mercoledì 31 gennaio 2018

Dalla testimonianza di un lavoratore Ilva al processo “Ambiente svenduto” emergono le truffe (conosciute e coperte) delle ditte terze e il menefreghismo dei capi Ilva per la sicurezza degli operai

Il lavoratore si occupava della vigilanza delle imprese operanti dentro lo stabilimento Ilva e, per questo, girava tutta la fabbrica.
Da quando ha incominciato a denunciare quello che succedeva è stato destinato esclusivamente al servizio trasporto personale.

Il lavoratore ha raccontato come il materiale che l’Ilva pagava e che doveva essere trasportato e montato nei reparti, in realtà non entrava, entravano solo le carte, o veniva utilizzato dalle ditte per fare propri lavori e non veniva più destinato ai reparti Ilva, o addirittura veniva venduto o passato di mano.
Tra i vari casi, ha riferito di un caso in cui entrò nello stabilimento un camion carico di cemento che doveva essere destinato alla pavimentazione del Treno Nastri, ma invece di andare nel reparto, fu utilizzato per effettuare pavimentazione ad una ditta terza, il cui titolare era il suocero del nuovo responsabile della vigilanza Ilva, Blasi.
Quindi, queste ditte dovevano lavorare all’interno dei reparti Ilva, invece succedeva qualcosa di diverso, più volte venivano trovate nell’Area Impresa. E benchè il lavoratore segnalasse la cosa al responsabile, Di Maggio Francesco, ex maresciallo dei Carabinieri, non succedeva nulla. Anzi, da queste segnalazioni erano iniziati i suoi guai.

Un'altra situazione anomala era l'esistenza di aziende con pochissimi operai che avevano una mole di ordini di lavoro... , mentre c’erano ditte con duecento persone e zero lavoro! E' evidente come le prime ditte utilizzassero il subappalto.

Poi il lavoratore ha parlato dello stato delle gru, in una delle quali nel novembre 2012, il giorno del tornado, morì Zaccaria. Il cavo della fune di quella gru – ha detto - era completamente rovinato ma mai nessuno era andato a verificarla. Ma anche in questo caso Francesco Di Maggio, informato, gli disse di non preoccuparsi.
Venivano autorizzati alla circolazione mezzi che era impossibile far circolare, senza luci, senza portelle, senza vetri, senza sedili.
Quindi è tornato al giorno del tornado: incominciò a piovere, vento… ho incominciato a vedere le lamiere volare, e io dovevo scappare a 40 all’ora, perché i pullman dell’Ilva erano limitati a 40

all’ora. Nessun responsabile Ilva si è premurato di dirmi: “Vedi che ti sta arrivando il tornado dietro le spalle”. Ho incominciato a correre con il pullman a 40 all’ora, sul lato destro avevo l’Acciaieria 2 ed era completamente invasa da fumo nero, non si vedeva niente. Non avevo una maschera e non avevo nulla - nulla! - da potermi proteggere.

A sinistra avevo l’area ossigeno, dove tutto il personale di sicurezza del reparto correva fuori dallo stabilimento e le sirene dicevano di evacuare lo stabilimento. Io sono arrivato presso le portinerie e non trovavo più il personale di vigilanza e vedevo gli operai che correvano, tutti i responsabili che correvano. Io me ne volevo andare ma nessuno me ne faceva andare. Anche perché, a quanto pare, io non potevo andare via da quello stabilimento essendo tecnico all’antincendio. Mi sono recato in infermeria dello stabilimento perché ho incominciato ad avvertire i miei primi sintomi che non stavo bene, mi sentii male. Io sono morto il giorno del tornado! -ha continuato il lavoratore - A destra fumo nero, a sinistra ossigeno che rischiava di scoppiare.
Subito dopo il tornado ho incominciato a lamentarmi nei confronti dell’azienda, chiedendo durante le riunioni alla sicurezza che facevo con i miei responsabili che noi lavoratori non fossimo messi a rischio. Chiedevo almeno una radio e una mascherina, non i livelli, non i soldi, ma radio e mascherina.

Dal giorno del tornado, ho giurato che i miei diritti me li sarei fatti rispettare da solo!

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