lunedì 14 luglio 2025

Acciaio Riva, sempre utili in paradiso. E' inaccettabile che nel processo "Ambiente svenduto" le società Riva siano escluse dai risarcimenti alle parti civili

Riportiamo un articolo dal quotidiano "Domani" di Stefano Vergine

12 luglio 2025 • 07:00

Nel 2023 la capogruppo Riva Forni Elettrici (Rfe) ha incassato 3,2 miliardi. La cassaforte con i guadagni è in Lussemburgo. E i giudici del processo “Ambiente svenduto” l’hanno esclusa dai risarcimenti per le parti civili

Era l’estate del 2013, dodici anni fa. La famiglia Riva estromessa dall’Ilva per decisione del tribunale di Taranto. Un evento clamoroso, che ha scatenato polemiche feroci e cambiato la faccia della siderurgia italiana. Sono passate decine di udienze, centinaia di testimonianze, sequestri miliardari, dissequestri, condanne ordinate e annullate.

L’acciaieria più grande d’Europa è ancora lì, di fianco al quartiere Tamburi, con i suoi 20mila lavoratori e una società di nuovo in amministrazione straordinaria dopo il passaggio fallimentare tentato da Invitalia (Stato italiano) e dall’indiana ArcelorMittal.

Anche il processo “Ambiente svenduto” è rimasto in piedi, sebbene spostato a Potenza e alleggerito dalle tante prescrizioni. 

Ma che fine hanno fatto i Riva? Che cosa stanno facendo gli eredi di Emilio e Adriano, i due fratelli

partiti dalla provincia di Varese nel Dopoguerra vendendo rottami di ferro e diventati i re indiscussi della siderurgia italiana per quasi trent’anni?

Dal 2014, quando le redini sono state lasciate da Emilio Riva, numero uno indiscusso del gruppo fin dalla fondazione, la presidenza è andata ufficialmente al suo secondo figlio. Claudio, classe 1956, ha lavorato per anni nelle fabbriche di famiglia, poi nel 2005 si è allontanato per dedicarsi all’attività armatoriale con la Società navali unite Genova. Dopo il cataclisma giudiziario di Taranto, con l’intervento del tribunale pugliese e la morte del padre Emilio, è tornato a occuparsi di acciaio.
La presidenza è andata a lui, anche perché nel frattempo i fratelli Fabio e Nicola erano sotto procedimento per il contestato disastro ambientale causato da Ilva a Taranto. Se però Claudio Riva è oggi il volto pubblico del gruppo siderurgico, capire chi sono i proprietari è molto più complicato.

A differenza del passato, quando la cassaforte del gruppo era basata nel paradiso fiscale di Curaçao, oggi la capogruppo si chiama Riva forni elettrici spa ed è domiciliata in Italia, a Milano. Sembrerebbe tutto molto più semplice, ma l’architettura usata per dividere le quote del gruppo tra i nove eredi diretti di Emilio e Adriano sembra fatta apposta per celarne l’identità al pubblico. La legge italiana lo permette.

Risalendo a ritroso le scatole cinesi si arriva infine a una fiduciaria italiana, la Carini, intestataria delle quote della Riva forni elettrici. Analizzando i nomi degli amministratori dei vari veicoli societari che portano alla Carini fiduciaria, però, si capisce che gli equilibri azionari sono rimasti più o meno invariati rispetto a 13 anni fa, quando a comandare c’era ancora Emilio Riva e la maggioranza delle azioni del gruppo erano sue, mentre il resto era del fratello Adriano. I figli di Emilio sono Fabio, Claudio, Nicola, Daniele, Alessandra e Stefania. Quelli di Adriano sono Cesare e Angelo.

Il gruppo Riva oggi non è più quello di una volta, quando Taranto produceva al massimo e Ilva fatturava 10 miliardi di euro all’anno. Dopo l’inchiesta della procura di Taranto la famiglia è ripartita in silenzio. Ha trasferito il suo baricentro produttivo all’estero.

E oggi non se la passa per niente male. Nel 2023 la capogruppo Riva forni elettrici spa ha fatturato 3,2 miliardi di euro, producendo 4,3 milioni di tonnellate di acciaio, con 5.500 dipendenti sparsi tra Francia Germania, Spagna e Canada.

Anche l’Italia ha il suo posto sul mappamondo produttivo. Nel 2013 su decisione del tribunale di Taranto la famiglia è stata estromessa, oltre che dallo stabilimento Ilva di Taranto, anche da quelli di Genova e Novi Ligure, ma ancora oggi è proprietaria di una manciata di acciaierie tra cui quella storica di Caronno Pertusella, in provincia di Varese, dove tutto è iniziato nel 1954.

L’85 per cento del fatturato del gruppo Riva oggi arriva dall’estero, soprattutto da Francia e Germania. Il 2023 (ultimo bilancio pubblicato) non si è chiuso alla grande. La capogruppo italiana Riva forni elettrici ha registrato un rosso di 121 milioni di euro, anche se l’anno prima aveva messo da parte profitti per quasi 700 milioni. Guardando bene, però, non è Riva forni elettrici la sola società importante. Per analizzare le ricchezze familiari bisogna andare in Lussemburgo.

Nel Granducato è basata la controllata più florida di Riva Forni elettrici. Si chiama Stahlbeteiligungen Holding Sa e, a dispetto del numero dei dipendenti impiegati (1), ha in pancia molto denaro. Alla lussemburghese fanno capo infatti venti società che controllano le varie attività dei Riva nel mondo, tra cui una decine di acciaierie, come quelle di Charleroi, Gargenville, Brandeburgo e Siviglia.

Le partecipazioni in queste società valgono 481 milioni di euro, ma la vera ricchezza è un’altra. Oltre a quasi 250 milioni di euro di liquidità, la Stahlbeteiligungen Holding può infatti vantare utili non distribuiti per 326 milioni di euro. Soldi che, se non verranno investiti nell’azienda, prima o poi finiranno nelle tasche degli azionisti. La società, si legge infatti nell’ultimo bilancio, non ha distribuito dividendi alla controllante italiana, la Riva forni elettrici. E così ha fatto spesso negli anni precedenti, lasciando in Lussemburgo una buona fetta dei profitti accumulati.

Salvata dai risarcimenti

La ricchezza dei Riva è un tema sul tavolo del processo “Ambiente svenduto”, nel frattempo trasferito da Taranto a Potenza. Lo ricorda indirettamente la stessa famiglia nel bilancio consolidato della Riva forni elettrici. Alla voce «rischi legati alle controversie» la società scrive del procedimento per disastro ambientale in corso e ricorda che, in caso di condanna, rischia di dover pagare un risarcimento da 2,1 miliardi di euro. Era il bilancio del 2023, ma nel frattempo le cose sono cambiate in modo molto favorevole ai Riva: pochi giorni fa la giustizia italiana ha escluso la Riva forni elettrici dalla lista dei responsabili civili.

Una decisione che dovrebbe salvare il patrimonio della società anche in caso di condanna. Il 9 giugno il giudice per l’udienza preliminare ha infatti accolto l’eccezione difensiva presentata dagli avvocati del gruppo Riva, stabilendo che Riva forni elettrici spa non ha partecipato alle perizie tecniche ed epidemiologiche svolte durante le indagini preliminari a Taranto.

Dunque, se anche nel processo penale dovessero emergere prove contro di lei, queste non potranno essere utilizzate in eventuali futuri giudizi civili. L’effetto pratico è che la società usata attualmente per coordinare le attività industriali e finanziarie dei Riva non potrà essere toccata in caso di condanna. A rischiare al momento sono solo i fratelli Nicola e Fabio, gli unici eredi coinvolti nel procedimento “Ambiente svenduto”.

La prossima udienza, a Potenza, è fissata per il 15 luglio. I pm dovrebbero concludere con la richiesta di rinvio a giudizio. Rispetto all’inizio, grazie alla prescrizione il numero degli imputati si è dimezzato. Oggi sono una ventina in tutto tra cui, appunto, Fabio e Nicola, gli unici ad aver avuto ruoli di vertice nell’Ilva ai tempi del contestato disastro ambientale. Nel 2021 sono stati condannati in primo grado a 22 e 20 anni, poi il processo è stato dichiarato nullo e ora è tutto da rifare.

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