La prima questione è che il "Decreto dignità" conferma il Jobs act, non è una sua messa in discussione. Di Maio fa solo alcune piccole limature del Jobs act, non intaccando la sostanza di attacco al lavoro, alle condizioni di lavoro, ai contratti.
Questo è evidente sulla questione dei licenziamenti, per cui il decreto parla solo di elevare l'indennità da un massimo di 24 mesi a 36 mesi per i licenziamenti illegittimi; mentre resta il mancato reintegro nel posto di lavoro. Così come resta tutta la cancellazione dell'art. 18, che ha dato il via libera ai padroni di liberarsi di lavoratori non altamente produttivi (cioè, non sfruttabili al massimo) o scomodi.
Lo stesso discorso di limatura che non intacca la sostanza del jobs act e della politica padronale è per i contratti a termine. Ma qui con una immediata conseguenza particolarmente grave per i lavoratori.
Il decreto limita a 12 mesi il contratto a termine senza causale, e la durata complessiva scende da 36
mesi a 24 mesi, le proroghe scendono da 5 a 4 e aumenta il costo contributivo per ogni rinnovo di 0,5 punti per finanziare la Naspi (in aggiunta all'incremento dell'1,4% introdotto dalla Fornero); viene anche limitato il numero di contratti a termine (massimo il 20%) assunti tramite le Agenzie di somministrazione.
E' chiaro che questa limatura ha sollevato proteste da parte del fronte padronale che vuole più precarietà, più flessibilità, e anche forti riserve da parte della Lega la cui base elettorale sono le piccole e medie imprese del nord, e in generale attacchi della stampa di destra, che vogliono piuttosto un allargamento della politica del jobs act di precarizzazione, usa e getta, riduzione dei diritti contrattuali, che ha portato a far diventare stabile non il lavoro, ma appunto la precarietà lavorativa, ha fatto diventare la straordinarietà dei contratti a termine (che dovrebbero essere legati a ragioni temporanee estranee all'ordinaria attività, a incrementi non programmabili dell'attività, o picchi di attività stagionali) la ordinarietà, la normalità contrattuale.
Ma il Decreto dignità non ristabilisce affatto la normalità del lavoro stabile, dei contratti a tempo indeterminato.
E non solo. Per i lavoratori, per i giovani precari siamo in una situazione in cui la "soluzione" è peggiore del male.
Perchè senza rendere obbligatorie le assunzioni a tempo indeterminato, senza una legge che impedisca i licenziamenti degli attuali lavoratori con contratto a termine, la conseguenza per tantissimi lavoratori precari, in attesa di rinnovo del contratto a termine, saranno massicci licenziamenti.
E, dato che il decreto non impedisce la sostituzione di un lavoratore licenziato con un altro e poi un altro ancora, per riprendere sempre il ciclo dei contratti a termine, aumenterà la stessa precarietà.
Sulle delocalizzazioni e gli aiuti alle imprese, il decreto toglie gli aiuti di Stato, agevolazioni fiscali e applica sanzioni, stabilisce la restituzione dei benefici ricevuti per le imprese che trasferiscono all'estero le loro produzioni o che licenziano nelle attività interessate ai contributi statali.
Ma nulla impone a difesa dell'occupazione dei lavoratori e dei loro salari.
Quindi, non sarà questa penalità che disincentiverà il capitale dall'andare dove pensa di fare più profitti ed abbassare il costo del lavoro. E gli operai si troveranno ugualmente licenziati.
Questo provvedimento mentre non tutela i lavoratori, mentre stabilisce di fatto che dopo i 5 anni l'azienda può delocalizzare e non restituire nulla o può tagliare l'occupazione, è nello stesso tempo un provvedimento demagogico/populista, Anche Di Maio, infatti, dovrebbe sapere (ma forse no) che nella fase imperialista il capitale va dove vuole, che ci sono le multinazionali, che tanti capitalisti realizzano parte delle produzioni all'estero e parte in Italia. Pertanto, l’attuazione concreta, di questo decreto (ammesso e non concesso che passi così in parlamento) non è per niente scontata.
Ma la questione importante, ripetiamo, sono gli effetti per i lavoratori. Qui la posizione dei sindacati confederali di apprezzamento delle “misure interessanti e condivisibili” contenute nel decreto, porterà inevitabilmente, soprattutto su questo provvedimento delle delocalizzazioni, ad un rafforzamento della linea di difesa corporativa tra i lavoratori (già vista in altre vertenze), di divisione, contrapposizione tra lavoratori italiani e lavoratori esteri, una linea che vuole spingere i lavoratori italiani a condividere i "problemi" aziendali e ad accettare peggioramenti contrattuali, salariali, come "male minore".
Infine, lo stesso governo che presenta il 'decreto dignità' come una risposta al contrasto degli abusi dei contratti precari, reintroduce i voucher che sono il massimo della precarietà lavorativa e dell'attacco ai diritti contrattuali dei lavoratori, e il cui utilizzo soprattutto in agricoltura (dove, comunque, esiste un contratto diverso, a giornate), dove tantissimi braccianti sono immigrati, significherà ancora di più un lavoro senza regole/diritti contrattuali per tutti i braccianti, peggiorando la condizione anche dei lavoratori italiani.
Questo decreto, sia pur esprimendo una differenza di azione politica tra Salvini e Di Maio (ma, appunto, come diciamo dall'inizio questo governo è fascista e populista), non è in contrasto con la politica portata avanti da Salvini, ma è una dimostrazione dell'intreccio populismo/fascismo.
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