DOMENICO PALMIOTTI
TARANTO - La nuova proprietà dell’Ilva,
dopo i Riva, non c’è ancora, nulla si sa di quanto intenderà produrre e
con quanto personale, eppure quanto sta per accadere nel siderurgico
viene interpretato come una specie di prova generale. L’anticipazione di
quell’Ilva più «magra», in termini di occupazione, che in molti
ritengono si avrà con la nuova gestione. Sul tavolo c’è infatti la cassa
integrazione per Taranto. Ilva e sindacati cominceranno a discuterne
dopodomani mattina.
Con la scadenza dei contratti di
solidarietà, da marzo si profila infatti un ricorso alla cassa per
4-5mila
dipendenti. La stima è dei sindacati. Il fatto che l’Ilva sia orientata ad usare la cassa integrazione anzichè i contratti di solidarietà utilizzati negli anni scorsi, era già noto. Fonti vicine all’azienda l’avevano già anticipato e il cambio di ammortizzatore sociale sarebbe determinato dal fatto che non sarebbe più possibile usare la solidarietà. «Ma al di là dello strumento - dichiara Antonio Talò, segretario Uilm Taranto - va osservato che adesso, sul piano economico, non è che ci sia grande differenza tra la cassa integrazione e i contratti di solidarietà perchè entrambi sono attestati sugli stessi massimali. Il punto vero, invece - prosegue Talò -, è che i lavoratori perdono, in media, dai 130 ai 150 euro al mese e quindi bisogna trovare modi e mezzi per compensare questo taglio del reddito. Noi l’abbiamo già detto già al vice ministro del Mise, Teresa Bellanova, e pure la Regione Puglia deve darsi da fare. Certo, un altro anno di solidarietà sarebbe possibile, ma servirebbe una deroga».
dipendenti. La stima è dei sindacati. Il fatto che l’Ilva sia orientata ad usare la cassa integrazione anzichè i contratti di solidarietà utilizzati negli anni scorsi, era già noto. Fonti vicine all’azienda l’avevano già anticipato e il cambio di ammortizzatore sociale sarebbe determinato dal fatto che non sarebbe più possibile usare la solidarietà. «Ma al di là dello strumento - dichiara Antonio Talò, segretario Uilm Taranto - va osservato che adesso, sul piano economico, non è che ci sia grande differenza tra la cassa integrazione e i contratti di solidarietà perchè entrambi sono attestati sugli stessi massimali. Il punto vero, invece - prosegue Talò -, è che i lavoratori perdono, in media, dai 130 ai 150 euro al mese e quindi bisogna trovare modi e mezzi per compensare questo taglio del reddito. Noi l’abbiamo già detto già al vice ministro del Mise, Teresa Bellanova, e pure la Regione Puglia deve darsi da fare. Certo, un altro anno di solidarietà sarebbe possibile, ma servirebbe una deroga».
«Sappiamo che con la cassa integrazione
ci troveremo dinnanzi a numeri più alti rispetto alla solidarietà -
annuncia Valerio D’Alò, segretario Fim Cisl Taranto - ma l’azienda non
ci ha ancora fornito il quadro. C’è anche una ragione tecnica che spiega
i numeri più alti: con la cassa integrazione, i reparti si fermano da
una data ad un’altra. Con la solidarietà, invece, c’è più elasticità di
gestione. Noi domani - aggiunge D’Alò - avvieremo solo il confronto e
poi, area per area, faremo gli approfondimenti necessari». «Attestarsi
tra i 4mila e i 5mila cassintegrati è possibile - commenta Talò -. Oggi
la solidarietà coinvolge 3mila addetti ma l’ultima cassa all’Ilva,
l’abbiamo fatta nel 1999 per poco più di 6mila unità».
Nuove fermate di impianti per lavori di
ammodernamento e mancanza di ordini: queste, per i sindacati, le ragioni
che spingono l’azienda a chiedere ulteriori ammortizzatori sociali.
«Non c’è molto lavoro - dice D’Alò -. L’intera area dei tubifici resta
ferma e in questa situazione di transizione, tra gestione commissariale e
nuova proprietà in arrivo, è anche difficile che i grandi committenti
si rivolgano all’Ilva. Prima vogliono vedere come va a finire».
I sindacati evidenziano che tutto il
discorso sulla proroga degli ammortizzatori non è legato ai piani
industriali di chi, dopo la cessione, prenderà l’Ilva (le offerte
vincolanti dovrebbero essere presentate, salvo proroga, l'8 febbraio) .
«Quello è un altro discorso - commenta Talò -. Di Arcelor Mittal con
Marcegaglia non sappiamo, mentre di Arvedi, che è in cordata con altri
partner tra cui Cdp, fu detto che nel 2018, a risanamento concluso, si
sarebbe attestato su 8mila addetti».
Intanto l’Ilva è scesa sotto gli 11mila
dipendenti: «Al 31 dicembre - aggiunge il segretario Uilm - erano
10.974. Chi ha potuto, è andato via con la mobilità incentivata. Molti
l’hanno legata pure alla pensione». Erano 11.450 quelli in servizio
l’anno scorso secondo il numero indicato nel documento consegnato giorni
fa alla commissione Industria del Senato che ha effettuato a Taranto
delle audizioni. E i sindacati rilanciano anche il tema dell’amianto: va
proseguita la bonifica, certo, ma si vuol vedere se attraverso il
riconoscimento all’esposizione, che determina criteri pensionistici
agevolati, si può ridurre altra manodopera come già avvenuto in passato.
«Forse sei-settecento unità - spiega Talò - potrebbero essere
assorbite. E’ evidente che abbiamo bisogno di una serie di strumenti per
gestire in modo meno traumatico possibile l’impatto che la
ristrutturazione dell’Ilva avrà sulla forza lavoro».
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