sabato 14 novembre 2020

Tra Stato e ArcelorMittal accordo fatto? info da Corriere di Taranto

Secondo fonti vicini al dossier l'intesa sarebbe stata già trovata e la partita chiusa. Ma restano molte le perplessità.

pubblicato il 13 Novembre 2020, 21:50

La voce che proviene da fonti molto vicine al dossier ex Ilva, è che sia stato già tutto deciso. Che il governo, tramite la società Invitalia, e la multinazionale ArcelorMittal, abbiano raggiunto un accordo che andrà ad implementare l’accordo dello scorso 4 marzo, addivenendo così ad un Contratto d’Investimento rinnovato rispetto a quanto inizialmente previsto la scorsa primavera.

Sarebbero dunque da escludere, al momento e a meno di scenari che ad oggi sembrano molto lontani, le altre due opzioni sul tavolo: ovvero la possibilità per ArcelorMittal di pagare la penale da 500 milioni di euro entro il 30 novembre lasciando la gestione alla struttura commissariale (in attesa di un eventuale nuovo acquirente), oppure la permanenza della multinazionale come affittuario sino a giugno 2022, senza la sottoscrizione del Contratto d’Investimento.

Altra notizia emersa dall’incontro odierno: la trattativa sarebbe ad un punto così avanzato, tanto da far immaginarne la chiusura nei tempi previsti, quindi chiudendo il tutto entro il 31 dicembre qualora alla data del 30 novembre si arrivasse con alcuni dettagli ancora da limare.

Non solo: l’ingresso dello Stato all’interno della società veicolo con cui ArcelorMittal vinse la gara nel 2017, AM InvestCO Italy, vedrebbe un’acquisizione delle quote del capitale sociale superiore alle ipotesi previste inizialmente. L’ingresso del socio pubblico sarebbe immediato, con assetto finale a favore del socio pubblico. Il che lascia addrittura prevedere la possibilità per lo Stato di diventare nel giro di qualche anno il socio di maggioranza. Inoltre, anche la condivisione della governance aziendale partirebbe sin da subito, grazie all’immediato apporto di capitale da parte dello Stato. La presenza del socio pubblico non sarebbe dunque solo azionaria, ma diretta nella gestione dell’azienda stessa.

Resta confermato il progetto di transizione energetica che dovrà subire il siderurgico tarantino. A cominciare dalla realizzazione di due forni ad arco elettrico (con un investimento che si aggira intorno ai 250 milioni di euro l’uno): ciò potrebbe comportare la realizzazione di un impianto di preridotto in loco, almeno questa era l’idea del governo lo scorso anno (il cui investimento si aggira sui 900 milioni di euro), che venga alimentato a gas (e qui sarà da vedere come si garantirà un prezzo calmierato per un utilizzo economicamente conveniente dello stesso): la produzione del preridotto è legata in modo indissolubile alla disponibilità di gas (o di shale gas) a prezzi competitivi. Ciò comporterebbe la dismissione della maggioranza delle cokerie, ossia gli impianti di distillazione del carbon fossile, rappresentano il vero bubbone ambientale di qualsiasi filiera siderurgica che parta dal trattamento del minerale, compresa Taranto. Con il preridotto si potrà alimentare anche i converitori ed in parte l’altoforno 5, su cui è previsto un forte intervento economico per il revamping dello stesso (con un impegno di spesa che potrebbe toccare anche i 4-500 milioni di euro). Forni elettrici che potrebbero essere alimentati anche con il rottame (c’è chi parla di Taranto come possibile hub del rottame che funga anche da sede di rifonrimento per le accierie del nord).

Calcolatrice alla mano, stiamo parlando di un piano di invstimenti che si aggira almeno intorno ai 2 miliardi di euro. Chi dei due soggetti investitori, Stato e ArcelorMittal, dovrà accollarsi la spesa maggiore è facile intuirlo.

Il tutto per arrivare a portare la produttività del siderurgico tarantino ad una progressiva crescita, sino a toccare gli 8 milioni di tonnellate annue, coinvolgendo così tutte le unità lavorative dirette (che attualmente sono 8.200), consentire un’innovazione impiantistica che abbia ricadute positive sull’impatto ambientale, migliorare la qualità del prodotto offerto e aumentare la capacità competitiva sul mercato andando a coprire quote che oggi l’azienda non è in grado di raggiungere.

Siccome per portare avanti un piano di investimenti di quella portata ci voranno anni, si parla di un approdo al 2025, nella riunione odierna è stato evidenziato come da qui ai prossimi 5 anni ci sarà una correlazione tra livello della produzione e livello occupazionale. Ovvero, ci saranno quasi sicuramente esuberi temporanei sino alla realizzazione del piano industriale su citato. Oppure c’è la possibilità che le maestranze in ‘esubero’ vengano impiegate nella realizzazione degli interventi previsti? Difficile ipotizzarlo, visto che serviranno aziende altamente specializzate.

Come e se si realizzerà tutto questo e se sarà effettivamente possibile realizzarlo non siamo in grado di affermarlo. La sensazione è che si siano fatti i conti senza l’oste. E che si stia immaginando una futuro molto lontano dalla realtà.

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