lunedì 23 luglio 2018

1948 - La rivolta operaia a Taranto - ricordando una grande pagina della lotta di classe, onorando l'operaio dell'arsenale, abitante in Città Vecchia, Angelo Raffaele Latartara

dalle cronache dell'epoca

Taranto nel corso dello sciopero dei cantieri navali e delle officine le forze di polizia caricano i manifestanti dinanzi alla sede della Camera del lavoro, uccidendo l’operaio Angelo Latartara e ferendo altri 4 manifestanti.
A Taranto negli scontri fra polizia e manifestanti, circa quindicimila secondo i dati della Questura, muore il ventisettenne Angelo Raffaele Latartara, operaio arsenalotto, socialista, colpito alla testa da un proiettile; i feriti sono nove, sette dimostranti, quasi tutti lavoratori dei Cantieri navali e dell'Arsenale, e tre poliziotti. Uno di questi, Giovanni D'Oria, muore due giorni dopo all'ospedale. La manifestazione per l'attentato a Togliatti è uno dei momenti più intensi della storia del movimento operaio tarantino del dopoguerra, tuttora vivo nella memoria degli operai più anziani. Il modo migliore di raccontarla è proprio attraverso le narrazioni di chi era presente: «Io stavo a bordo a lavorare, quando un napoletano che lavorava in officina, all'una ha sentito il comunicato e viene a bordo a gridare: "Hanno sparato a Togliatti! Hanno sparato a Togliatti!". Allora gli operai uscirono da bordo, uscirono dalle officine e si trovarono a piazza Congegnatori dove c'era la Commissione Interna. Piano piano, piano piano, si sono tutti raggruppati là. C'era un silenzio di lutto, un dolore! Allora: "Sciopero, sciopero! Dobbiamo uscire!". Siamo usciti dall'Arsenale e siamo andati a piazza Ebalia, dalla parte di Lungomare (dove c'era la Camera del lavoro, ndr). Siamo stati lì, tutto il sindacato, la Commissione Interna. All'epoca Voccoli era senatore e noi aspettavamo Voccoli che doveva fare il comizio. Allora la polizia fece una grande provocazione con la macchina. La gente era esasperata, la polizia girava, girava…… Il tenente che stava sulla macchina sparò su un compagno socialista, Latartara, gli spararono in fronte» (Nicola Taurino, allora operaio dell'Arsenale e militante del PCI). «Ci fu una grande sassaiola a Lungomare. Gli operai dell'Arsenale, gli operai dei Cantieri navali, persino i miticoltori, la gente comune, si radunarono sotto la Camera del lavoro e c'era una grande tensione. Poi, le camionette della celere cominciarono a creare subbuglio, perché volevano disperdere questa grande folla, questo grande assembramento di compagni, di persone. Naturalmente cominciarono a difendersi. Allora furono divelti gli alberi, furono divelte le mattonelle di marmo, ci furono dei grandi scontri. La polizia sparò e ci furono questi morti, questi feriti» (Cataldo Portacci, maestro d'ascia, militante del PCI). «Io portai all'ospedale un compagno della Commissione interna, Catapano, perché ebbe una pallottola fra le gambe. L'Italia fu bloccata, paralizzata. Togliatti, però, disse: "Non perdete la testa, mantenete la calma"» (Nicola Taurino). «Un brutto ricordo. Avevano attentato proprio al segretario politico del nostro partito. Poi, lo stesso Togliatti perdonò l'attentatore e fece uscire anche i fascisti dal carcere. Per dimostrare la vera democrazia » (Leonardo Miceli, operaio dell'Arsenale e militante del PCI). La CGIL proclama lo sciopero generale per il giorno 15. Nel pomeriggio dello stesso giorno si svolgono i funerali di Angelo Latartara. Il feretro è seguito da circa diecimila operai: «Descriverlo con le parole… non posso trovare le parole, adesso, per raccontare la folla, la tensione, il cordoglio, la solidarietà… Ecco, non ci sono parole per dire. Una grande manifestazione di massa, di popolo. Migliaia di persone…» (Cataldo Portacci). Il percorso del funerale viene limitato dalla polizia alla sola città vecchia, dove Latartara viveva, per evitare il passaggio nelle vicinanze delle sedi di partito e dei principali uffici pubblici siti nella città nuova. Nel discorso funebre gli oratori invitano gli operai a persistere nella lotta in attesa delle direttive del sindacato. Diverso il funerale di Giovanni D'Oria, avvenuto due giorni dopo: dalla caserma della Mobile di via Pupino il feretro, avvolto nella bandiera tricolore e accompagnato da autorità civili e militari, attraversa le vie del centro e raggiunge la chiesa di San Giovanni di Dio. Da lì, al termine della cerimonia funebre percorre via D'Aquino e, attraversato il ponte girevole, arriva a piazza Castello, dove gli vengono resi gli onori militari. A lui è intitolata la caserma di corso Italia.
Lo sciopero continua anche il giorno 16. Ai Cantieri navali l'astensione è quasi totale, all'Arsenale invece circa mille operai entrano al lavoro. Gli scioperanti cercano di impedirne l'ingresso ma la polizia interviene con nuove cariche. Il giorno dopo, lo sciopero viene revocato e le attività lavorative riprendono normalmente. La situazione si normalizza. Il bilancio della giornata del 14 luglio a Taranto è di trentatre denunce e otto arresti: Cosimo Ruggieri, Michele Briganti, Giovanni Villani, Giuseppe Stasi, Vincenzo Ferretti, Vincenzo Albano, Antonio Caricato, Saverio Ressa, tutti operai e militanti. Il processo si concluse nel 1950 con lievi condanne per sei imputati e l'assoluzione per insufficienza di prove per tutti gli altri. Poco tempo dopo per gli operai iscritti alla CGIL si apre l'epoca buia dei licenziamenti politici, attraverso i quali si cercherà di fare piazza pulita della componente comunista e socialista del movimento operaio tarantino.

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