martedì 8 novembre 2016

Da una lavoratrice a tutte le lavoratrici del commercio di Taranto

Siamo lavoratrici del commercio
Siamo quelle che devono far sempre buon viso a cattivo gioco
Se voi sapeste quanto è pesante il gioco!
Siamo quelle che il sabato e la domenica devono lavorare sempre di più e per forza
Se voi sapeste quanto ci costa rinunciare ad un sabato di lotta o a una domenica coi nostri cari!
Siamo quelle per cui le feste comandate non esistono
Esiste solo il comando e il controllo!
Siamo quelle che non possono chiedere ferie a luglio, agosto, dicembre

E tutte le volte che all’azienda non conviene!
Siamo lavoratrici del commercio e in commercio l’ipocrisia è d’obbligo
Sapeste quanto ci costa disobbedire a quest’obbligo!
Siamo quelle che devono dire sempre di sì ai capi, anche se analfabeti, razzisti, sessisti e incapaci
Perché per l’azienda, più che la competenza di chi la dirige, conta il servilismo, l’ignoranza e la discriminazione
Perché ciò che interessa all’azienda è l’umiliazione totale e plateale della nostra intelligenza e il controllo sui nostri corpi, sui nostri bi/sogni
Che non devono pensare e non devono esprimersi
Scomodo è il nostro pensiero, “polemica” è definita la nostra espressione
Siamo quelle che se dicono No o non sono carine coi capi, “dicono tutte cazzate” o meritano di essere perseguitate, mobbizzate, licenziate
Siamo le cenerentole del negozio, che se alzano la testa vanno in punizione a far le pulizie
Siamo quelle che non hanno un ruolo, se non lo decidono i capi, ma che rispondono degli errori dei capi
Siamo quelle che, per un salario, devono vendere anche sorrisi, tolleranza e l’immagine del proprio corpo, quello che anche il cliente più fetente si sente in diritto di frugare con gli occhi e a volte con le mani, perché “il cliente ha sempre ragione” e si sente in diritto di comprare, con la merce, anche la nostra intimità, quasi fosse anche lui il padrone dell’azienda
Siamo quelle che devono regalare comprensione a chi non comprende, sorrisi a chi non sorride, saluti a chi non saluta… siano essi padroni siano essi clienti, che si sentono padroni per proprietà transitiva
Siamo quelle che l’unica volta che si sono sentite unite contro il terrore aziendale, è stato quando hanno scioperato insieme il 25 novembre 2013, nel primo sciopero delle donne in Italia, contro la violenza sulle donne
Da quel giorno al negozio sbocciò una rosa: la solidarietà di noi lavoratrici a una giovane Rosa, vittima di stupro. Fu stuprata da un militare, che fu difeso da un avvocato, che era amico del padrone.
Le rose sono belle, ma pungono e noi pungemmo con la nostra solidarietà militari, avvocati e padroni
La loro repressione non si fece attendere: prima isolate e licenziate, con l’immobilismo complice dei sindacati confederali, poi mobbizzate, denunciate per aver detto la verità.

E’ ora che queste rose diventino un cespuglio di rovi, un groviglio di spine a difendere la verità

Chi attacca noi donne proletarie, non sono solo gli uomini, ma anche certe donne…
Chi attacca noi donne proletarie sono i padroni e i loro lacchè
Sono gli uomini e le donne in doppio petto, quelli che fanno le leggi contro di noi, quelli che le usano contro di noi
Sono i burattini e le burattine che si vendono per un livello in più o solo per un brandello di potere
Sono i burattinai ed è a loro che vogliamo arrivare questo 25 novembre.


Perciò saremo in piazza il 25 novembre contro i padroni e chi li difende

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