Il processo Ilva di Taranto, “madre” di tutti i processi per morti da inquinamento, quindi il più importante processo di questa natura mai fatto in questo paese e probabilmente a livello europeo, ha vissuto un'altra giornata importante nell'udienza del 6 dicembre.
Per comprendere quello che in essa è successo bisogna riassumere brevemente la vicenda processuale.
Questo processo è stato praticamente avviato con un'inchiesta della giudice Todisco, supportata dalla Procura, nel 2012, che ha portato sul banco degli imputati padron Riva e la sua famiglia di assassini, l'establishment dell'azienda, ufficiale e segreto, dedito al crimine della produzione per il profitto che ha prodotto 45 morti ufficiali durante la sua gestione, migliaia di operai malati e decine di migliaia di malati e morti da inquinamento tra la popolazione di Taranto. Ma ha portato anche in Tribunale una parte della rete di complicità e di sostegno politico, istituzionale, dagli Enti di (non)controllo, fino ai vertici della Chiesa, a uomini della Digos.
La Procura che ha lanciato il processo ha mantenuto alta la battaglia giudiziaria contro i padroni, che da parte loro hanno cercato di bloccarla in tutte le maniere per continuare a fare ciò che hanno sempre fatto, o di ridurre i danni dell'azione giudiziaria. Sostenuti in questo fondamentalmente dai governi, e nell'ultima fase dal governo Renzi, che con una serie di decreti hanno contrastato in ogni momento l'inchiesta giudiziaria, i provvedimenti di sequestro degli impianti più nocivi.
A questo si sono aggiunti i nemici interni dell'inchiesta, presenti nella stessa magistratura nazionale e tarantina, che l'hanno sostanzialmente ostacolata, rallentata, con errori, limiti, o altro...
Naturalmente, però, il nemico interno all'inchiesta sono stati, super attivi, gli avvocati ben pagati degli imputati, che hanno usato e continuano ad usare tutte le armi, per così dire “legali”, perchè il processo non parta mai, torni sempre, come in un “gioco dell'oca”, al punto di partenza, per cui sembra di essere sempre alle prime udienze, ai preliminari e alle “eccezioni”.
Giuristi, avvocati, giornalisti compiacenti, soggetti affetti da cretinismo giuridico saranno pronti a spiegarci che tutto è nei limiti e secondo ciò che consente la legge. Ma chi è dalla parte degli operai, dei familiari dei morti e dei malati, delle popolazioni del territorio devastato dall'inquinamento, non può che mettere sul piatto la verità di sostanza: siamo a fine 2016, 4 anni e mezzo dalle conclusioni dell'inchiesta, e questo processo è al palo.
Padron Riva è morto (unica giustizia realizzata sembra quello del cielo... o come si dice a Taranto: è la mano di cristo...), ma gli altri sono vivi e vegeti, pieni di soldi in tasca e nei paradisi fiscali, con uno stuolo infinito di avvocati che godono di ottima salute e operano quotidianamente per uscire dal processo e proseguire nel crimine legalizzato della produzione per il profitto.
In tutti questi anni il processo ha unito il dramma umano e sociale, che traspare da ogni singola riga dell'inchiesta e dalla situazione tuttora in corso, fin troppo evidente non solo alla maggioranza dei tarantini ma dell'intero paese, ad una sorta di teatro dell'assurdo che in nessuna maniera qualsiasi persona onesta può chiamare “giustizia”.
L'altro dramma, però, che si vive è che alla presentazione di tantissime parti civili, con un alto stuolo di avvocati, che hanno superato il numero di mille, corrisponde una partecipazione reale al processo di poche decine, essenzialmente costituite da alcuni ambientalisti, qualche familiare e dalle parti civili autorganizzate di operai Ilva, lavoratori cimiteriali, abitanti di Tamburi e Paolo VI raccolte con tenacia dallo Slai cobas per il sindacato di classe, che hanno coperto pressoché tutte le udienze, a volte in forma di rappresentanza a volte di delegazioni consistenti all'interno e all'esterno del processo.
Queste hanno dovuto misurarsi con le teorizzazioni e la politica di associazioni ambientaliste, di sindacati tipo la Fiom, Usb, o dei Liberi e pensanti, ecc. che cavalcano due tigri: una, che è meglio non essere presenti durante le udienze processuali altrimenti si dà il destro a chi vuole il trasferimento del processo da Taranto – una campagna di ignobile stupidità; l'altra, secondo cui quello che conta è l'avvocato e far parlare i segretari in televisione (disgustosa la presenza una sola volta all'inizio del processo di Landini, giulivo e cantante, per mostrarsi in televisione; come indecente l'Usb, presentatasi come parte civile dalla segretaria nazionale all'ultimo segretario Ilva e mai presente a nessun titolo al processo; come indecenti i Liberi e pensanti che fanno lo stesso.
Risultato in Tribunale hanno dominato e dominano i cavilli degli avvocati, il galateo tra avvocati e avvocati e giudici, che hanno portato al risultato che il processo è ancora all'inizio.
Risultato in Tribunale hanno dominato e dominano i cavilli degli avvocati, il galateo tra avvocati e avvocati e giudici, che hanno portato al risultato che il processo è ancora all'inizio.
Su questo c'è stata una battaglia, con alti e bassi, che va condotta e che conduciamo, assai vicina a quella che si sviluppa in grandi e piccoli processi di questo genere.
Ma la pazienza ha un limite! Perchè al di là di teorie complottarde che non ci appartengono, un'altra sostanza è cominciata ad emergere. Con il cambiamento della Procura - il precedente Procuratore Sebastio posto a riposo dal governo, come è avvenuto a Torino col giudice Guariniello - al processo sono apparsi nuovi scenari, il cui protagonista essenziale è il nuovo procuratore, Capristo, che ha cominciato a dichiarare che questo processo era da ridimensionare, da ricondurre – diciamo noi – ad una normale amministrazione di “guardie e ladri”; a cui si è aggiunta la gravità assoluta, e poco stigmatizzata, di dare voce e credibilità in occasione dell'ultimo giovane operaio morto per mano dei commissari governativi che gestiscono l'azienda all'ipotesi che questa morte fosse addebitabile ad un ipotetico “sabotaggio”; fino alle ultime vicende del processo, dove si sono sentiti in tribunale PM che invece di fare il loro mestiere hanno elogiato l'azione dei commissari governativi, sotto la cui egida abbiamo lo stesso numero di morti del periodo Riva, una situazione di insicurezza in fabbrica peggiore dei tempi di Riva, per non parlare degli effetti inquinanti della fabbrica, come dimostrano le denunce sempre più drammatiche, che di tanto in tanto invadono la stampa nazionale e le TV di Stato, frutto di dati e di vite vissute, o meglio di morti annunciate, a Tamburi in particolare.
Poi è cominciata giorni fa una pantomima di accordi segreti di scambio tra le Procure di Milano e Taranto e tra gli avvocati dei Riva e i commissari Ilva, lanciati proprio poco prima del referendum in un twitter da Renzi, in base ai quali, il miliardo in Svizzera dei Riva (sempre quello, usato per ogni ipotesi di piano di bonifica, già impegnato come garanzia per i prestiti bancari di 800 milioni) tornerebbe in Italia, e in cambio passerebbe nel processo il patteggiamento delle società dei Riva, Ilva, Riva Forni Elettrici e l’ex Riva Fire, che così uscirebbero subito dal processo, con le parti civili non risarcite, al massimo solo rimborsate per le spese legali. A questa “porcata” si sta aggiungendo perfino la possibilità che questa volta venga accettata la richiesta di trasferimento del processo.
Come scrive Sole 24 Ore, “col patteggiamento Ilva sarà soggetta a 8 mesi di commissariamento giudiziale affidato sempre a Gnudi, Laghi e Carrubba e verserà 241 milioni di euro a titolo di confisca, quale profitto di reato compiuto tra il 2009 e il 2013 (benchè le stese Procure dicano che i Riva in quel periodo avrebbero risparmiato 1 miliardo e 327 milioni di euro non facendo i lavori necessari per mettere a norma lo stabilimento), e altri 2 milioni come sanzione. Parte di questi soldi andranno alla bonifica dello stabilimento. Più contenuto, invece, l’esborso di Riva Forni Elettrici: circa 2 milioni. Mentre l’accordo (tar le Procure) prevede che Riva versi a Ilva un miliardo e 330 milioni, di cui uno e cento per il risanamento e 230 milioni per la gestione corrente della società. Inoltre Ilva e Riva fanno un passo indietro rispetto alle cause vicendevolmente promosse per gli aspetti societari, ritirandole tutte...”.
Si tratta di un “regalo” non solo per i Riva ma anche per i nuovi padroni (le 2 cordate costituite dalla multinazionale Arcelor Mittal con Marcegaglia e da Arvedi con Cassa Depositi Prestiti e Delfin di Leonardo Del Vecchio ai quali si recente si sono uniti gli indiani di Jindal), per cui con questi accordi lo stabilimento diventa più appetibile. Chi entrerà nello stabilimento ora – come sottolinea soddisfatto il giornale della Confindustria - “potrà concentrare le proprie risorse sul progetto che dal giorno in cui affluiranno effettivamente i soldi a Taranto avrà il suo tempo zero. E a quel punto sarà possibile gestire nella quotidiana operatività il recupero di efficienza gestionale...” Cioè potrà pensare solo alla produzione e ai suoi profitti, senza timore di dover intervenire anche sui problemi della sicurezza e dell'inquinamento.
Questo accordo era stato di fatto preparato nell'udienza precedente, in cui la Procura invece di pensare a respingere il vergognoso attacco frontale fatto dall'avvocato dei Riva ai giudici della Corte d'Assise per giustificare la richiesta di trasferimento del processo, aveva fatto una riformulazione delle accuse ai commissari Ilva che potesse aprire la strada ai patteggiamenti.
Tutto questo mentre 50 milioni per la sanità a Taranto venivano scippati volgarmente, in dispregio di malati, familiari, abitanti dei quartieri inquinati, in dispregio delle loro denunce, proteste, dei drammi gridati da tante donne dei Tamburi che vedono i loro figli non poter essere neanche curati a Taranto e lentamente morire nel colpevole menefreghismo di questo Stato, del governo.
Questi fatti sono calati pesantemente nell'udienza del 6 dicembre come una cappa soffocante che ha visto la sua sintesi nell'intervento personale del procuratore Capristo, che, come scrive il Sole 24 Ore, come un neo gestore dell'acciaieria, della città, “ritiene necessario il patteggiamento se si vuole far avanzare il risanamento dell'acciaieria mettendola in sicurezza”, dichiarando: “servono ulteriori flussi di risorse rispetto a quelli che lo Stato può garantire e questi possono derivare dal patteggiamento”.
E sempre nel processo del 6 viene fatta la comunicazione che la sera prima, il 5 dicembre, vi era stato un nuovo incontro presso il Mise (il cui comitato di sorveglianza aveva dato già il via libera al patteggiamento per Ilva e Riva Forni Elettrici), a seguito del quale vi è stato un altro decreto per cui una delle società, Riva Fire, cambia denominazione in Riva «Partecipazioni Industriali», la società viene posta in Amministrazione straordinaria, con la nomina a suoi commissari degli stessi tre commissari dell'Ilva. La nuova società indica a questo punto un nuovo avvocato di Roma che chiede termini, un tempo lungo, per leggersi tutti gli atti e presentare istanza di patteggiamento.
Mentre un altro avvocato comunica di non difendere più uno degli imputati, avviando così una lunga procedura per la nomina di uno nuovo.
E' evidente che tutti questi fatti hanno anche un chiaro scopo ostruzionista.
Il Presidente della Corte d'Assise, quindi, accoglie la proposta, suggerita anche dal Procuratore, di un congruo rinvio al 17 gennaio delle udienze, dove peraltro resta ancora in campo l'oscena richiesta di trasferimento da Taranto del processo.
A questo punto, quando l'udienza è chiusa. Ma operai Ilva, lavoratori, donne facenti parte delle parti civili autorganizzate, sostenuti dai dirigenti dello Slai cobas, anch'esso parte civile, hanno fatto con forza sentire la loro protesta, facendosi interpreti anche di tanti lavoratori, cittadini non presenti, dell'insieme delle parti civili umiliate da questo sviluppo processuale e dando voce ai senza voce nella città che non stanno ancora partecipando direttamente al processo.
C'è stata rabbia, ma anche ferma determinazione a non accettare questo andamento lento e pilotato.
Dando un primo segnale forte, non tanto ai giudici e avvocati che evidentemente si muovono dentro la formalità delle leggi anche quando sono in evidente contrasto con la sostanza delle questioni, ma allo Stato, ai padroni, e a coloro che vogliono affossare questo processo; insieme ad un segnale agli operai e masse popolari perchè, qualunque sia il grado di fiducia nella giustizia, comprendano che solo la partecipazione operaia e popolare porta nel processo le ragione degli “offesi” e pesa sul futuro del processo stesso.
La madre di tutti i processi non può diventare la madre del più vergognoso inciucio, patteggiamento, compromesso.
Ora è necessario che questa strada venga sbarrata. Le parti civili che hanno animato la protesta chiedono anche ai loro avvocati un combattimento aperto sul terreno legale, non si può “stare alle regole”, quando questo processo ha già rotto le regole, quando si fanno accordi fuori processo, ecc;
fanno appello alle parti civili ad unirsi perchè insieme al danno non ci sia anche la beffa, e lavorano perchè operai e cittadini non deleghino le loro istanze e partecipino direttamente al processo.
Ma, soprattutto, torniamo all'origine della questione. A Taranto si combatte in fabbrica, sul territorio e in Tribunale una battaglia nazionale epocale, e le forze proletarie e popolari, sindacali e politiche di tutto il paese, le forze agenti in tanti processi per morti sul lavoro, per distruzione ambientale, è necessario che scendano in campo in tutte le forme possibili, sin dal 17 gennaio, data della ripresa del processo, perchè questa battaglia venga combattuta e vinta, in nome della solidarietà di classe, dell'unità di classe, della lotta di classe.
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