L'analisi lucida di Lenin arma le menti e gli scenari degli avvenimenti di allora, di quelli presenti e del futuro del sistema mondiale imperialista in cui siamo. Senza questa analisi, non solo le borghesie imperialiste e le sue menti si muovono secondo una logica che li porta costantemente a colludere e a contendere, ma soprattutto il movimento operaio e comunista non può che cadere nelle illusioni riformiste dell'imperialismo 'buono', del sostegno ad un imperialismo anzichè ad un altro, fino all'odierna degenerazioni delle posizioni del “No euro”.
Siamo nell'epoca dell'imperialismo e della rivoluzione proletaria, della tendenza alla guerra imperialista e della verità relativa in ogni paese e assoluta su scala mondiale:
l'imperialismo si può sconfiggere solo con la rivoluzione e la guerra imperialista si può fermare solo se avanza la guerra popolare e all'interno dei paesi imperialisti la trasformazione della guerra imperialista in rivoluzione socialista.
Lenin ha già segnalato come alla spartizione del mondo tra i paesi capitalistici corrisponde nello stadio dell'imperialismo la spartizione del mondo tra grandi potenze imperialiste.
Nel VI capitolo de L'imperialismo Lenin afferma innanzitutto con dati di fatto che il mondo già agli inizi del XX secolo è ripartito tra le grandi potenze imperialiste. Ad esempio l'Africa è già ripartita per il 90,4%, l'Asia per il 56,6%, ecc.
Di conseguenza, dall'epoca di Lenin ad oggi quello che è avvenuto, in forma ora sotterranea ora dispiegata, è la lotta continua per una nuova spartizione del mondo, e questa è l'unica logica che guida il movimento reale dell'economia e della politica nell'epoca dell'imperialismo. Essa è alla base delle guerre grandi e piccole e delle due devastanti guerre mondiali che il mondo ha già vissuto.
Il movimento della spartizione non è mai dato una volta per tutte e la tendenza ad una nuova spartizione è una costante dell'epoca dell'imperialismo. Per questo si può parlare di tendenza alla guerra mondiale, come manifestazione permanente del sistema imperialista.“E' quindi fuori discussione il fatto – scrive Lenin - che al trapasso del capitalismo alla fase del capitalismo monopolistico finanziario è collegato un inasprimento della lotta per la ripartizione del mondo”.
Lenin traccia il percorso storico dell'affermarsi dell'imperialismo nel XIX secolo. E, in particolare alla fine del XIX secolo guardando alle potenze imperialiste dell'epoca, analizza come in Inghilterra i capi politici della borghesia inglese tra il 1840 e il 1860 siano stati fautori della liberazione delle colonie già esistenti, mentre i capi politici succeduti ad essi “propagandavano apertamente l'imperialismo e facevano la più cinica politica imperialistica”. Ad essi, dice Lenin, era “chiaro il nesso tra le radici per così dire puramente economiche e quelle politico-sociali del recentissimo imperialismo. Chamberlain predicava l'imperialismo come la “politica vera, saggia ed economica”,
riferendosi alla concorrenza che l'Inghilterra doveva sostenere sul mercato mondiale contro la Germania, l'America e il Belgio. La salvezza sta nei monopoli – dicevano i capitalisti...”.
E a questo proposito, Lenin pubblica un brano di Cecil Rhodes, “milionario, re della Finanza e responsabile principale della guerra dell'Inghilterra contro i boeri”:
“Sono andato ieri nell'East End (quartiere operaio di Londra) a un comizio di disoccupati. Vi ho udito discorsi forsennati. Era un solo grido: pane! pane! I pensavo ritornando a casa, e più che mai mi convincevo dell'importanza dell'imperialismo...La mia grande idea è quella di risolvere la questione sociale, cioè di salvare i quaranta milioni di abitanti del Regno Unito da una micidiale guerra civile. Noi, politici colonialisti, dobbiamo perciò conquistare nuove terre, dove dare sfogo all'eccesso di popolazione, e creare nuovi sbocchi alle merci che gli operai inglesi producono nelle fabbriche e nelle miniere. L'impero – io l'ho sempre detto – è una questione di stomaco. Se non si vuole la guerra civile, occorre diventare imperialisti”.
Certo la dichiarazione è grossolana ma è la stessa che si sentirà negli anni a venire da parte di tutti gli esponenti economici e politici dell'imperialismo.
Lenin dice che perfino la teoria dei signori Maslov, Sudekum, Potresov... del fondatore del marxismo russo, socialsciovinisti in Russia alla sua epoca, non differiva da quella di Rhodes.
Che dire noi in Italia, dove i discorsi di Mussolini nell'epoca del fascismo erano pressoché identici all'epoca delle imprese coloniali in Libia, Etiopia, ecc.? Se non rilevare il fatto che i politici possono essere fascisti o socialdemocratici e lo Stato borghese può avere la forma delle democrazia borghese o della dittatura fascista, ma essere in materia di imperialismo la stessa cosa, basata sulla stessa ideologia, politica e intervento militare.
Lenin entra nel merito della dinamica che si sviluppa tra i paesi imperialisti e dei fattori che ne costituiscono quello che successivamente chiamerà “sviluppo ineguale”. Per dimostrare questa dinamica, prende in considerazione un periodo ben determinato. Mostra come tra il 1876 e il 1914 vi erano Stati che avevano già colonie e Stati i cui possedimenti coloniali erano minori e come questi Stati progressivamente li accrescono. E qui Lenin segnala i fattori da cui questo dipende: “La Francia all'inizio di detto periodo era assai più ricca di capitale finanziario che non, forse, la Germania e il Giappone presi insieme. Oltre alle condizioni economiche, e in base a queste, influiscono sulla grandezza del possesso coloniale anche le condizioni geografiche, ecc...”.
E quindi permanentemente, allora come oggi, assistiamo ad una stratificazione delle potenze imperialiste: “giovani paesi capitalistici in rapidissimo progresso... altri in cui il capitalismo è antico... si sono sviluppati più lentamente dei primi... e infine un paese, la Russia, il più arretrato nei riguardi economici, dove il più recente capitalismo imperialista è, per così dire, avviluppato da una fitta rete di rapporti precapitalistici”.
Lenin poi segnala gli Stati minori che hanno anch'essi piccole colonie e che spesso costituiscono “l'oggetto più immediato, per così dire, di una possibile e probabile nuova “spartizione” delle colonie”.
Lenin ci spiega che “questi Stati minori conservano le loro colonie soltanto grazie all'esistenza fra i grandi Stati di antagonismi di interessi e di attriti, che impediscono un accordo per la divisione del bottino”.
Se guardiamo allo scenario odierno del mondo questa articolazione è ben presente. Per cui non è possibile accettare una visione semplicistica e riduttiva che descrive il mondo come fissato tra un gruppo eterno di Stati imperialisti e un gruppo altrettanto eterno di Stati oppressi dall'imperialismo.
Lenin, inoltre, parla di Stati semicoloniali e li definisce così: “Il capitale finanziario è una potenza così ragguardevole, anzi si può dire così decisiva, in tutte le relazioni economiche ed internazionali, da essere in grado di assoggettarsi anche paesi in possesso della piena indipendenza politica”.
Ma, nello stesso tempo aggiunge che il capitale finanziario trae “i maggiori profitti allorchè tale assoggettamento è accompagnato dalla perdita dell'indipendenza politica da parte dei paesi e popoli asserviti”.
Questo è importante per capire che l'indipendenza politica dei paesi semicoloniali è comunque sempre messa in discussione dagli Stati imperialisti. E anche se le forme di questo assoggettamento possono essere differenti da quelle analizzate da Lenin alla sua epoca, la sostanza di questa dialettica è sempre la stessa.
Lenin scrive che colonie e imperialismo sono esistiti fin dall'antica Roma e questo offre il destro a scribacchini che “degenerano in vuote banalità e in rodomontate”. Dato che non si coglie il fatto centrale: “la caratteristica fondamentale del modernissimo capitalismo è costituita dal dominio delle leghe monopolistiche dei grandi imprenditori”. Quelle che oggi definiremmo le grandi multinazionali, che lottano acutamente per accaparrarsi “le miniere di ferro e le sorgenti di petrolio, ecc.”. E, quindi, soltanto il possesso diretto (coloniale) assicura alle grandi multinazionali il successo nella lotta contro gli avversari. “Quanto più il capitalismo è sviluppato, quanto più la scarsità di materie prime è sensibile, quanto più acuta è in tutto il mondo la concorrenza e la caccia alle sorgenti di materie prime, tanto più disperata è la lotta per la conquista delle colonie”.
Come i socialdemocratici dell'epoca di Lenin (kautskiani), anche quelli di oggi, comunque si autodefiniscano, sono impegnati a “suggerire” all'imperialismo come avere le materie prime “senza la “costosa e pericolosa” politica coloniale... (ma) con il semplice miglioramento dell'agricoltura in generale”. Questi signori, ieri come oggi, sono apologeti e imbellettatori dell'imperialismo, essi trascurano al sua natura, la sua struttura reale. Ad esempio, dice Lenin “il “semplice” miglioramento dell'agricoltura richiede che siano migliorate le condizioni delle masse, elevati i salari e ridotti i profitti. Dove esistono, fuori che nella fantasia dei soavi riformisti, trust capaci di curarsi della situazione delle masse anzichè di conquistare colonie?”.
Andando avanti, Lenin mette in luce la grande importanza che hanno non solo le materie prime già scoperte ma quelle ancora da scoprire e come i progressi vertiginosi della tecnica permettano di avanzare nella scoperta e nello sfruttamento delle materie prime, e come, quindi, grandi capitali vengano impegnati nella ricerca di nuove ricchezze minerarie, (e aggiungeremmo petrolifere, energetiche e di materie prime necessarie ai moderni prodotti ad alta tecnologia), così come alla scoperta di nuovi metodi di lavorazione e di utilizzazione di questa o quella materia prima.
“Da ciò - dice Lenin - nasce inevitabilmente la tendenza del capitale finanziario ad allargare il proprio territorio economico, e anche il proprio territorio in generale”.
Questa della lotta per le materie prime e delle fonti energetiche è, dice Lenin, una lotta furiosa che sfocia sempre in “una nuova spartizione dei territori già divisi”.
La lotta tra i monopoli diventa anche una lotta interna ai paesi coloniali, dato che ciascun monopolio cerca di assicurare a sé in modo definitivo le forniture e questo comporta l'attività intensa di relazioni con le forze interne nei paesi coloniali perchè siano legate ai propri interessi.
Il capitale finanziario, cita Lenin da Hilferding, “non vuole libertà, ma egemonia”.
Nello stesso tempo Lenin riprende altri scrittori che legano alle cause economiche dell'azione imperialista esterna quelle di natura sociale interna. E, citando un autore, mette in luce come nei paesi imperialisti di fronte al peggioramento delle condizioni di vita che non toccano solo le masse lavoratrici ma anche i ceti medi impoveriti, si accumulano “impazienze, rancori, odio, che minacciano la pubblica quiete; energie espulse da un determinato alveo di classe... che si devono incanalare e a cui occorre trovare impiego all'esterno del paese, affinchè esse non esplodano all'interno”.
Lenin poi torna sull'analisi della divisione dei paesi, combattendo quelle visioni semplicistiche che anche oggi vengono usate nell'ambito del movimento comunista.
Dice Lenin “il capitale finanziario e la relativa politica internazionale, che si riduce alla lotta tra le grandi potenze, per la ripartizione economica e politica del mondo, creano tutta una serie di forme transitorie della dipendenza statale. Tale epoca è caratterizzata non solo da due gruppi fondamentali di paesi, cioè paesi possessori di colonie (e paesi asserviti - ndr)... ma anche dalle più svariate forme di paesi asserviti che formalmente sono indipendenti dal punto di vista politico ma che in realtà sono avviluppati da una rete di dipendenza finanziaria e diplomatica... una di queste forme (è) quella delle semicolonie”.
Nell'esaminare alcune di queste relazioni, quella ad esempio tra Gran Bretagna ed Argentina, Lenin mette in luce “quale influenza abbia il capitale finanziario inglese (e la sua cara “amica” la diplomazia) sulla borghesia dell'Argentina e sui circoli dirigenti della sua vita economica e politica”. Così come analizza l'esempio del Portogallo, uno Stato indipendente e sovrano, perfino possessore di colonie, ma che è terreno di scontro, di lotta tra le potenze imperialiste, Inghilterra, Spagna, Francia, per “privilegi commerciali, migliori condizioni per l'esportazione delle merci e specialmente del capitale nel usarne le isole, i porti, i cavi telegrafici, ecc.”. Questo caso, dice Lenin “di rapporti tra i singoli grandi e piccoli Stati... nell'epoca dell'imperialismo diventano sistema generale, sono un elemento essenziale della politica della “ripartizione del mondo” e si trasformano in anelli della catena di operazioni del capitale finanziario mondiale”.
A conclusione Lenin, citando un autore francese, torna sulla grande dinamica dello scontro tra le potenze imperialiste, in particolare guardando a quello tra nord America ed Europa, e delinea come i paesi imperialisti europei sono e saranno sempre più meno dominanti in tutto il mondo e come la condizione dei rapporti mondiali tra nord America ed Europa e all'interno dell'Europa stessa si traduca in una modifica delle condizioni politiche dell'Europa e “le modificherà sempre più”.
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