venerdì 6 gennaio 2023

Dalle assemblee operaie di Acciaierie d'Italia/Appalto avanza la critica di base. 11 gennaio appuntamento con lo Slai Cobas ore 6 alle portinerie




La partecipazione alle assemblee esterne è stata nettamente inferiore alle aspettative: solo circa metà piazzale era riempito alla portineria appalto, poco meno di un centinaio erano presenti fuori la direzione.

Alla portineria imprese
della partecipazione insufficiente si sono lamentati diversi interventi fatti a nome delle segreterie (fatti dai quadri che si occupano degli appalti), che hanno citato il fatto di essere stati “costretti” a semi-chiudere il cancello e a ripetere a chi entrava che le 2 ore di assemblea erano comunque retribuite, considerazione condita dal solito ritornello recriminatorio “andatelo a dire ai colleghi che sono entrati che questa è l’ultima carta da giocare, persa questa battaglia non ce ne saranno altre e, soprattutto, poi non venissero da noi a lamentarsi se non hanno fatto la loro parte”.
È seguita poi la denuncia del decreto, che elargisce altre centinaia di milioni di euro a questa direzione per saldare i debiti, principalmente coi fornitori di energia, rinnova l’immunità penale, senza dare niente agli operai, senza risolvere i problemi di reddito e sicurezza degli impianti che si aggravano di giorno in giorno.
Infine, è stato presentato il nuovo programma di mobilitazione.
In vista della convocazione di un tavolo al ministero per il 19, dove saranno presenti, tra le altre, la direzione di Accierie e anche le segreteria nazionali, lo sciopero del 10 manifestazione a Roma l’11 sono posticipate al 18 e 19.
Per l’11 è convocata una conferenza stampa a Roma dove saranno presenti tutti i delegati delegati rsu del consiglio di fabbrica, compresi quelle dell’appalto, e i rappresentanti delle amministrazioni locali, sindaci e presidenti di provincia e Regione, per rivendicare un cambio di governance e un diverso ruolo pubblico nella gestione della fabbrica e un diverso intervento, anche legislativo, che dia soluzione ai problemi di lavoro e salute non solo della fabbrica ma di tutta la città e territori.
Nel frattempo, per dare forza a questa posizione, tra i lavoratori si terrà un referendum consultivo che richiede un “intervento diretto dello Stato attraverso una ricapitalizzazione immediata nell’attuale gestione di Acciaierie d’Italia” che estrometterebbe l’attuale CdA, nazionalizzarebbe di fatto la fabbrica nella prospettiva di un “processo di transizione ecologica e sociale”.
Resta l’importanza decisiva dello sciopero, rinviato anche per non “stressare troppo i lavoratori” e di portare alla manifestazione quanti più operai e possibile.
L’assemblea si è chiusa dopo appena un’ora, con solo un paio di interventi di lavoratori non dirigenti o delegati sindacali, che hanno ribadito l’importanza di convincere i compagni di lavoro sfiduciati a scioperare e manifestare a Roma.

Alla direzione
Presenti i segretari Brigati, Sperti e Rizzo L’assenza di amplificazione ha reso molto difficile comprendere esattamente gli interventi, specie quelli dalla platea.
Brigati ha cercato di spiegare la visione “strategica” della situazione e della proposta di mobilitazione: unirsi su una base condivisa, l’accordo del 6 settembre 2018, che pone il 2023 come termine per la ricollocazione dei CIGS in Ilva AS e la rimozione del principale ostacolo alla sua attuazione, la attuale governance aziendale; inchiodare il governo che si fregia di “eletto dal popolo” a fare quello che vuole il popolo, rappresentato dagli amministratori locali e rappresentanti dei lavoratori parimenti eletti che saranno a Roma l’11 e dall’esito, scontato, del referendum; rivendicare una soluzione generale per la fabbrica e tutto il territorio, la si chiami Legge Taranto, accordo di programma o comunque si vuole, che garantisca lavoro e salute ai lavoratori e non solo.
Poi Sibilla, intervenuto dalla platea “come semplice lavoratore, non come segretario”, ha ripetuto il suo attacco: “i lavoratori non di difendono salvando la fabbrica ma chiudendola”, rivendicando la vittoria del ricorso alla Corte Europea e la lotta “partita dai fatti dell’agosto 2012”.
Lorenzo, cassaintegrato Slai Cobas, è intervenuto chiarendo di non essere affatto d’accordo sulla chiusura ma che è altrettanto illusorio pensare che un cambio di direzione possa risolvere il problema, pubblica o privata, fino a quando lo scopo della proprietà della fabbrica sarà il profitto, per i lavoratori non ci sarà mai nessuna soluzione. Quanto al problema della partecipazione, il ruolo del sindacato non è “supplicare” la partecipazione ma proporre e organizzare lotte e quando lo fa seriamente, gli operai rispondono.
Altri operai sono intervenuti ma si è capito solo sommariamente quanto dicevano. In generale lamentavano il basso livello di partecipazione, la fumosità delle rivendicazioni, la necessità di bloccare a Taranto non marciare a Roma “per noi Roma è qua a 200 metri, non a 600 chilometri”.
Rizzo ha replicato esprimendo in sintesi e semplicemente la linea.
Altrove, a Genova, Trieste ecc., si sono imposte soluzione che hanno garantito lavoro e salute perché c’è stata una compattezza che invece a Taranto è sempre mancata. Perciò oggi possiamo e dobbiamo fare tre cose: primo unirci tutti ed essere compatti, in fabbrica e non solo; secondo, fare pesare questa unità; terzo salvare il salvabile, mettendo in sicurezza il reddito e futuro dei lavoratori e delle città.
Nessuna illusione su piani industriali ottimisti o fumose promesse di “de-carbonizzazione” che diano soluzioni “green” a breve. Serve un piano, progetto, legge o quello che sia che preveda investimenti miliardari per una decina di anni, per riconversione, riqualificazione reindustrializzazione o quello che sia, tutelando nel frattempo il reddito tutti i lavoratori, che solo all’undicesimo anno sarebbe remunerativo. Solo lo Stato può farsi carico di questo, mai un privato, per questo mandare a casa Morselli e soci e la nazionalizzazione sono il primo passo necessario”.
Ha concluso Sperti, ribadendo i concetti delle altre segreterie e insistendo che un problema così complesso come quello di AdI e Taranto non lo si può risolvere nell’insieme, ma scomponendolo in singoli passi e risolvendo questi uno per uno, cacciare questa governance e dare risposta al quesito del referendum è il primo. Poi seguiranno gli altri.

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