Una cronaca attendibile degli avvenimenti
Adesso che alla Baritech di Modugno
(Ba), azienda chiusa da dicembre 2021, i licenziamenti dei 113 operai in
cassa integrazione da aprile scorso, da lungo tempo temuti, sono
diventati effettivi, i dirigenti sindacali e politici provinciali e
regionali inveiscono contro la Baritech Operations srl di Brescia,
proprietaria della fabbrica – che per mesi avevano blandito e
accarezzato – accusandola di essere l’unica e vera responsabile dei
licenziamenti e di aver persino rifiutato di chiedere la proroga della
Cig nonostante avesse la possibilità di farlo per altri 90 giorni.
Di
fronte a un gruppo di operai che, davanti alla reale prospettiva della
miseria più nera, ha inscenato un’occupazione formale della fabbrica
gridando che non permetteranno più a nessuno di varcare i cancelli
(alcuni operai si sono anche incatenato a essi) e ha chiesto conto del
loro operato, i segretari provinciali di Cgil, Cisl e Uil hanno preso
tempo riferendo che essi intendono “chiamare in giudizio l’azienda bresciana” e “guardano al ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso per l’apertura urgente di un tavolo romano”!
Chi sono questi sindacalisti e politici (quelli citati sono solo alcuni casi)? Dilettanti allo sbaraglio, che si guardano intorno spaesati e non sanno che pesci prendere? No, per dirla tutta, sono professionisti del collaborazionismo con i padroni e dell’inganno verso gli operai, vecchi e scafati maneggioni e truffatori di operai! Personaggi che, alla Baritech come in altre fabbriche baresi (e non solo), con il loro studiato paternalismo hanno illuso gli operai che con i padroni si può ragionare e trattare, sguarnendone le difese e disarmandoli nello scontro con il loro reale padrone.
Il gruppo bresciano, che nel 2020 ha goduto di aiuti pubblici per rilevare la Osram, storica fabbrica barese di lampadine, riconvertendola alla produzione di mascherine, in questi mesi ha sempre tirato dritto facendosi beffe delle pressioni sindacali e politiche per una “composizione armoniosa” della vertenza. Adesso, finite le commesse di mascherine, vuole solo sbarazzarsi degli operai, fare un ottimo affare con la vendita dello stabilimento e andarsene da Bari. E invece sindacalisti e politici sono stati tutti quanti così opportunisti da “trascurare” che da tempo circolava fra sindacalisti e operai una locandina di un’agenzia immobiliare, datata maggio 2022, di richiesta di valutazione del capannone industriale barese proprio da parte della Baritech Operations, nella quale l’immobile veniva descritto in piena proprietà e in stato locativo libero. Così hanno sempre rassicurato gli operai in presidio che con le buone avrebbero ammansito la Baritech Operations, conducendola ad accettare che un’altra azienda rilevasse lo stabilimento e con esso tutti o in parte gli operai.
Era lo scorso dicembre quando il presidente Emiliano, in visita al presidio operaio, così concionava a favore di telecamere, con il suo classico tono bonario e paternalista di esperto imbonitore: “La resistenza di Baritech continua. Gli operai stanno presidiando la fabbrica per evitare rischi di qualunque tipo, perché in questo momento la fabbrica è l’elemento fondamentale della trattativa in corso. La Regione Puglia chiederà al Ministero del Lavoro di prorogare la cassa integrazione solo per il tempo necessario a chiudere la trattativa di reindustrializzazione. Questo processo è necessario in questa fase e quindi, nonostante il conflitto sia durissimo e molto alto nei toni, chiedo la collaborazione ai proprietari della fabbrica che è necessaria, valutando positivamente le prime aperture. Invito a implementare questa collaborazione, che consentirà loro di uscire nella migliore delle maniere da questa vicenda e conservare quella credibilità che è necessaria per tutte le persone ma in particolare per chi deve fare l’imprenditore”. E infine, con il classico trucco di far sentire importante chi si sta mandando coscientemente al martirio, aggiungeva: “Questi lavoratori sono stati in grado di cambiare la loro professionalità, non è una manodopera ad esaurimento ma persone di soli cinquant’anni di media e quindi ancora in grado di mangiarsi il mondo se qualcuno gliene dà la possibilità”.
In questa “riunione di famiglia” il presidente della task force occupazione della Regione Puglia, Leo Caroli, seduto accanto a Emiliano, gonfiava il petto: “La priorità è mettere in sicurezza i lavoratori, essere loro vicini scendendo dal palazzo e condividendo con loro anche momenti come quello di quest’oggi ai cancelli. E continuare a esercitare tutte le pressioni di cui siamo capaci con le organizzazioni sindacali, con il ruolo determinante delle Istituzioni affinché le manifestazioni di interesse ancora in essere si trasformino nei prossimi giorni, e comunque prima del 15 dicembre, in offerte di acquisizione vincolanti. Il ricorso alla cassa integrazione serve per reindustrializzare e ricollocare le persone. Continueremo a fare del nostro meglio affinché si possano salvare i posti di lavoro”.
I beoni sindacali sguazzavano anch’essi in questa salsa mista di paternalismo e inganno. Davide Scianatico di Filctem Cgil Bari sviolinava che “noi siamo contenti del fatto che i nostri appelli continui e incessanti che sono stati rivolti alla classe politica non siano caduti nel nulla. Siamo così sicuri di essere dalla parte della ragione, noi non retrocederemo di un solo millimetro e resteremo qui a presidiare finché non avremo la garanzia che questo stabilimento sarà ceduto ad un gruppo imprenditoriale in grado di acquisire non soltanto il capannone ma tutti i lavoratori”. E il segretario provinciale Puglia della Ugl, Filippo Caldara, aggiungeva che “siamo estremamente rincuorati dalla presenza del presidente Emiliano, perché l’elemento tempo è imprescindibile. Ci sono 115 famiglie che si apprestano a un triste Natale. Siamo nella speranza che tutti gli interventi e tutte le persone che ci daranno l’aiuto per ricollocare i lavoratori diano il risultato sperato”.
Adesso per gli operai della Baritech è tempo di riflettere sulle cause di una sconfitta e capire che il loro primo e più grande errore è stato non essere protagonisti della lotta, ma accettare di andare al carro di chi si è baloccato con loro e li ha portati, nei fatti, alla rovina. Certo, le armi di sindacalisti e politici sono subdole e potenti. Questi, per evitare che la lotta degli operai in presidio diventasse più seria e accanita, hanno fatto di tutto per dividerli e sgonfiarne l’impegno: con fare paternalista, hanno assunto su se stessi la delega alle trattative, sottraendola, di fatto, agli operai stessi, che hanno sbagliato a consegnargliela; non hanno mai chiarito i veri interessi della controparte padronale; hanno permesso alla proprietà, la scorsa estate, di smontare e trasferire in un altro sito i macchinari dopo il fermo della produzione; non hanno fatto nulla per aumentare il numero degli operai in presidio; non hanno mai posto come discrimine l’unità dei 113 operai nelle assunzioni di un’azienda che avesse eventualmente rilevato lo stabilimento, incentivando di fatto gli operai meno forti o con qualche possibilità di lavoro a cercare una soluzione individuale e indebolendo il fronte operaio; non hanno mai portato operai di altre fabbriche a solidarizzare con i gli operai in presidio. Addirittura alla fine, piuttosto che organizzare finalmente una lotta seria, sono arrivati a elemosinare “se non tre, almeno un altro mese di cassa integrazione”, come se un mese in più di Cig cambiasse le carte in tavola, e a dichiarare che gli operai, “pur di lavorare, sono disposti a trasferirsi dovunque in Italia”, disponibilità che non è mai data dagli operai! Solo parole vuote per cercare di testimoniare un falso attaccamento al problema degli operai e dimostrare che, “malgrado il nostro impegno”, è il padrone cattivo che “proprio non ne vuole sapere”. Sono parole, e conseguenti fatti, di una lezione da imparare ma da non ripetere.
L.R. da operaicontro
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