martedì 24 aprile 2018

L'ArcelorMittal vuole eccome acquisire l'Ilva - Ma sul come, non bisogna aspettare per lottare contro

L’ArcelorMittal per acquisire l’Ilva di Taranto sarebbe disposta a cedere ben 6 stabilimenti in Europa: il centro servizi in Lussemburgo, della Magona di Piombino con una linea di zincatura, di Galati in Romania con un altoforno, di Skopje in Macedonia con lavorazioni a freddo di prodotti piani, di Ostrava nella Repubblica Ceca che ha due altiforni e quattro treni di laminazione.

Oltre questi stabilimenti la ArcelorMittal dismetterebbe in Belgio alcune linee (di galvanizzazione, di decapaggio a caldo e a freddo, altre laminazioni a freddo e di banda stagnata).

In termini di lavoratori queste cessioni comporterebbero ben 15mila licenziamenti.

Praticamente è come se l’occupazione dei lavoratori diretti del gruppo Ilva, sarebbe possibile con la perdita del posto di lavoro di un numero quasi pari di altri operai negli altri paesi.

Una evidente contrapposizione tra operai, che per dei sindacati, italiani, che sono collegati agli altri sindacati dei paesi europei, non dovrebbe essere accettata.



Ma questo dimostra anche una cosa. Che ArcelorMittal vuole eccome l’Ilva – prima fabbrica siderurgica in Europa a ciclo integrale – non se la lascerà scappare, perché le permette di occupare una postazione strategica nella guerra dell’acciaio a livello mondiale.

Questo fa chiarezza rispetto a voci, anche dall’interno del governo, che influenzano anche gli operai dell’Ilva, per cui ci sarebbe il pericolo che la Mittal rinunci all’Ilva e quindi bisogna trattare al massimo. Cosa che frena, e lascia in attesa preoccupata gli operai, invece che scendere subito in lotta contro i nuovi prossimi padroni e i loro piani di esubero, di attacco ai salari, cancellazione dei diritti, e l’assoluto insufficiente impegno sul fronte delle bonifiche.

Gli operai quindi non hanno da aspettare per scendere in lotta, né soprattutto da farsi ricattare.



Nello stesso tempo vi sono gli altri deviazionisti. Quelli che vogliono illudere i lavoratori, le loro famiglie che non sarebbe un problema la chiusura dell’Ilva perché si può trovare altrettanta occupazione nei lavori di bonifica o nelle cosiddette “economie alternative” – i Liberi e pensanti e altre associazioni, il sindacato di base Cub hanno su questo redatto un protocollo in cui parlano della possibilità addirittura di 36 mila nuovi posti di lavoro. Una cosa impossibile nell’attuale sistema. Sulle bonifiche lo stesso Marescotti di Peacelink ha detto con buon senso che non potrebbero assolutamente dare lavoro a quasi 18mila operai (tra diretti e indiretti), fermo restando che (ammesso e non concesso che venissero fatti – Bagnoli insegna) sarebbero lavori di pochissimi anni, e toglierebbero occupazione ai tantissimi disoccupati di Taranto.



Quindi, non si sfugge al fatto che la lotta da fare è qui ed ora, per imporre la difesa del lavoro, dei salari, delle bonifiche, della salute.

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