giovedì 17 luglio 2025

L'intervento dello Slai cobas Taranto a Radio Blackout di Torino sulla situazione all'ex Ilva

L'intervento lo puoi anche ascoltare

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 "...A maggio (in una altra intervista) avevamo detto che la fabbrica era assegnata agli azeri. In realtà subito dopo sono emerse diverse questioni.

Prima fra tutti la questione della nave rigassificatrice. Gli azeri sono specialisti nella vendita, approvvigionamento e fornitura di gas. L'impianto di Taranto era una tappa di questa prospettiva legata innanzitutto al gas. Senza il gas non c'era tutto il resto e l'interesse degli azzeri cadeva. A quel punto è cominciata una sorta di telenovela che si protrae anche in queste ore. La telenovela è che prima si fa la nave rigassificatrice, dopo si assegna eventualmente agli azeri la fabbrica, in cui comunque la produzione sarebbe stata ridimensionata, ma era centrale il gas. E qui sono cominciati i problemi, perché la nave rigassificatrice, comunque la si voglia presentare, è un aggravamento del peso ambientale sulla città. E per di più con una vendita quasi a scatola chiusa per operai e popolazione, della serie: intanto vi prendete la nave e poi si vedrà, gettava ombre su tutto ciò che avrebbe dovuto seguire, l'ambientalizzazione, esuberi, ecc.

Da allora è cominciata da un lato la perplessità generale dei sindacati che però in una sola occasione hanno fatto una effettiva risposta di lotta, e dall'altro è cresciuto a livello cittadino il movimento che dice no a rigassificatore - con due posizioni di fondo, una che dice chiudiamo tutto e buonanotte e l'altra che dà una chance all'ambientalizzazione però pone dei paletti prima fra tutti i rigassificatori.

Qui il governo ha cambiato ritmo ed è passato ad una fase aperta di ricatto verso i lavoratori e la città, con diverse fasi. La fase ultima è: o vi prendete la nave rigassificatrice oppure la fabbrica chiude a fine mese. Chiaramente la fabbrica è entrata estremamente in difficoltà per effetto anche dell’incendio dell'alto forno che ha prodotto come inevitabile conseguenza il blocco, il sequestro dell'altoforno. Il governo ha colto l’occasione per spostare l'attenzione sui magistrati dicendo che sono i magistrati che stanno impedendo che la fabbrica prosegue e di conseguenza stanno allontanando i soggetti che la vogliono comprare.

Ma poi tutto è diventato un ostacolo: la necessità di un accordo di programma che coinvolgesse gli enti locali, che dovevano firmare seduta stante così com'era l'attuale dell'Ilva con una lunga cassa integrazione; era un ostacolo anche voler sapere di più sugli esiti sia occupazionali che industriali. E quindi si è entrati in una fase di ultimatum-ricatto fatto dal governo che intanto però faceva trapelare che gli azeri alla fine potevano non esserci, e che dovevano essere richiamati in campo nuovi soggetti, gli indiani che erano stati per così dire i perdenti e il sempre misterioso fondo Bedrock americano canadese.

Nello stesso tempo si sono sollevate le voci degli industriali dell'acciaio italiani che da un lato hanno detto che forse la nazionalizzazione in questo momento poteva servire per guadagnare tempo e mettere in condizioni di assegnare l'impianto, e dall’altro esprimevano la disponibilità a prendersi l'azienda però in un quadro di spezzatino Genova/impianti del nord.

In questa situazione è scoppiata una fase che potremmo chiamare di “tempesta perfetta” in cui le dichiarazioni di ognuno erano volte a risolvere il problema ma in realtà mandavano tutti in una direzione di non risoluzione. Ora siamo a un ritorno alla casella iniziale però sotto un clima di ultimatum agli operai e alla città.

In questa situazione gli azzeri non è più detto che ci siano e il giornale Sole 24 Ore parla esplicitamente di rientro di Jindal, che intanto hanno preso lo stabilimento di Piombino insieme agli ucraini, facendo arrivare il preridotto dagli impianti di cui dispongono in Oman, e quindi potrebbero anche fare a meno della nave rigassificatrice a Taranto.

Da parte degli industriali italiani, non vedono l'ora di liberarsi di Taranto di mettere le mani sulla siderurgia consociativa e corporativa, perché è tale la posizione di Genova, e Taranto vada a qualcun altro che abbia la possibilità e la voglia.

Si tratta di posizioni inaccettabili, tutte, sia dal punto di vista degli operai sia dal punto di vista della città.

Per gli operai sono in campo le cosiddette “due proposte”. Una che prevede una lunga cassitegrazione che prima doveva durare 11 anni o più e poi sarebbe stata ridotta in realtà a 7-8 anni; intanto si cerca di rimettere su la fabbrica così com'è recuperando altoforni fermi, compreso quello sequestrato dalla magistratura, per cercare di mantenere una produzione accettabile che permettesse a questa fabbrica di continuare ad essere attiva.

Intanto si dovrebbero pianificare tre forni elettrici e tre impianti di produzione del preridotto a Taranto, sempre però alimentati dalla nave di rigassificatrice, che prima doveva essere al centro città perché il porto di Taranto è al centro, poi andava spostata di 12 chilometri (però il governo dice che questo spostamento sarebbe economicamente costoso).

L’altra proposta è: vi prendete solo i tre forni elettrici, spostiamo a Genova il preridotto; il gas eventualmente servisse si sposta a Gioia Tauro; così a Taranto rimangono quattro gatti in fabbrica, con 15mila esuberi effettivi, perché se alla fabbrica togli metà degli operai, metà degli impianti, la realtà è che crolla l'appalto e l'indotto. In questa ipotesi Genova si troverebbe beneficiata di questa vicenda assurda.

Per gli operai ci sarebbero soprattutto esuberi, e una ricollocazione, anche questa assai discutibile per non dire inaccettabile, perché qui il famoso Accordo di programma dovrebbe prevedere tutta una serie di attività date a Taranto in cui convogliare gli esuberi dell'Ilva.

Ma un momento tutte queste attività, che peraltro non c'entrano nulla con l'Ilva – una tra tutte: assumere gli operai in esubero nel pubblico impiego e così via - sono inaccettabili per principio. Non è che non si voglia l'aeroporto o un aumento degli organici nel pubblico impiego, o un'università che funzioni meglio, ecc.; ma non si capisce perché in questo scambio/ricatto dovrebbero andare gli operai dell'Ilva. I cassintegrati Ilva messi fuori sono una classe operai industriale che va diciamo riconvertita o riciclata nelle attività collegate all’Ilva/ ambientalizzazione, non messa a fare gli spazzini, tagliando così anche ogni futuro occupazionale per i tanti disoccupati, precari di Taranto.

Quindi questo Accordo di programma che fa gola ai parassiti della città, sostenuto da una parte dell’ambientalismo, dovrebbe essere lo scambio per l'effettiva trasformazione dell'Ilva in una fabbrichetta. Ecco questo è inaccettabile.

Infine. Chi l'ha mai detto che gli operai e i cittadini debbano essere loro i soggetti che devono risolvere i problemi del capitale? Se il potere passa nelle mani dei lavoratori e del popolo, allora Sì.

Ma che tutto l'ambaradan sindacale e ambientalista debba essere al capezzale del governo, dei piani dei padroni per vedere come possono riprendere i profitti, mantenere in piedi uno straccio di siderurgia e collocarsi meglio nella acuta guerra commerciale mondiale, guerra dei dazi e così via, non si vede perché.

Gli operai sono dall'altra parte - chiaramente la parte consapevole della fabbrica e delle masse popolari della città sono dall'altra parte. Devono fare una lotta anticapitalista. Che oggi significa rigida difesa dei lavoratori e guerra sociale per ottenere le rivendicazioni sociali giuste che riguardano l'ambientalizzazione, la sanità e tutto il resto.

Quindi è un'altra via, che chiaramente è quella che vorremmo noi. Un’altra strada in cui gli operai o la prendono o sono destinati ad essere il famoso “cadavere che passa nel fiume” mentre gli altri fanno profitti".

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