TARANTO
- La cassa integrazione è di fatto già partita anche se non c’è ancora
l’accordo nero su bianco. Ma, nonostante i messaggi rassicuranti
dell’azienda sul fatto che non si tratterà di esuberi strutturali e che
tutti i 6500 operai saranno reintegrati al termine del periodo di
fermo, la tensione in fabbrica resta altissima.
L’Ilva, nelle stesse ore, era al ministero del Lavoro proprio
per definire la procedura per il ricorso alla cassa integrazione
straordinaria per un massimo di 6417 unità dello stabilimento di
Taranto. Ammortizzatori richiesti fino a tutto il 2015 per effettuare i
lavori previsti dall’Autorizzazione integrata ambientale che
comporteranno la fermata di diversi impianti dell’area a caldo.
L’accordo non è ancora stato sottoscritto ma sono già partite le lettere
ai primi dipendenti interessati dalle fermate. L’attuale periodo sarà
comunque coperto dall’intesa, che avrà effetti retroattivi. Il
presidente dell’Ilva Bruno Ferrante, l’altro ieri a Roma, aveva
manifestato disponibilità a vagliare anche la possibilità di sostituire
la cassa integrazione con i contratti di solidarietà, proposti da Fiom e
Fim.
Ieri pomeriggio intanto dirigenti aziendali e sindacati hanno
continuato il confronto tecnico a Taranto. Nel pomeriggio i
responsabili dello stabilimento, in vista del nuovo incontro al
ministero del Lavoro fissato per giovedì prossimo, si sono incontrati
con le Rsu e segretari provinciali. Le organizzazioni dei metalmeccanici
provano a ridurre i numeri, spostare operai da un reparto all’altro,
per evitare il più possibile che i lavori di ambientalizzazione
dell’Ilva si trasformino in un boomerang contro i dipendenti. «Al danno
si aggiunge la beffa», dicono molti operai. Serpeggia il malumore perché
dopo aver respirato polveri e fumi adesso saranno sempre loro a dover
“pagare” la fermata per rendere gli impianti ecocompatibili con la
mannaia degli ammortizzatori sociali, ben al di sotto delle
retribuzioni. Preoccupazioni importanti, concrete, che si intrecciano ai
conti da pagare tutti i giorni e che fanno divampare i focolai di
tensioni mai spente.
La riunione di ieri pomeriggio ha stabilito il metodo da seguire. I
delegati sindacali avvieranno un confronto per cercare di abbassare il
tetto massimo della cassa integrazione al di sotto dei 6417. Con
l’azienda si farà una verifica minuziosa, area per area, in tre
giornate: venerdì, lunedì e martedì. Mercoledì ci sarà poi un incontro
di sintesi con i tre segretari di Fim-Fiom e Uilm per arrivare a
giovedì, a Roma, con le idee chiare sui numeri e anche sugli strumenti
da adottare. La Uilm, ad esempio, ha manifestato perplessità sullo
strumento dei contratti di solidarietà rispetto agli altri due sindacati
e punta a spostare la trattativa sul raggiungimento di una soglia
minima mensile da garantire ai lavoratori che resteranno a casa. Nel
2009 i sindacati riuscirono ad ottenere dall’Ilva un’integrazione
economica della cassa integrazione. Adesso i tempi sono cambiati e
l’azienda ha già fatto capire di non potersi accollare questo impegno
finanziario, visti gli importanti costi della ristrutturazione
impiantistica e la crisi di mercato mai cessata.
Nessun commento:
Posta un commento