giovedì 19 novembre 2020

"Genitori tarantini" sempre contro gli operai

Onestamente avevamo pensato di non intervenire sulla lettera scritta qualche giorno fa dai "Genitori tarantini" agli operai di Genova, perchè non volevamo anche noi dare spazio a questa presa di posizione di aperto attacco agli operai. Poi, purtroppo, abbiamo visto che la stampa locale le ha dato spazio e non potevamo permettere che rimanesse senza risposta, perchè non possiamo permettere che passino humus viscerali antioperai e false idee.
(non pubblichiamo la lettera, chi la volesse leggere clicchi sul link soto indicato). 

https://www.corriereditaranto.it/2020/11/15/genitori-tarantini-lettera-ai-metalmeccanici-di-genova/

Ma già questa foto che accompagnava la lettera dice tutto, e dice il falso - come se a Genova gli operai pensassero solo a lavorare, tutti stessero benissimo, e in questa città ci fosse il paradiso in terra...; e viene sciorinata la solita e vergognosa contrapposizione - che i cosiddetti "ambientalisti" hanno creato - tra operai che vogliono il lavoro e le donne, i bambini, gli anziani che vogliono la salute. 'Genitori tarantini' non ha la più pallida idea delle lotte, delle piattaorme operaie sul terreno della salute, dell'ambiente che gli operai dell'Ilva hanno fatto, isolati.


"Genitori tarantini" accusa gli operai quando lottano e impongono con la lotta dei passi indietro ad ArcelorMittal (come è stato a Genova sui licenziamenti) - unica strada (la lotta combattiva degli operai) per imporre anche a Taranto risultati su tutti i campi.

Gli operai di Genova sarebbero, per "Genitori tarantini", colpevoli di aver nei giorni precedenti fatto scioperi, manifestazioni, cortei - a cui avevano partecipato anche altre fabbriche - per difendere loro compagni di lavoro licenziati, a cui era seguita l'azione repressiva di ArcelorMittal con provvedimenti di sospensione dal lavoro verso 250 operai;  licenziamenti e provvedimenti disciplinari in atto anche a Taranto.

Nel sciorinare le accuse, la lettera usa in maniera strumentale e ipocrita gli operai dell'ArcelorMittal di Taranto; quando questi stessi "Genitori tarantini" e altri "anbientalisti" hanno nel recente passato attaccato volgarmente anche gli operai di Taranto, accusandoli di pensare pure loro solo al lavoro e alle tasche - cosa assolutamente non vera.

Questa lettera è anche vergognosa perchè non attacca i sindacati confederali, la Fiom di Genova che solo da questo blog è stata accusata di portare avanti una linea corporativa, ma attacca gli operai, dicendo falsità. 

Una di queste falsità è sulla questione della chiusura dell'area a caldo a Genova - su cui va fatta chiarezza una volta per tutte. 

Come ha dichiarato il segretario della Fiom di Genova, la chiusura dell'area a caldo non fu affatto frutto della lotta degli operai o della popolazione, ma interna soprattutto ad un "dare e avere" (in particolare, avere da parte dell'allora padron Riva) tra istituzioni e padrone, e non in contrasto con una strategia produttiva che puntava a rafforzare l'area a caldo, il ciclo integrale nello stabilimento di Taranto più grande di Europa e non aveva vantaggio a tenere due stabilimenti simili.

L'abbiamo già scritto e lo ripetiamo: In uno dei primi convegni fatti dalla Rete nazionale per la sicurezza a Taranto nel 2012, un ex delegato Fiom dell'Ilva, Francesco Maresca, chiarì anche lui la realtà di questa chiusura a Genova dell'area a caldo - riportiamo, per concludere, questo pezzo del suo intervento: 

"Tirano poi in ballo, a sproposito, l’esempio della chiusura dell’area a caldo di Genova, frutto di presunte grandi mobilitazioni di cittadini, quando in realtà i nostri compagni che a Genova vivono e operano ci hanno confermato che a suo tempo ci furono mobilitazioni di circoli ristretti rispetto alla dimensione della città... È vero che a Genova Riva ha chiuso l’area a caldo ma nessuno vuole ammettere che per farlo Riva ha beccato un sacco di milioni... nel '98 si fa quell’accordo ma l’area a caldo è stata chiusa solo nel 2005. Se si considera che un altoforno ha una campagna produttiva da 5 a 8 anni, dopo i quali l’altoforno va rifatto. Dunque nel 2005 Riva aveva l’alternativa: spendere 15, 20, qualcuno dice 30 milioni per rifare l’unico altoforno ancora attivo a Genova, o incassare i 50 milioni che lo Stato e la Regione gli offrivano per chiuderlo, più la gestione per 50 anni dell’area demaniale del porto? Secondo voi Riva che cosa poteva scegliere? Perché gridare alla vittoria, quando, nel migliore dei casi, è una vittoria di Pirro?..."

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