giovedì 24 novembre 2016

GIOVEDI' ROSSI - IL POSTO DELL'IMPERIALISMO NELLA STORIA

Questo stato di putrefazione dell'imperialismo“potrà magari durare per un tempo relativamente lungo... ma infine sarà fatalmente eliminato”.

Siamo arrivati con questo all'ultimo capitolo del libro "L'Imperialismo di Lenin". 
Continueremo a dicembre con una sintesi di questo capitolo e interventi di lettori che ci giungono.
Poi chiuderemo questo secondo importante e fortemente attuale ciclo di Formazione Operaia, e... all'anno nuovo, NOVITA'!


Lenin nell'ultimo capitolo de L'Imperialismo fa una sorta di riassunto generale per collocare esattamente il posto che l'imperialismo occupa nella storia. Ne traccia il suo essere il passaggio dall'ordinamento capitalista ad un più elevato ordinamento sociale ed economico e come esso sia il frutto del capitalismo monopolista.

Per essere preciso Lenin dettaglia i tipi di monopolio, o meglio, le 4 forme di essere del monopolio.
Il monopolio sorse dalla concentrazione della produzione in uno stadio assai elevato di essa. Si formarono allora associazioni monopolistiche di capitalisti: cartelli, sindacati, trust (oggi diremmo, multinazionali - ndr)”. Questo fenomeno si determina nei paesi capitalisti più avanzati ed è un carattere comune di essi, sia quando questa formazione avviene in paesi con alti dazi protettivi, sia
quando si muove in un regime di libertà commerciale.
Questo dato è molto importante per riuscire a definire il capitale monopolista e l'imperialismo indipendentemente dalle vulgate. Oggi, per esempio, è possibile basarsi sui criteri di Lenin per vedere come sia gli Usa, e naturalmente gli altri paesi imperialisti, Europa, Giappone, sia la Russia che apparentemente è gestita diversamente, siano paesi imperialisti, qualunque sia la genesi e percorso che lo ha determinato.

Il secondo carattere del monopolio che segnala Lenin è quello determinato dall'”accaparramento intensivo delle principali sorgenti di materie prime”, tra le quali giocano un ruolo fondamentale, come si sa, le fonti energetiche.
Naturalmente i monopoli che si accaparrano le fonti energetiche, utilizzando lo Stato come strumento necessario per questo accaparramento, godono di una potenza immensa, la quale, oltre che acuire la contraddizione tra potenze imperialiste e paesi possessori delle materie prime accaparrate, acuisce la concorrenza tra multinazionali e industrie minori che hanno più difficoltà; e, se si guarda la cosa dal punto di vista degli Stati, tra Stati che hanno un maggior controllo e quindi un maggior accaparramento delle materie prime e Stati invece che hanno minore possibilità, che diventano obiettivamente dipendenti da quelli che hanno il controllo sulle materie prime, pur restando essi in ogni caso paesi a capitalismo avanzato o imperialisti minori.

Il terzo carattere del monopolio è chiaramente la sua fusione col capitale bancario e il dominio del capitale finanziario. Questo produce un'oligarchia finanziaria che attrae – come dice Lenin - “nella sua fitta rete di relazioni di dipendenza tutte le istituzioni economiche e politiche della moderna società borghese”.
Ecco questo dominio dell'oligarchia finanziaria è una delle caratteristiche che rende oggi la Russia un paese pienamente imperialista, dominato appunto da una oligarchia che gestisce lo Stato attraverso gli eredi della distruzione dello Stato socialista.

Il quarto elemento è il rapporto tra dominio del monopolio e politica coloniale, o meglio neocoloniale come diremmo oggi, dato che formalmente tutte le ex colonie nel mondo sono ormai paesi che risultano indipendenti, ma questi paesi “indipendenti” sono dentro le sfere di influenza dei paesi imperialisti e legati ad essi – come dice Lenin – da “vantaggiosi affari, concessioni, profitti monopolistici, ecc.”
Se è del tutto evidente che rispetto ai primi decenni del '900, in cui il libro L'imperialismo è scritto, oggi non c'è più un'occupazione del territorio diretta dell'imperialismo, il sistema delle sfere di influenza, il ruolo degli eserciti e della potenza militare per garantire il controllo e il dominio dell'imperialismo nei paesi oppressi, ha la stessa funzione che nel passato aveva l'occupazione diretta del territorio. Questo però non è un assoluto, dato che laddove, per le ragione di ribellione dei popoli o non accettazione del dominio, o per passaggio da un imperialismo all'altro, questi territori diventano ingovernabili e incontrollabili, si riproducono occupazioni e invasioni.
Le sfere di influenza e il dominio originano la lotta intensa per la spartizione, ripartizione del mondo, e anche quando per lunghi periodi questa spartizione sembra ormai codificata, non vuol dire che è una ripartizione eterna.
Sono le teorie opportuniste o “superimperialiste” che considerano invece questa spartizione eterna possibile, per dare una patina di pace e pacificazione al dominio delle potenze imperialiste.
Ma gli spiriti animali del capitale e quindi dell'imperialismo lavorano costantemente dentro il modo di produzione per aprire, riaprire continuamente la contesa che origina le guerre.
In questo senso si può chiamare “pace imperialista” solo la pace dei morti, dei territori occupati, dominati e schiacciati, o essa è solo la lunga vigilia delle nuove guerre imperialiste.

Le ultime pagine del libro di Lenin sono le più dense di significato e contenuto e con poche frasi delineano davvero il ruolo dell'imperialismo e il posto che esso occupa nella storia, storia in cui siamo ancora pienamente immersi.

Lenin affronta in maniera dialettica tutti i nodi conseguenti all'analisi del sistema mondo che ha profondamente penetrato con l'arma essenziale del marxismo e con l'acume scientifico necessario perchè il marxismo sia arma di lettura e decifrazione di un mondo dinamico.
E' noto a tutti – scrive Lenin – quanto il capitale monopolistico abbia acuito gli antagonismi del capitalismo”. Questi antagonismi mettono a nudo le sue caratteristiche “Monopoli, oligarchia, tendenza al dominio anziché alla libertà, sfruttamento di un numero sempre maggiore di nazioni piccole e deboli per opera di un numero sempre maggiore di nazioni più ricche o potenti: sono le caratteristiche dell'imperialismo, che ne fanno un capitalismo parassitario e putrescente”.

Lenin dà a queste parole non certo un senso moralista, di condanna dei “mali del mondo” o del “mondo debosciato” dei ricchi e dei padroni che lo dominano. Ma proprio il loro carattere ineluttabilmente scientifico: “la tendenza dell'imperialismo a formare lo “Stato rentier”, lo Stato usuraio, la cui borghesia vive esportando capitali e “tagliando cedole”. Il capitalismo ha prodotto questo mondo e il suo stadio superiore è questo. Questo è parassitismo e putrescenza, come giudizio storico finale che definisce l'effettivo ruolo nella storia dell'imperialismo.
Lenin, però, immediatamente chiarisce che parlare di “putrescenza” riguarda il ruolo nella storia dell'umanità: “Sarebbe erroneo credere che tale tendenza alla putrescenza escluda il rapido incremento del capitalismo”.
Tutt'altro”, dice Lenin. Nei singoli rami dell'industria, nei singoli strati della borghesia, nei singoli paesi, vive continuamente il nesso tra putrescenza sistemica e sviluppo del capitale.
Lenin scrive: “In complesso il capitalismo cresce assai più rapidamente di prima, senonchè, aggiunge, tale incremento non solo diviene in generale più sperequato, ma tale sperequazione si manifesta particolarmente nell'imputridimento dei paesi capitalistici più forti (sottolineatura nostra)”.

La sperequazione mondiale aumenta, ma dentro di essa vi è un impetuoso sviluppo del capitalismo, soprattutto nei paesi dominati; ed è dentro le metropoli imperialiste che si manifesta in maniera più evidente l'imputridimento.
Il capitalismo che si sviluppa sotto il dominio imperialista è capitalismo vero e non falso capitalismo, come alcune analisi dicono. Anche l'utilizzo di categorie come 'capitalismo burocratico' ci deve servire ad evidenziare la permanenza della disparità tra paesi imperialisti e paesi dominati, ma non certo, come invece si fa, deve servire a negare il carattere capitalista in pieno sviluppo di quello che oggi attraversa i paesi oppressi dall'imperialismo o un tempo oppressi pienamente dall'imperialismo, mentre oggi sono dentro il dominio di sistema dell'imperialismo, benchè non evidentemente nello stesso equilibrio e livello tra singoli paesi imperialisti e loro.
Per dirla chiara, il capitalismo che si sviluppa in tanti paesi dell'Asia e dell'America Latina è oggi il capitalismo in maggior sviluppo nel mondo, e anche nel cuore di essi si passa dal dominio della libera concorrenza al monopolio, e anche in essi si manifesta la concentrazione della produzione, anche in essi si manifesta il formarsi di una oligarchia spesso fusa con lo Stato e a sua volta legata alla finanza internazionale, che va analizzata e combattuta dal proletariato, dalle masse popolari.
Lo squilibrio è globale, il dominio è globale. La sua raffigurazione dentro uno schema non dinamico, non dialettico è erronea nell'analisi e tradisce il pensiero di Lenin.
Lenin parlava di tratti parassitari dell'imperialismo americano già in quel lontano 1910 in cui l'imperialismo Usa non era già diventato quella gigantesca superpotenza dominante oggi.

Lenin, poi, aggiunge un altro concetto fondamentale che è prodotto dell'epoca dell'imperialismo, del suo sistema economico, delle sue caratteristiche, del suo carattere putrescente, parassitario: “nell'epoca dell'imperialismo restano molto sbiadite le più forti differenze politiche (all'interno della classe dominante e delle diverse frazioni di essa - ndr), non già perchè, in sé, esse siano senza importanza, ma perchè in tutti questi casi si tratta di una borghesia con caratteri parassitari espressamente determinati”.
Lenin, quindi, ci offre l'indicazione chiave per leggere le dinamiche politiche. In ogni paese imperialista tutte le forze politiche che non puntino a distruggere il sistema imperialista hanno caratteri di fondo simili, conducono, lo si voglia o no, la stessa politica determinata dagli interessi dell'imperialismo in generale e del proprio imperialismo in particolare. Governi di destra o governi di “sinistra” nei paesi imperialisti sono intercambiabili. Le loro differenze sono importanti nello sviluppo tattico della lotta del movimento operaio, ma non possono intaccare la loro natura e il loro “carattere parassitario espressamente determinato”.
Ciò vale per le coalizioni in contesa elettorale nei singoli paesi imperialisti e per i governi dominanti in ciascuno di essi. Questi ultimi sono della stessa natura e servono gli stessi interessi, qualunque sia la veste che assumono, ciò vale per gli Usa come per la Germania, come per la Russia...

Infine, Lenin affronta e definisce il problema più importante nel movimento operaio e comunista, nella sua epoca come oggi all'interno dei paesi imperialisti.
Gli alti profitti monopolistici hanno la possibilità di corrompere singoli strati di operai e, transitoriamente, perfino considerevoli minoranze di essi, schierandole a fianco della borghesia del rispettivo ramo industriale o della rispettiva nazione contro tutte le altre”.
Questo è uno stato permanente nell'epoca dell'imperialismo nei paesi imperialisti. Esso viene poi particolarmente in luce quando l'aspro antagonismo esistente tra le nazioni imperialiste, a motivo della spartizione del mondo, si sviluppa in tendenza alla guerra o nella guerra effettiva. In queste fasi viene nettamente in luce e mostra tutto il suo carico, il legame indissolubile tra imperialismo e opportunismo. E dal punto di vista della lotta di classe, diremmo di carattere strategico.
Lenin mette in rilievo come i socialdemocratici leggano in forme ottimistiche questo legame. Sia quando elogiano il prodotto di questo legame negli alti salari e condizioni di vita più elevati di minoranze consistenti di questi paesi rispetto alla generalità delle masse popolari al loro interno e della grande maggioranza dei popoli nel mondo; sia quando affermano che la causa rivoluzionaria del proletariato sarebbe persa in partenza “se appunto, il capitalismo avanzato conducesse ad un rafforzamento dell'opportunismo, o se appunto gli operai meglio pagati fossero propensi all'opportunismo”.
Questa visione che Lenin definisce “ottimistica” nasconde l'opportunismo, cioè l'indispensabile necessità di condurre una lotta aperta contro di esso e la negazione del carattere “particolarmente ripugnante dello sviluppo dell'opportunismo”. “Più pericolosi di tutti - aggiunge Lenin - sono coloro i quali non vogliono capire che la lotta contro l'imperialismo, se non è indissolubilmente legata con la lotta contro l'opportunismo, è una frase vuota e falsa (sottolineatura nostra)”.
Tutta la storia reale del movimento operaio nei paesi imperialisti, dagli albori fino ad oggi, ruota per così dire su questa incomprensione. Quando i comunisti l'hanno assunta, trattata e combattuta, hanno vinto o potevano vincere. Quando questo legame è stato oscurato hanno perso, si sono arresi all'opportunismo e di conseguenza all'imperialismo.

Oggi in una fase in cui il carattere putrescente e parassitario dell'imperialismo è ancora più in luce, fino a prefigurare una catastrofe globale dell'umanità, oggi che gli antagonismi in seno agli imperialisti e tra imperialisti e popoli oppressi sono più acuti che mai, l'esistenza e lo sviluppo e la possibilità del movimento operaio, della loro avanguardia organizzata, i comunisti, di esistere, lottare e vincere, dipende ancora di più e in maniera determinante da questa comprensione, che attraversa programmi, teorie, ideologie, forme organizzative d'avanguardia e di massa, forme di lotta. Intorno a questo si gioca la partita fondamentale.

Infine, Lenin conclude l'analisi dell'imperialismo mostrando che esso è un capitalismo in transizione, un capitalismo morente, un capitalismo da ultimo stadio – fermo restando che la teoria del “crollo dell'imperialismo” non è mai appartenuta al leninismo.
Più preciso è il dato della transizione. Ma “transizione” a che? Transizione non ad un imperialismo maggiore, ad un superimperialismo, ma transizione al socialismo, alla società di transizione per eccellenza, dal modo di produzione capitalista al comunismo. Questo carattere di “transizione” al socialismo dell'imperialismo non è dentro le aspirazioni umanistico-morali, ma dentro le caratteristiche interne che l'imperialismo sviluppa e che solo il socialismo può ereditare e rovesciare, rovesciando i rapporti di produzione che l'incatenano.

Lenin qui analizza come, sia nel piccolo della grande industria che nel sistema globale, l'organizzazione socializzata, rigorosamente sistematizzata, la capacità di valutazione dei dati innumerevoli, di organizzare la fornitura delle materie prime all'intero fabbisogno, gli stadi di trasformazione di essa, la sua trasformazione in produzione, la ripartizione di questa produzione, mostrano che “si è in presenza di una socializzazione della produzione... che i rapporti di economia privata e di proprietà privata formano un involucro non più corrispondete al contenuto, involucro che deve andare inevitabilmente in putrefazione (l'involucro, non la produzione – ndr) qualora ne venga ostacolata artificialmente l'eliminazione (dell'involucro, non della produzione – ndr)”.
Questo stato di putrefazione dell'imperialismo, dice Lenin, “potrà magari durare per un tempo relativamente lungo... ma infine sarà fatalmente eliminato”.
E in questa “fatalità” Lenin non ci mette il destino, ma la necessità storica che i soggetti della storia sono spinti a tradurre nel fatto trasformativo indispensabile.

E' la rigorosa analisi scientifica di Marx che alla fine Lenin sviluppa e ripropone!

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