LA PROPOSTA MITTAL
Il piano "migliorativo" presentato da Mittal porta come unico passo avanti la questione dei tempi di attuazione in fabbrica delle prescrizioni aziendali, che dovrebbero essere anticipati ad agosto 2020 (rispetto al 2023) - una anticipazione già annunciata settimana fa. La copertura dei parchi minerali invece che a luglio 2021, dovrebbe concludersi a gennaio 2020; quella per i parchi a carbone dovrebbe essere anticipata a giugno 2020. Altri interventi con tempi più brevi dovrebbero riguardare anche altri reparti dell'area a caldo, 6 mesi di anticipo sulla depolverazione dell'impianto di agglomerazione; 30 mesi di anticipo sull'intervento per la loppa dell'altoforno,
Vi sarebbe, inoltre, un'accellerata per la sperimentazione della tecnologia per l'utilizzo del preridotto in sostituzione del carbone.
Su tutto il resto - esuberi, condizioni contrattuali e retributive - non ci sono affatto nuove proposte migliorative. La situazione, anche rispetto all'accettazione da parte di Mittal delle condizioni poste dai commissari Ilva, resta in generale la stessa del piano presentato da Calenda poco prima del cambio di governo - che non era affatto una soluzione! E non è un caso che qui la Mittal non è entrata nei dettagli.
Sull'occupazione, AmInvestco assumerebbe sempre e solo 10.100 lavoratori. Gli altri 3.800 andrebbero in due società: una privata e una pubblica - di fatto sempre la famosa prospettiva della Bad Company - con periodi di cassintegrazione e periodi di attività lavorativa nelle bonifiche; solo al termine dei 5 anni vi sarebbe un generico impegno della Mittal ad assorbire i lavoratori eventualmente rimasti; ci sarebbero poi gli incentivi all'esodo, sui 100mila euro
Sul fronte contrattuale, salariale, del mantenimento dei diritti dei lavoratori, torniamo alla casella di partenza, in un certo senso anche più indietro dell'ultima fase di trattativa con i sindacati su questo punto. Mittal, infatti dice che "darebbe la sua disponibilità a supportare - nell'ambito della procedura sindacale (ex articolo 47) - insieme a tutte le parti sociali interessate. il raggiungimento di un'idonea soluzione da definire nell'eventuale accordo sindacale per ciascuno degli attuali dipendenti di Ilva in Amministrazione Straordinaria, entro la scadenza del piano industriale (cioè il 2024)".
Tradotto, vuol dire che vi sarà comunque una novazione contrattuale per ogni lavoratore - alla luce delle leggi attuali a favore dei padroni, in primis Jobs act, con nessuna garanzia di conservazione dei diritti acquisiti sia normativi che salariali; compresa chiaramente la fuoruscita dalla garanzia dell'art.18.
Di fatto è la riproposizione dell'ultimo piano Calenda che già era stato respinto, anche dai sindacati, e di cui riportiamo in sintesi una analisi critica che facemmo a giugno:
1) L'accordo prevede il divieto di licenziamenti entro 5 anni dei lavoratori assunti da Am Investco. Quindi dopo 5 anni AM Investco può procedera a licenziamenti collettivi, cosa che gli consentirebbe di passare da 10mila a 8500 operai nel 2023; in ogni caso si concede a Mittal di utilizzare nella fase organizzativa Cigs e contratti di solidarietà; quindi una parte degli operai pur assunti dalla AM Investco potrebbero trovarsi subito in cigs
2) l'accordo prevede una divisione nella divisione degli operai già prevista in precedenza. Ora, però, si opera un'altra differenziazione:
1500 lavoratori andrebbero ad una nuova società denominata "Società per Taranto" costituita da Ilva e da Invitalia, questi lavoratori in cigs sarebbero impegnati a rotazione in attività trasferite a questa società da Am Investco; quindi il lavoro di questi 1500 operai è subordinato a se e quando Mittal passa delle attività (quali attività? Togliendole agli operai dell’appalto?), e comunque questo "impegno" durerebbe solo fino a giugno 2021, cioè solo per 3 anni.
I restanti 2300 lavoratori rimarrebbero in carico all'Amministrazione straordinaria, ma solo per la durata del piano ambientale e industriale e con ampio utilizzo della cig ("che comporta - dice l'accordo - una riduzione media della retribuzione del 10%" - ma è di più come gli operai già sanno); qui viene messo il contentino che, se e quando AM Investco avesse bisogno di nuove assunzioni, il lavoratore potrebbe passare alle sue dipendenze.
3) per i lavoratori dell'indotto non c'è niente di niente! Nessuna occupazione, perderebbero il lavoro e basta; c'è solo un generico impegno per AM Investoco a preferire le aziende locali a parità di costo e di qualità di fornitura;
4) il governo darebbe incentivi per licenziamenti "volontari", autoimprenditorialità, accompagnamento alla pensione (che per l’età media degli operai Ilva vuol dire tanti anni ancora) per un massimo di 100mila euro a lavoratore, ma "da modulare in funzione della permanenza in Cigs", quindi più stai in cigs meno hai.
L'AZIONE DI DI MAIO
Di Maio sta coniugando, in maniera confusa, e illogica praticamente, la procedura di azzeramento della gara d'appalto alla ArcelorMittal (ora dice: atto dovuto per "autotutela"), con un rinnovato impegno di incontri - come il prossimo lunedì 30 luglio, in cui ha invitato sindacato e parti interessate (?) ma solo per fare da platea a Mittal che deve illustrare la sua ultima proposta.
In realtà sta andando in scena, sulla pelle degli operai, dei cittadini, un intreccio tra azione da avventuriero e politica populista da "ingannapopolo". (Una strada escluderebbe l'altra, se la gara venisse annullata e avviata una nuova non avrebbe senso la continuazione della trattativa con l'attuale ArcelorMittal e i tempi si allargherebbero enormente; così come è in contrasto la continuazione della copertura dei parchi minerali (con soldi che devono essere coperti dalla Mittal) e intanto sparare ogni tanto, ad uso di chi lo ha votato, la chiusura dell'area a caldo, o la decarbonizzazione/uso del gas della Tap, per cui il M5s aveva detto NO, schierandosi prima con chi lotta contro la Tap...).
Questo porta solo a tenere in standby gli operai (che chiaramente sono preoccupati, sono stanchi di questi giochi sulla loro pelle, ma sbagliano tantissino a stare fermi, ad aspettare, alcuni ancora con illusioni sul M5S; con i sindacati confederali che usano da un lato minacce a parole e dall'altro ben più concrete attese di incontri).
Nei fatti tutto finora lascia intendere che non ci sarà annullamento della gara si andrà ad un accordo simile a quello già posto sul tavolo dal precedente governo, con qualche leggera modifica sul fronte bonifiche, con uno scambio di fatto tra piccoli miglioramenti sul piano ambientale e lavoro e diritto degli operai. In cui la salute dei lavoratori e dei cittadini non viene agitata per dare risposte effettive alla difesa della salute, ma come carta da mercanteggiare.
Tutto questo viene accompagnato dallo sciagurato ruolo del demagogo Emiliano, che ora fa il battitore libero tra PD (di cui vuole conservare la poltrona) e il M5S.
Di Maio, infine, non fa i conti (o li fa dietro le quinte) con il suo alleato Salvini, che, facendosi interprete di quello che vogliono i padroni, in particolare i bresciani del nord, dice praticamente: poche chiacchiere, l'accordo va fatto... E alla fine, come su altri fronti del governo, è il fascista Salvini che conta...
IL RAZZISMO INDUSTRIALE
Sulla questione della trasformazione della produzione da carbone al preridotto, della lavorazione di bramme non fatte più a Taranto ma importate e prodotte altrove si parla di una produzione che dovrebbe essere fatta in Asia, in India, nel nord Africa.
Della serie: gli operai e gli abitanti di Taranto non devono ammalarsi, morire; gli operai e la popolazione dell'Asia, India, paesi del Nord Africa, sì.
La salute a la vita degli italiani val bene la malattia e la morte degli indiani, degli africani?
Su questo i cari ambientalisti non dicono nulla?
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