4 Dicembre, siamo scesi nuovamente in piazza a Foggia come lavoratrici e lavoratori delle campagne per dire che non ci arrenderemo fino a che non avremo ottenuto ciò che ci spetta: documenti per tutti, e diritti sul lavoro.
Lo sfruttamento a cui siamo costretti, e la condizione di segregazione in cui viviamo, dipendono anche da una legge, la Bossi-Fini, e dalla sua applicazione in forme particolarmente restrittive da parte di molte questure, che ci privano di qualsiasi diritto negandoci il permesso di soggiorno. Per chi è in Italia da molti anni, ha pagato le tasse e ha lavorato, ed ora subisce le conseguenze della crisi, come per chi è da poco arrivato perché fuggito da situazioni di violenza, instabilità e impoverimento, il governo italiano ed i suoi funzionari non sembrano prospettare null’altro se non irregolarità, abbandono e sfruttamento. Anche davanti ai linciaggi di cui sono vittime i lavoratori come Mamadou Sare, freddato alla schiena lo scorso 21 settembre.
Se il governo vuole mantenere fede al suo impegno di sconfiggere lo sfruttamento del lavoro in agricoltura, il primo passo deve essere quello di riconoscere il permesso di soggiorno per le migliaia di lavoratori che popolano i distretti agro-industriali di questo paese, come già avvenne dopo le mobilitazioni dei lavoratori africani di Rosarno nel 2010. E dare alternative concrete e degne di questo nome alla strutturale emergenza abitativa di chi vive in baraccopoli ed edifici fatiscenti. Chiamare in causa soltanto il caporalato e reprimerlo come reato mafioso, come proclamare di voler smantellare i ghetti, significa non riconoscere i veri problemi.
Ma le lotte che portiamo avanti ormai da anni stanno cominciando ad incrinare il meccanismo dell’irregolarità: dando ragione a chi manifestava lo scorso 4 settembre, il Ministero dell’Interno ha ammesso che la questura di Foggia (come d’altra parte molte altre in Italia) commette un abuso chiedendo la residenza a chi deve rinnovare il permesso di soggiorno. La questura, sotto la pressione del Ministero, si dovrà adeguare. Molti di noi hanno perso i documenti proprio a causa di questi ostacoli arbitrari che inaspriscono una legge già di per sé ingiusta e razzista.
Il corteo che ha attraversato le strade della città di Foggia ieri pomeriggio si è svolto anche alla luce di un tavolo che ha visto un nuovo incontro tra lavoratori, Prefettura, Questura e Commissione territoriale. Le istituzioni ancora una volta non si sono prese in carico la reale responsabilità politica di una effettiva regolarizzazione dei lavoratori stranieri presenti sul territorio ormai da anni, rimandando le responsabilità al governo centrale. Ci auguriamo che alle parole del questore, che si è impegnato ad esaminare personalmente le richieste di protezione umanitaria da parte dei lavoratori scesi in piazza, seguano azioni concrete. Mentre i maggiori comuni della provincia di Foggia continuano a negare la possibilità di iscrizione anagrafica come senza fissa dimora, nonostante le pressioni della Prefettura.
Il corteo di ieri ha manifestato fermo e compatto gridando forte e chiaro nelle piazze e nelle strade di una città ancora una volta stupita, che l’unione di italiani e stranieri, lavoratori e disoccupati, è il solo modo per costruire un reale rapporto di forza tra sfruttati e sfruttatori. Il corteo di ieri è stato animato dai tanti interventi che hanno ribadito a gran voce che le condizioni di sfruttamento sul lavoro riguardano tutti, e che i responsabili e saccheggiatori di questo territorio sono i padroni della filiera agro-industriale, le organizzazioni dei produttori, la grande distribuzione organizzata che trae i maggiori profitti, e le leggi che regolano immigrazione, lavoro e agricoltura. Consapevoli che quello che succede a Foggia non rappresenta un caso isolato: gli abusi e le decisioni arbitrarie delle questure e degli uffici amministrativi sono noti purtroppo in tutta Italia, abusi che producono irregolarità diffusa, isolamento e marginalità. Per questo è necessario ampliare e diffondere la lotta anche altrove, ben sapendo che la condizione dei lavoratori delle campagne non è diversa da quella di persone straniere che vivono e lavorano in altri luoghi e in altri settori, subendo gli stessi ricatti e le stesse privazioni
La giornata di ieri ha dato prova che l’unione tra le lotte è già forte. Tra i molti che hanno manifestato a fianco dei lavoratori e delle lavoratrici delle campagne, erano presenti anche i facchini della logistica di Bologna, che hanno portato con la loro presenza diretta una solidarietà concreta. Ci auguriamo che queste relazioni possano crescere e consolidarsi nei prossimi mesi, così come ci auguriamo che possano crescere la rabbia e la determinazione di chi decide di alzare la testa e ribellarsi!
Comitato lavoratori delle campagne
Rete Campagne
Lo sfruttamento a cui siamo costretti, e la condizione di segregazione in cui viviamo, dipendono anche da una legge, la Bossi-Fini, e dalla sua applicazione in forme particolarmente restrittive da parte di molte questure, che ci privano di qualsiasi diritto negandoci il permesso di soggiorno. Per chi è in Italia da molti anni, ha pagato le tasse e ha lavorato, ed ora subisce le conseguenze della crisi, come per chi è da poco arrivato perché fuggito da situazioni di violenza, instabilità e impoverimento, il governo italiano ed i suoi funzionari non sembrano prospettare null’altro se non irregolarità, abbandono e sfruttamento. Anche davanti ai linciaggi di cui sono vittime i lavoratori come Mamadou Sare, freddato alla schiena lo scorso 21 settembre.
Se il governo vuole mantenere fede al suo impegno di sconfiggere lo sfruttamento del lavoro in agricoltura, il primo passo deve essere quello di riconoscere il permesso di soggiorno per le migliaia di lavoratori che popolano i distretti agro-industriali di questo paese, come già avvenne dopo le mobilitazioni dei lavoratori africani di Rosarno nel 2010. E dare alternative concrete e degne di questo nome alla strutturale emergenza abitativa di chi vive in baraccopoli ed edifici fatiscenti. Chiamare in causa soltanto il caporalato e reprimerlo come reato mafioso, come proclamare di voler smantellare i ghetti, significa non riconoscere i veri problemi.
Ma le lotte che portiamo avanti ormai da anni stanno cominciando ad incrinare il meccanismo dell’irregolarità: dando ragione a chi manifestava lo scorso 4 settembre, il Ministero dell’Interno ha ammesso che la questura di Foggia (come d’altra parte molte altre in Italia) commette un abuso chiedendo la residenza a chi deve rinnovare il permesso di soggiorno. La questura, sotto la pressione del Ministero, si dovrà adeguare. Molti di noi hanno perso i documenti proprio a causa di questi ostacoli arbitrari che inaspriscono una legge già di per sé ingiusta e razzista.
Il corteo che ha attraversato le strade della città di Foggia ieri pomeriggio si è svolto anche alla luce di un tavolo che ha visto un nuovo incontro tra lavoratori, Prefettura, Questura e Commissione territoriale. Le istituzioni ancora una volta non si sono prese in carico la reale responsabilità politica di una effettiva regolarizzazione dei lavoratori stranieri presenti sul territorio ormai da anni, rimandando le responsabilità al governo centrale. Ci auguriamo che alle parole del questore, che si è impegnato ad esaminare personalmente le richieste di protezione umanitaria da parte dei lavoratori scesi in piazza, seguano azioni concrete. Mentre i maggiori comuni della provincia di Foggia continuano a negare la possibilità di iscrizione anagrafica come senza fissa dimora, nonostante le pressioni della Prefettura.
Il corteo di ieri ha manifestato fermo e compatto gridando forte e chiaro nelle piazze e nelle strade di una città ancora una volta stupita, che l’unione di italiani e stranieri, lavoratori e disoccupati, è il solo modo per costruire un reale rapporto di forza tra sfruttati e sfruttatori. Il corteo di ieri è stato animato dai tanti interventi che hanno ribadito a gran voce che le condizioni di sfruttamento sul lavoro riguardano tutti, e che i responsabili e saccheggiatori di questo territorio sono i padroni della filiera agro-industriale, le organizzazioni dei produttori, la grande distribuzione organizzata che trae i maggiori profitti, e le leggi che regolano immigrazione, lavoro e agricoltura. Consapevoli che quello che succede a Foggia non rappresenta un caso isolato: gli abusi e le decisioni arbitrarie delle questure e degli uffici amministrativi sono noti purtroppo in tutta Italia, abusi che producono irregolarità diffusa, isolamento e marginalità. Per questo è necessario ampliare e diffondere la lotta anche altrove, ben sapendo che la condizione dei lavoratori delle campagne non è diversa da quella di persone straniere che vivono e lavorano in altri luoghi e in altri settori, subendo gli stessi ricatti e le stesse privazioni
La giornata di ieri ha dato prova che l’unione tra le lotte è già forte. Tra i molti che hanno manifestato a fianco dei lavoratori e delle lavoratrici delle campagne, erano presenti anche i facchini della logistica di Bologna, che hanno portato con la loro presenza diretta una solidarietà concreta. Ci auguriamo che queste relazioni possano crescere e consolidarsi nei prossimi mesi, così come ci auguriamo che possano crescere la rabbia e la determinazione di chi decide di alzare la testa e ribellarsi!
Comitato lavoratori delle campagne
Rete Campagne
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