Quest’oggi (ieri 12 giugno) a Roma presso la sede del ministero dello Sviluppo economico a Roma, il ministro e vicepremier Luigi Di Maio ha incontrato i commissari strarodinari del gruppo Ilva. Nelle prossime ore, il neo ministro incontrerà anche i rappresentanti di ArcelorMittal e i sindacati, per avere una visione a 360° gradi della vertenza Ilva. Sulla quale Di Maio ha sin da subito predicato prudenza, prendendo al momento le distanze dal ‘capo politico’ del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo, che nei giorni scorsi dal blog ufficiale del Movimento, ha parlato di riconversione economica del golfo di Taranto, includendo anche l’Ilva seppur scrivendo che ‘nessuno ha mai parlato di chiusura’, descrivendo uno scenario futuristico fatto di energie rinnovabili, turismo, bonifiche, che ha fatto storcere il naso a quasi tutti gli attori protagonisti di questa vertenza, Lega in primis che sul futuro del gruppo siderurgico italiano ha una visione diametralmente opposta a quella del Movimento 5 Stelle, ovvero risanamento ambientale, nessuna chiusura, attività produttiva affidata al nuovo compratore e tutela di tutti i livelli occupazionali del gruppo.
Sull’incontro odierno con i commissari straordinari, al momento non è
trapelato nulla...
Intanto, come riporta anche il Sole24Ore, sulla scrivania del
ministro è arrivato uno studio delloSvimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria del Mezzogiorno, che avrebbe stimato in 3,1 miliardi di euro annui l’incidenza del piano sul Pil nazionale nel periodo 2018-2023. Vuol dire che nell’intero arco temporale di sviluppo il prodotto interno lordo italiano potrebbe beneficiare dell’iniezione di 19 miliardi di euro. Lo Svimez nel suo tudio segnala inoltre che solo 1 dei 3 miliardi annui lascerebbe la Puglia, e pertanto darebbe un contributo importante al rilancio del Mezzogiorno ruotando su tre assi principali: effetti diretti, come la produzione; effetti indiretti, come i servizi acquistati, ed effetti indotti, quali più consumi per il rilancio occupazionale. Svimez ha calcolato che, nell’intero periodo di attuazione del piano, la produzione potrà sostenere 51mila posizioni lavorative (unità lavorative annue), tra aggiuntive e consolidate. Circa 42mila sono attese in Puglia, 9mila nel resto d’Italia con il Centro-Nord ampiamente interessato. In sostanza, secondo questo studio, ogni euro di fatturato realizzato a Taranto “ingloba” quasi 30 centesimi di beni intermedi e servizi prodotti nel resto d’Italia.
Il calcolo, ricorda lo Svimez come riporta il Sole24Ore, è stato fatto sul piano di Am Investco, la cordata guidata da Arcelor Mittal, che ha previsto una produzione nel solo sito di Taranto pari a 6 milioni di tonnellate all’anno di acciaio grezzo, cui si aggiungerebbero altri due milioni tra gli impianti di Genova (produzione ad uso alimentare) e Novi Ligure (automotive) sino al 2023. Dal 2024 a Taranto si passerebbe ad 8 milioni di tonnellate annue. Partendo da questi dati – e dai 2,4 miliardi di nuovi investimenti e 1,1 miliardi di spese per la bonifica – la Svimez ha stimato un impatto sul Pil pari a circa 3,1 miliardi di euro all’anno, in totale quasi 19 miliardi nel periodo di attuazione del piano (2018-2023), più di un punto di Pil. Dopo il 2023 l’impatto sarebbe destinato a salire a 3,9 miliardi annui.
Oltre a riportare i benefici pratici del rilancio dell’Ilva, il quotidiano di Confindustria rileva anche come il rischio di un’eventuale riconversione priva di progetti chiari, sia quello di dar vita ovviamente a una nuova Bagnoli. Riferimento tristemente noto, l’ex sito napoletano dell’Italsider, che a decenni di distanza dalla chiusura fatica ancora a trovare una nuova identità, diviso tra bonifiche mancanti e progetti industriali che procedono con il freno a mano tirato.
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