mercoledì 4 gennaio 2017

ACCIAIO - L'OCCIDENTE RESTA IL MAGGIORE ESPORTATORE DI CAPITALE FISSO - Da "La crisi mondiale della siderurgia" del Gruppo di lavoro 21 febbraio 1848 - III PARTE

Per chi volesse approfondire e leggere integralmente questo lavoro, scrivere a: pcro.red@gmail.com - o tel. 3475301704

L’industria siderurgica della Cina
Oggi, in Cina, il comparto siderurgico, con quasi tre milioni di addetti, genera almeno il 4% del Prodotto interno del paese e rende conto del 18% del suo consumo di energia; quasi il doppio del consumo energetico domestico. Nel 1995 la Cina fabbricava 90.000 tonnellate di prodotti siderurgici acciaio all’anno, nel 2008 la produzione raggiungeva il mezzo milione di tonnellate e nel 2014 ha toccato il punto più alto con oltre 800.000 tonnellate. Si è trattato di una crescita costante, non interrottasi neppure dopo la crisi del 2008, come invece è accaduto nel resto del mondo, e questo grazie agli ingentissimi sussidi statali al settore delle infrastrutture e dell’edilizia. Così come non è diminuito neppure in quegli stessi anni, il “consumo apparente” di acciaio (nel grafico, quello della Cina è compreso in quello dell’Asia). Quest’ultimo dato non riflette però fedelmente il reale utilizzo
dell’acciaio perché è calcolato sommando tra loro la produzione nazionale e l’importazione di prodotti siderurgici e sottraendo da questa somma le esportazioni. In altre parole, il consumo apparente esprime la quantità di prodotti siderurgici presenti nel paese, compresi quelli immagazzinati. In ogni caso, dal 2014 il consumo di acciaio ha iniziato a contrarsi anche in Cina e nel 2015 si è registrato un calo del consumo apparente del 6%....
Ma lo straordinario incremento della produzione cinese di acciaio è stato possibile solamente in virtù della importazione dall’occidente di una massa enorme di beni capitali ad elevato contenuto tecnologico per l’industria siderurgica. Se si considerano le acciaierie del paese che rientrano negli standard governativi, tanto quelle private quanto quelle di proprietà dello Stato, sono di provenienza europea, statunitense o giapponese almeno l’80% delle attrezzature e dei macchinari impiegati per i processi che generano i semilavorati... l’85% di quelli installati per la trasformazione dei primi in prodotti finiti, il 65% per quanto riguarda gli impianti e le attrezzature per la generazione di energia, e infine il 90% dei sistemi di controllo, analisi etc...
Il capitale nell’ultimo ciclo espansivo dell’accumulazione dei primi anni Duemila
Il ciclo espansivo apertosi con l’industrializzazione della Cina ha rappresentato per il capitale del
centro l’occasione per una nuova e straordinaria fase di investimenti in capitale fisso: fabbriche, miniere, pozzi petroliferi e di gas on shore ed off shore, oleodotti, dighe, parchi eolici e solari, centrali elettriche e reti di distribuzione dell’energia, porti, flotte mercantili, linee ferroviarie e materiale rotabile, autostrade, ponti, aeroporti, una crescita smisurata del settore delle costruzioni etc etc. Mentre nei paesi del centro imperialista, là dove il capitale ha raggiunto prima il massimo grado di ampiezza e densità, gli investimenti in capitale fisso... si attestano da decenni intorno al 18-20% del prodotto interno lordo... nei paesi BRICS e negli altri “emergenti”... il tasso d’investimento in capitale fisso, si è mantenuto per oltre un decennio intorno al 45-48% del PIL...
...nei capitalismi più “giovani”: in questi ultimi infrastrutture e impianti devono essere costruiti ex novo (greenfield investments), mentre nelle nazioni di antica industrializzazione si tratta prevalentemente di installare i nuovi macchinari che la ricerca più avanzata ha progettato (brownfield investments)... E, fermo restando che le produzioni ad altissimo contenuto tecnologico rimangono concentrate soprattutto in Europa, Stati Uniti e Giappone, le imprese del centro imperialista non hanno neppure remore a esportare i loro impianti produttivi più sofisticati dal momento che il livello di sviluppo capitalistico delle nazioni del centro è talmente più avanzato da rendere sempre più incolmabile lo scarto tecnologico esistente nei confronti dei paesi periferici. Ma se in termini quantitativi sono maggiori gli investimenti che il capitale realizza nelle periferie, l’espansione della produzione nei paesi cosiddetti emergenti non comporta affatto che il capitale del centro rinunci a perseguire l’aumento della produttività della forza lavoro nella propria industria nazionale: la costante ricerca dell’aumento della forza produttiva della forza lavoro (con il conseguente crescere della composizione organica e con gli incrementi decrescenti di plusvalore che ne conseguono) è “istinto immanente e tendenza costante” del capitale, istinto che gli viene dettato dalla sua stessa natura: il capitale è concorrenza non solamente tra capitalisti e operai ma anche tra gli stessi capitalisti. E così se in una acciaieria del Brasile viene installato il più moderno treno di laminazione della Siemens, questo vuol dire che esso è operativo anche in una acciaieria di Lintz o di Dusseldorf...

La Cina, pur in presenza di un’inarrestabile caduta della domanda interna, non può ridurre significativamente l’eccesso strutturale di offerta della propria siderurgia anche a causa di altri fattori. Le acciaierie che dovrebbero abbattere la produzione o fermarla definitivamente sono soprattutto quelle più obsolete, tutte di proprietà o sotto il controllo di enti pubblici o delle province oppure delle municipalità, che nella maggior parte dei casi rispondono innanzitutto a criteri di stabilità sociale perché sono le uniche imprese che nelle regioni più povere garantiscono posti di lavoro nell’industria e che in caso di mancati profitti possono ricorrere al credito statale o ai prestiti semiufficiali delle cosiddette banche ombra, anche quando il loro indebitamento supera di gran lunga il loro fatturato. Il ministero delle Risorse umane e della Sicurezza sociale ha calcolato che la ristrutturazione del comparto minerario del carbone e di quello siderurgico comporterebbe la perdita di almeno 2 milioni di posti di lavoro e la necessità di reperire immediatamente 25 miliardi di dollari per far garantire un minimo reddito ai lavoratori licenziati in attesa di un loro reinserimento; non si sa in quali settori visto che nessuno è in espansione e che migliaia di altre imprese improduttive, le imprese “zombie” che sopravvivono solo con i finanziamenti pubblici, dovranno essere chiuse in molti altri comparti a partire da quelli del cemento e della cantieristica navale. Dunque, l’offerta sui mercati internazionali di acciaio cinese a costi marginali è destinata a perdurare; e a continuare a contribuire alla caduta del prezzo dei prodotti siderurgici e delle materie prime che entrano nel ciclo dell’acciaio...

La sovrapproduzione mondiale di acciaio prossima ventura
Nell’area Nafta (Canada, Stati Uniti e Messico) si dovrebbe avere nel corso del 2016 un aumento della capacità produttiva di solo 1 milione di tonnellate... in conseguenza della chiusura di due altiforni in Canada ed uno negli Stati Uniti. Per il 2017 è prevista l’entrata in funzione di nuovi impianti che aumenterebbero la capacità produttiva, via EAF, di 1,2 milioni di t/a. In Europa non sarebbe prevista, da qui a due anni, l’accensione di nuovi impianti BF-BOF e neppure di nuovi forni ad arco elettrico. Un aumento di capacità produttiva non sarebbe previsto neppure in Giappone dove è già avvenuta la chiusura nel 2015 di due impianti EAF ed è imminente lo spegnimento di un altoforno con capacità di 1,4 milioni di tonnellate l’anno, e in Corea dove nel 2015 la capacità produttiva è stata abbassata di 2,7 milioni di tonnellate con la chiusura definitiva di impianti BF-BOF giunti alla fine della loro “campagna”... In Turchia sono stati sospesi i progetti relativi a un impianto a ciclo indiretto e due a forno elettrico che avrebbero avuto una capacità produttiva complessiva di 3 milioni di tonnellate di acciaio all’ anno.
Per quanto riguarda la CIS, la Confederazione degli Stati Indipendenti nata dalla dissoluzione dell’URSS... si profilerebbe un aumento della produzione di acciaio a un tasso dello 0,9% all’anno e nel 2017, nell’insieme della CIS, si arriverebbe a un aggravamento dell’eccesso di capacità produttiva per almeno altri 4 milioni di tonnellate.
Anche il quadro che si delineerebbe in America Latina nei prossimi anni, se tutti i progetti in corso dovessero passare alla fase produttiva, sarebbe quello di un ulteriore aggravamento della sovrapproduzione, soprattutto per quanto riguarda il Brasile... Mentre in Argentina e in Cile non è prevista la accensione di nuove acciaierie, la Bolivia e l’Ecuador hanno invece in programma la costruzione dei loro primi impianti a ciclo integrato in cooperazione con imprese cinesi e in Venezuela è in fase di completamento la costruzione a Ciudad Piar di un’acciaieria... In America Latina da una quindicina di anni la domanda di acciaio, trainata soprattutto dalle infrastrutture e dal comparto oil & gas, è aumentata ad un tasso superiore a quello della crescita della produzione di modo che il continente, nel suo insieme, non ha raggiunto l’autosufficienza ed è divenuto importatore netto di prodotti siderurgici finiti.
Il contributo maggiore all’aumento della sovrapproduzione mondiale di prodotti siderurgici verrebbe dalle nazioni dell’Asia con l’eccezione, come detto, di Giappone e Corea. Taiwan, che attualmente è la quarta produttrice di acciaio in Asia, non dovrebbe aumentare significativamente la propria capacità produttiva mentre, al contrario, stanno andando avanti i programmi di espansione del comparto siderurgico in Vietnam, in Indonesia e nelle Filippine... La nazione asiatica che ha in corso i progetti più faraonici nel comparto siderurgico è l’India, l’unico paese al mondo, tra i grandi produttori di acciaio, dove nel 2015 la produzione non è diminuita...(CONTINUA)

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