautela.
Diverse organizzazioni ambientaliste, come la Fondazione Cetacea di Riccione, hanno sollevato preoccupazioni sull’impatto dell’impianto sulla fauna ittica. Secondo il direttore Sauro Pari il raffreddamento dell’acqua, stimato in un abbassamento di circa 7 °C nelle vicinanze del rigassificatore, potrebbe essere rilevante - anche se, secondo SNAM, l’effetto termico si ridurrebbe a poche decine di metri dalla nave. L’immissione di ipoclorito di sodio (cloro), seppur definita in “quantità impercettibili”, rappresenta un ulteriore elemento di preoccupazione potenziale.
“Le morie di vongole osservate a Ravenna non possono essere attribuite automaticamente al rigassificatore - chiarisce al Taranto Today il dottor Simone D’Acunto direttore di Cestha, ricercatore in campo marino -. Collegare due eventi solo perché avvengono nello stesso periodo non ha valore scientifico. Sarebbe come dire che un’alluvione è stata causata dal fatto che ho lavato l’auto quella mattina”.
Secondo D’Acunto, i decessi delle vongole rientrano in fenomeni già noti ai pescatori. “Le chiamano acque cattive: ondate ricorrenti di acqua dolce e carica di materiale organico riversata dai fiumi. Questi flussi alterano salinità e ossigeno, compromettendo la sopravvivenza delle vongole sul fondale.”
Il rigassificatore utilizza ipoclorito di sodio - una sostanza simile alla candeggina - per sterilizzare i circuiti di raffreddamento. Tracce di questa sostanza finiscono in mare. “Parliamo di quantità dichiarate come diluite - osserva D’Acunto - ma è proprio su questo che servono dati. Solo campionamenti indipendenti possono stabilire se i valori rientrano nei limiti di legge o se rappresentano un rischio per gli organismi marini”.
Al momento, l’Agenzia regionale per la protezione ambientale (Arpa Emilia-Romagna) effettua monitoraggi periodici, ma i dati completi non sono ancora stati resi pubblici...
La differenza tra Ravenna e Taranto è sostanziale. Nel primo caso si parla di vongole selvatiche, pescate in mare aperto; nel secondo di mitilicoltura, con cozze allevate in un ecosistema chiuso e fragile come il Mar Piccolo. “Le cozze tarantine - sottolinea D’Acunto - sono molto più vulnerabili a variazioni di salinità, ossigeno e qualità delle acque. Anche piccoli squilibri possono avere effetti immediati e devastanti sulla produzione”.
L’arrivo di una nave rigassificatrice nel porto, oltre al rischio chimico, comporterebbe anche la sottrazione di spazi di mare ai pescatori artigianali, esclusi per motivi di sicurezza dall’area circostante. “È un effetto negativo immediato - osserva D’Acunto - perché toglie porzioni di mare a chi ci lavora ogni giorno”...
“Ogni nuova attività in mare ha conseguenze - conclude il ricercatore -. Una zona interdetta alla pesca può trasformarsi in riserva naturale e favorire la crescita di pesci di taglia maggiore, ma per i piccoli pescatori significa perdere fonti di reddito. Per la mitilicoltura tarantina, più fragile e strategica, il margine di rischio è ancora più stretto. È indispensabile lavorare su monitoraggi trasparenti e indipendenti, per decidere con cognizione di causa”.
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