venerdì 18 luglio 2025

Ex Ilva - Il governo Meloni/Urso per conto dei padroni fa approvare l'AIA tamburo battente fingendo di trattare - No a questa Aia/no all'accordo di programma

L'alternativa Slai cobas è un'altra

Punto sulla situazione all’Ilva - da una intervista dello Slai cobas a Radio Blackout Torino

L'intervista è di martedi  16 luglio

La fabbrica doveva essere assegnata agli azeri. Ma è emersa la questione della nave rigassificatrice. Gli azeri sono specialisti nella vendita, approvvigionamento e fornitura di gas. L’impianto di Taranto era una tappa di questa prospettiva. Senza il gas non c’era tutto il resto e l’interesse degli azzeri cadeva. A quel punto è cominciata una sorta di telenovela che si protrae anche in queste ore: prima si fa la nave rigassificatrice, dopo si assegna eventualmente agli azeri la fabbrica, in cui comunque la produzione sarebbe stata ridimensionata, ma era centrale il gas. E qui sono cominciati i problemi, perché la nave rigassificatrice, comunque la si voglia presentare, è un aggravamento del peso ambientale sulla città. E per di più la vendita quasi a scatola chiusa per operai e popolazione, della serie: intanto vi prendete la nave e poi si vedrà, gettava ombre su tutto ciò che avrebbe dovuto seguire, l’ambientalizzazione, esuberi, ecc.

Da allora è cominciata da un lato la perplessità generale dei sindacati che però in una sola occasione hanno fatto una effettiva risposta di lotta con occupazione stradale, e dall’altro è cresciuto a livello cittadino il movimento che dice no a rigassificatore - con due posizioni di fondo, una che dice chiudiamo tutto e buonanotte e l’altra che dà una chance all’ambientalizzazione però pone dei paletti prima fra tutti i rigassificatori.

Qui il governo ha cambiato ritmo ed è passato ad una aperto ricatto verso i lavoratori e la città, con diverse fasi. La fase ultima è: o vi prendete la nave rigassificatrice oppure la fabbrica chiude a fine mese. Chiaramente la fabbrica è entrata estremamente in difficoltà per effetto anche dell’incendio dell’altoforno che ha prodotto come inevitabile conseguenza il blocco, il sequestro dell’altoforno. Il governo ha colto l’occasione per spostare l’attenzione sui magistrati dicendo che sono loro che stanno impedendo che la fabbrica prosegua e stanno allontanando i soggetti che la vogliono comprare. 

Ma poi tutto è diventato un ostacolo: la necessità di un accordo di programma che coinvolgesse gli enti locali, che dovevano firmare seduta stante così com’era l’attuale Ilva con una lunga cassintegrazione; era un ostacolo anche voler sapere di più sugli esiti sia occupazionali che industriali. E quindi si è entrati in una fase di ultimatum-ricatto fatto dal governo che intanto però faceva trapelare che gli azeri alla fine potevano non esserci, e che dovevano essere richiamati in campo nuovi soggetti, gli indiani e il sempre misterioso fondo Bedrock americano canadese. Nello stesso tempo si sono sollevate le voci degli industriali dell’acciaio italiani che da un lato hanno detto che forse la nazionalizzazione in questo momento poteva servire per guadagnare tempo e mettere in condizioni di assegnare l’impianto, e dall’altro esprimevano la disponibilità a prendersi l’azienda ma in un quadro di spezzatino Genova/impianti del nord.

In questa situazione è scoppiata una fase che potremmo chiamare di “tempesta perfetta” in cui le dichiarazioni di ognuno erano volte a risolvere il problema ma in realtà andavano tutte in una direzione di non risoluzione.

Ora siamo a un ritorno alla casella iniziale però sotto un clima di ultimatum agli operai e alla città.

Gli azzeri non è più detto che ci siano e il giornale della confindustria Sole 24 Ore parla esplicitamente di rientro di Jindal, che intanto ha preso lo stabilimento di Piombino insieme agli ucraini, facendo arrivare il preridotto dai propri impianti in Oman, e quindi potrebbero fare a meno della nave rigassificatrice a Taranto.

Da parte degli industriali italiani, non vedono l’ora di liberarsi di Taranto di mettere le mani sulla siderurgia consociativa e corporativa, perché è tale la posizione di Genova, e Taranto vada a qualcun altro. Si tratta di posizioni inaccettabili.

Per gli operai sono in campo le cosiddette “due proposte”. Una che prevede una lunga cassitegrazione che prima doveva durare 11 anni o più e poi sarebbe ridotta a 7-8 anni; intanto si cerca di rimettere su la fabbrica così com’è recuperando altoforni fermi, compreso quello sequestrato dalla magistratura, per cercare di mantenere una produzione accettabile.

Intanto si dovrebbero pianificare tre forni elettrici e tre impianti di produzione del preridotto a Taranto, sempre però alimentati dalla nave rigassificatrice, che prima doveva essere al centro città, poi andava spostata di 12 chilometri (però il governo dice che questo spostamento sarebbe economicamente costoso).

L’altra proposta è: vi prendete solo i tre forni elettrici, spostiamo a Genova il preridotto; il gas eventualmente servisse si sposta a Gioia Tauro; così a Taranto rimangono quattro gatti in fabbrica, con 15mila esuberi effettivi, perché crollerebbe l’appalto e l’indotto. In questa ipotesi Genova si troverebbe beneficiata di questa vicenda assurda.

Per gli operai ci sarebbero soprattutto esuberi, e una ricollocazione improbabile e inaccettabile, perché qui il famoso Accordo di programma dovrebbe prevedere tutta una serie di attività date a Taranto in cui convogliare gli esuberi dell’Ilva. Tutte queste attività, una tra tutte: assumere gli operai in esubero nel pubblico impiego e così via - sono inaccettabili per principio. Non è che non si voglia l’aeroporto o un aumento degli organici nel pubblico impiego, o un’università che funzioni meglio, miglioramento della sanità, ecc.; ma queste si devono fare comunque, non c’entrano con l’Ilva, ma col lavoro a tanti disoccupati, precari di Taranto. Non per gli operai che devono lavorare nelle attività industriali, nella bonifica della fabbrica.

Infine. Chi l’ha mai detto che gli operai e i cittadini debbano essere loro i soggetti che devono risolvere i problemi del capitale? Se il potere passa nelle mani dei lavoratori e del popolo, allora Sì.

Ma che tutto l’ambaradan sindacale e ambientalista debba essere al capezzale del governo, dei piani dei padroni per vedere come possono riprendere i profitti, e collocarsi meglio nella acuta guerra commerciale mondiale dell’acciaio, guerra dei dazi e così via, non si vede perché.

Gli operai, la parte consapevole della fabbrica e delle masse popolari della città sono dall’altra parte. Devono fare una lotta anticapitalista. Che oggi significa rigida difesa dei lavoratori e guerra sociale per ottenere le rivendicazioni sociali giuste che riguardano l’ambientalizzazione, la sanità e tutto il resto.

Quindi è un’altra via, che chiaramente è quella che vorremmo noi. Un’altra strada in cui gli operai o la prendono o sono destinati ad essere il famoso “cadavere che passa nel fiume” mentre gli altri fanno profitti.

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