AM Morselli chiede di produrre e vendere sia pure in forma ridotta con una forza lavoro concessa finora di 3500 operai diretti e 2000 dell'indotto.
Abbiamo detto e ripetuto che una tale quantità di operai è troppa in emergenza coronavirus, sopratutto dopo che cominciano ad essere accertati casi anche all'interno della fabbrica.
AM Morselli dice: se non possiamo vendere l'acciaio che produciamo allora tanto vale fermare l'impianto e mettere tutti in CIG. Detta così si torna al punto di prima
Bisogna salvaguardare gli impianti non produrre se non ciò che costituisce in questa situazione bene necessario; quindi non ci sono alternative al fatto che deve restare in fabbrica solo una comandata concordata in condizioni di massima sicurezza, DPI - distanze - controllo dei luoghi di assembramento
Le OO.SS trattanti non possono fare la spola Direzione AM/Prefettura senza concludere niente.. anzi aprendo la strada a questo balletto sulla pelle degli operai; e tanto meno non proclamare iniziative di lotta a difesa almeno di quello che dicono di volere
E' questa situazione di stallo sulla pelle degli operai che bisogna rompere.
Lo Slai cobas ha già detto come: o sciopero o si resta casa
Comunque Arcelor Mittal deve garantire in tutto lo stabilimento la sicurezza sanitaria e lavorativa sugli impianti per ogni singolo lavoratore sia esso diretto o dell’indotto. Non può consentire che vi siano zone franche, con situazione igieniche al di sotto degli standard di massima precauzione, e non solo perché siamo in piena emergenza sanitaria. Cosa che AM ha dimostrato finora di fare molto parzialmente.
Ma anche su questo non c'è altra strada - se AM non lo fa o si sciopera per imporlo o ci si ferma e ci si rifiuta di lavorare - ai sensi dell'art. 44 del TU 81/08 sulla sicurezza.
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Da Corriere di Taranto - Gianmario Leone
Una lettera inviata al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, al ministro dell”Economia Gualtieri, al ministro allo Sviluppo economico Stefano Patuanelli e al ministro all’Ambiente Sergio Costa, oltre che ai commissari straordinari di Ilva in AS, firmata dalla presidente e amministratore delegato di
ArcelorMittal Italia Lucia Morselli, datata 26 marzo e che richiama una prima missiva inviata il 24 marzo.
Motivo della lettera (di cui abbiamo potuto prendere interamente visione e lettura), il decreto prefettizio dello scorso 26 marzo del prefetto Demetrio Martino, che ha bloccato la commercializzazione dei prodotti realizzati dall’ex Ilva sino al 3 aprile, sia prima che dopo, pur lasciandole la possibilità di produrre con gli impianti dell’area a caldo al minimo della marcia consentita. Un provvedimento che è andato ad incidere su una situazione che la Morselli, nella lettera del 24 marzo, definiva talmente grave da richiedere al governo “un sostegno urgente“.
(leggi il nostro articolo https://www.corriereditaranto.it/2020/03/31/ex-ilva-crisi-generale-indotto-in-difficolta/)
La Morselli ricorda che all’indomani dell’emanazione del Dpcm del 22 marzo, “abbiamo informato il prefetto di Taranto del fatto che avremmo continuato a produrre una ridotta quantità di acciaio a Taranto, poiché l’impianto a ciclo integrato non può essere spento improvvisamente“.
Dopo di che ricorda ai destinatari della missiva il decreto prefettizio con cui veniva impartita all’azienda la sospensione “della produzione a fini commerciali sino al 3 aprile e che l’attuale assetto dello stabilimento necessario a salvaguardare l’integrità delle installazione e a prevenire maggiori rischi incidenti rilevanti“, avrebbe previsto non più di 5500 lavoratori all’interno del siderurgico spalmati sui tre turni, con 3500 diretti e 2000 dell’appalto.
“Se la nostra lettura dell’Ordinanza è corretta – scrive la Morselli – sino a quando la stessa sarà in vigore non potremmo vendere le bramme d’acciaio prodotte, prima e dopo l’ordinanza, e ciò anche a fronte di una domanda di mercato per la nostra ridotta produzione“.
E quindi, argomenta sempre l’ad Morselli, “pur continuando a sostenere tutti i costi legati alla produzione e alla gestione dello stabilimento Ilva, non saremmo in grado di realizzare alcun ricavo dalla vendita di quanto prodotto”. Il che “aggrava ulteriormente le drammatiche conseguenze economiche e finanziarie alla nostra società prodotte dalla pandemia e dalle relative misure adottate dal governo” in riferimento a quanto avvenuto nei mesi passati.
Di conseguenza, conclude la Morselli, “è nostro dovere informarvi che qualora la nostra lettura delll’ordinanza fosse corretta e la stessa ordinanza dovesse essere prorogata, saremo costretti a prendere in considerazione tutte le misure per salvaguardare la nostra società, compreso l’avvio delle operazioni di messa in stand-by dell’intera area a caldo dello stabilimento di Taranto, nonché la collocazione in cassa integrazione di tutta la forza lavoro il cui impiego non è necessario per svolgere tali operazioni. Ribadiamo, quindi la nostra richiesta di discutere quanto prima la situazione venutasi a creare”.
(leggi l’articolo https://www.corriereditaranto.it/2020/03/26/il-prefetto-non-ferma-lex-ilva-di-taranto/)
Come abbiamo già riportato nei giorni scorsi, la situazione attuale è tra il surreale e il paradossale. Consentire all’ex Ilva di continuare a produrre al minimo senza poter commerciare quanto prodotto, prima e dopo l’ordinanza prefettizia, è di fatto un controsenso logico ancorché economico. Così come continuare a chiedere l’applicazione delle sole comandate, è una pratica realizzabile soltanto per pochi giorni. Questo vuol dire che, essendo state prorogate dal governo sino al 13 aprile le misure intraprese dal Dpcm dello scorso 22 marzo, al prefetto restano due strade: consentire ad ArcelorMittal di commercializzare il prodotto realizzato oppure decidere per la fermata totale già ‘minacciata’ dalla stessa Morselli. Che potrebbe avere risvolti imprevedibili per il futuro del siderurgico. Perchè vorrebbe dire fermarsi e ripartire chissà quando e chissà come. Senza contare che sono stati già fermati i cantieri AIA, che rinvieranno ancora una volta l’attuazione nei tempi previsti delle prescrizioni ambientali. O vedere la stessa ArcelorMittal ricorrere al Tar contro l’eventuale decisione del Prefetto.
Allo stesso tempo però, l’azienda non può venire meno ai suoi compiti: ovvero garantire in tutto lo stabilimento la sicurezza sanitaria e lavorativa per ogni singolo lavoratore sugli impianti, sia esso diretto o dell’indotto. Non può consentire che vi siano zone franche, con situazione igieniche al di sotto degli standard di massima precauzione e non solo perché siamo in piena emergenza sanitaria. Non può e non deve soffiare sul fuoco della crisi economica del territorio, rallentando volontariamente il pagamento dello scaduto delle fatture delle aziende dell’indotto, che pur avendo le risorse per reggere la crisi attuale, così come in passato altro non aspettano per rivalersi sull’anello più debole della catena di questo sistema economico, ovvero i lavoratori. Né può ridurre o gestire in maniera alternata le relazioni sindacali in un momento così delicato.
(leggi tutti gli articoli sull’indotto dell’ex Ilva https://www.corriereditaranto.it/?s=indotto&submit=Go)
Perché se è assolutamente vero che a livello politico, locale, regionale e nazionale, l’incompetenza e l’improvvisazione sulla vicenda dell’ex Ilva continua ad essere lampante e a tratti tragicomica, è altresì vero che un’azienda, una multinazionale, deve relazionarsi e restare sempre all’interno del recinto delle leggi e delle regole previste, senza bandire ogni volta la minaccia della fermata degli impianti, la messa in cig di tutto il personale e rallentando i pagamenti all’indotto. Perché altrimenti ci si infila volontariamente in un labirinto senza via d’uscita. Perché forse nessuno degli interpreti in campo quella via d’uscita vuole realmente trovare.
(leggi gli articoli sull’ex Ilva https://www.corriereditaranto.it/?s=ilva&submit=Go)
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